Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11440 del 30/04/2021

Cassazione civile sez. II, 30/04/2021, (ud. 11/12/2020, dep. 30/04/2021), n.11440

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8597/2016 proposto da:

D.R.A., elettivamente domiciliato in Foggia via degli

Aviatori n. 94, presso lo studio dell’avv.to CARLO MARSEGLIA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.V., D.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 209/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 17/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/12/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Foggia pronunciando definitivamente sulla domanda proposta da D.R.A. di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., di un preliminare di vendita immobiliare stipulato in data 1 agosto 1996, e poi integrato in data 30 dicembre 1996, e sulla domanda di risarcimento del danno nei confronti di G.V. e D.A., promittenti venditori, nonchè sulla contrapposta domanda riconvenzionale di esecuzione in forma specifica del medesimo contratto, accoglieva quest’ultima e dichiarava trasferita in favore di D.R.A. la piena proprietà del fondo sito in agro di (OMISSIS), dell’estensione complessiva di ettari 13.00.00 comprensivo della fascia di terreno in possesso del terzo (pag. 3 della sentenza impugnata).

2. D.R.A. proponeva appello avverso tale pronuncia.

3. La Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione e rigettava sia le domande proposte dal D.R. che la domanda riconvenzionale spiegata dai coniugi G. e D..

In particolare, in via assolutamente preliminare ed assorbente, secondo la Corte d’Appello le reciproche domande di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., non potevano trovare accoglimento in quanto difettava la condizione di liceità del richiesto trasferimento immobiliare. Infatti, della L. n. 47 del 1985, art. 18, comma 2, poi riprodotto del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, prevedeva che agli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali relativi a terreni dovesse essere allegato, a pena di nullità, il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni riguardanti l’area interessata. La sanzione di nullità degli atti di disposizione dei terreni conseguente alla mancata allegazione di detto provvedimento amministrativo non solo comportava, per espressa previsione normativa, il divieto di stipulazione degli atti stessi ma si traduceva in una preclusione all’esperibilità del rimedio giurisdizionale dell’esecuzione in forma specifica del preliminare di vendita ex art. 2932 c.c..

La Corte d’Appello evidenziava che la carenza del certificato di destinazione urbanistica era rilevabile anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio anche se la sua allegazione o la documentazione della sua esistenza, sottratta alle preclusioni, poteva essere prodotta dalle parti nel corso del giudizio di appello, perchè prima della decisione.

Nel giudizio di appello, invece, nè i convenuti nè gli attori avevano prodotto in giudizio il certificato di destinazione urbanistica relativo all’area interessata e su cui era ubicato il fondo rustico oggetto del preliminare di vendita, con la conseguenza che non poteva procedersi all’esecuzione in forma specifica del contratto definitivo in quanto una simile pronuncia costitutiva avrebbe dato luogo ad un trasferimento immobiliare affetto da nullità assoluta per contrasto con una norma imperativa.

4. D.R.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.

5. Il ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente il collegio dà atto della tempestività della notifica del ricorso in quanto la stessa è avvenuta in un primo momento con spedizione a mezzo posta in data utile, ovvero il 18 marzo 2016 e successivamente, non essendo andata a buon fine la suddetta notifica per irreperibilità del destinatario, per aver il ricorrente effettuato una nuova notifica a mezzo pec in data 21 marzo

2016 presso l’indirizzo di posta elettronica certificata monaco.giovanni.avvocati foggia.legamail.it.

Nella specie, infatti, deve applicarsi il termine di un anno decorrente dal 17 febbraio 2015, data di pubblicazione della sentenza, ex art. 327 c.p.c., nella versione ratione temporis applicabile, sicchè alla data del 18 marzo 2016 il suddetto termine di un anno non era ancora decorso, tenuto conto del periodo di sospensione feriale. La successiva notifica a mezzo pec, pertanto, deve considerarsi come prosecuzione del procedimento notificatorio iniziato tempestivamente con la spedizione a mezzo posta del 18 marzo 2016.

Sul punto deve darsi continuità al seguente principio di diritto: “In tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari, secondo la comune diligenza, per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha escluso la tardività del ricorso per cassazione per inosservanza del termine annuale, ex art. 327 c.p.c., nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009 – in quanto l’atto risultava rispedito per la notifica al domiciliatario in seguito alla riattivazione del procedimento notificatorio effettuata, successivamente alla scadenza del termine lungo, dopo pochi giorni dalla conoscenza dell’esito negativo del primo per irreperibilità del destinatario)” – Sez. L, Sent. n. 6846 del 2010.

1.1 Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli artt. 101,112,183 e 213 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e violazione degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, con conseguente nullità della sentenza per non aver sottoposto al contraddittorio la questione di nullità rilevata d’ufficio e per non aver acquisito di ufficio il certificato di destinazione urbanistica e per non aver esaminato il secondo motivo di appello relativo alla domanda principale. Nonchè falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il ricorrente, preliminarmente, riporta i suoi motivi di appello relativi alla erroneità della sentenza di primo grado per aver incluso nella statuizione ex art. 2932 c.c., anche alcuni terreni posti oltre il confine dei convenuti sulla base di un frazionamento esistente al momento della firma dell’atto integrativo.

Ciò premesso, secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe sollevato una questione di ufficio senza preventivamente segnalarla alle parti e consentire loro di eccepire o di argomentare in merito, in violazione del principio del contraddittorio. Peraltro, la mancata produzione del certificato di destinazione urbanistica non costituirebbe un presupposto della pretesa azionata bensì una condizione dell’azione che giustificherebbe la sua acquisizione anche ufficiosa, in forza dei poteri del giudice di cui all’art. 213 c.p.c., sottraendosi al principio dispositivo proprio del processo civile. Infine, il ricorrente evidenzia che il preliminare resta comunque valido e, dunque, non avendo la Corte d’Appello indicato la questione alle parti e non avendo neanche acquisito di ufficio il certificato, si determinerebbe la conseguenza che le parti dovrebbero iniziare un nuovo giudizio.

In ogni caso, a parere del ricorrente, risulterebbe violato anche del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 2, che non potrebbe applicarsi alla pronuncia giudiziale, ma solo agli atti negoziali, riferendosi il dettato normativo solo alla trascrizione.

1.2 Il primo motivo è fondato con riferimento alla violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2.

Ai sensi dell’art. 101 c.p.c., comma 2, da ultimo citato il giudice “Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”.

La norma sancisce il dovere di evitare sentenze cosiddette “a sorpresa” o della “terza via”, poichè adottate in violazione del principio della “parità delle armi”, principio già enucleabile dall’art. 183 c.p.c., che al comma 3 (oggi quarto, in virtù di quanto disposto dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 3, lett. c-ter, convertito con L. n. 263 del 2005) fa carico al giudice di indicare, alle parti, “le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione”.

La Corte d’Appello ha rilevato di ufficio, senza previa indicazione alle parti, la mancanza del certificato di destinazione urbanistica del terreno promesso in vendita D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 30, rigettando la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare in esame, che era stata accolta in primo grado dal Tribunale di Foggia.

In proposito deve darsi continuità al seguente principio di diritto: “l’omessa indicazione alle parti di una questione di fatto oppure mista di fatto e di diritto, rilevata d’ufficio, sulla quale si fondi la decisione, priva le parti del potere di allegazione e di prova sulla questione decisiva e, pertanto, comporta la nullità della sentenza (cd. “della terza via” o “a sorpresa”) per violazione del diritto di difesa tutte le volte in cui la parte che se ne dolga prospetti, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto fare valere qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato” (Sez. 3, Sent. n. 11308 del 2020).

La Corte d’Appello di Bari, pertanto, avrebbe dovuto dare corso al contraddittorio, per dare la possibilità alle parti di produrre il suddetto certificato. Coglie, dunque, nel segno il ricorso allorchè lamenta la natura di sentenza “a sorpresa” della decisione impugnata e, dunque, la violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia sulla domanda di riduzione del prezzo.

Il ricorrente riporta il motivo di appello avverso la sentenza del giudice di primo grado che aveva rigettato la domanda di riduzione del prezzo e ritiene violato l’art. 112 c.p.c., non essendosi la Corte d’Appello pronunciata sul motivo ritenendolo assorbito nel rigetto della domanda principale, ancorchè tale domanda fosse autonoma e non dipendesse dalla prima.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento danni.

Anche in questo caso il ricorrente riporta il proprio motivo di appello sul rigetto da parte del Tribunale della domanda di risarcimento danni in quanto il ritardo nella stipula sarebbe dipeso unicamente dalla legittima pretesa del D.R. di ritagliarsi la strada di accesso ai fondi in una posizione diversa da quella pattuita e lamenta che la Corte d’Appello non si sia pronunciata, ritenendo il motivo assorbito nel rigetto della domanda principale, ancorchè la stessa fosse del tutto autonoma rispetto alla prima.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia sulla domanda di rimborso degli oneri di bonifica ed imposte. Anche in questo caso il ricorrente riporta il suo quinto motivo di appello sul rigetto da parte del Tribunale della suddetta domanda di rimborso sul presupposto che non vi fosse un espresso patto aggiunto. Anche in questo caso la Corte d’Appello non si sarebbe pronunciata, ritenendo assorbito il motivo nel rigetto della domanda principale, ancorchè tale domanda fosse del tutto autonoma rispetto a quella ex art. 2932 c.p.c..

5. I motivi secondo, terzo e quarto sono assorbiti dall’accoglimento del primo.

6. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021

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