Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11438 del 30/04/2021

Cassazione civile sez. II, 30/04/2021, (ud. 11/12/2020, dep. 30/04/2021), n.11438

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 9860 del 2019) proposto da:

COSEDIL S.A.S. di B.U. & C., (C.F.: (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso,

dagli Avv.ti Ermes Cremonesi, Luca Cremonesi, e Andrea Mancini, ed

elettivamente domiciliata presso lo studio del terzo, in Roma, viale

delle Milizie, n. 22;

– ricorrente principale –

contro

M.L., (C.F.: (OMISSIS)) e BA.GI., (C.F.:

(OMISSIS)), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in

calce al controricorso, dagli Avv.ti Marcello Mascolo, Consuelo

Mascolo, e Vincenzo Mascolo, ed elettivamente domiciliati presso lo

studio del terzo, in Roma, v. Pietro Paolo Rubens, n. 31;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia n. 1427/2018

(depositata il 18 settembre 2018 e non notificata);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11 dicembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

letta la memoria depositata dai difensori dei

controricorrenti-ricorrenti incidentali ai sensi dell’art. 380-bis.1

c.p.c..

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato l’8 luglio 1997, Ba.Gi. e M.L. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Treviso, la Cosedil s.a.s., venditrice-costruttrice, chiedendo di dichiarare risolto il contratto di compravendita tra esse parti stipulato in data 19 novembre 1993, avente ad oggetto un alloggio in villetta bifamiliare, sita in (OMISSIS), per asseriti vizi e difetti nella costruzione tale da comportarne la diminuzione di valore, con restituzione del prezzo pagato corrispondente all’importo di Lire 280.000.000, nonchè al pagamento di quanto indicato in un atto stragiudiziale per spese affrontate ed ammontanti a Lire 74.118.176, oltre interessi e svalutazione monetaria.

I predetti attori riconducevano i dedotti vizi al fatto che l’immobile indicato era stato edificato dalla convenuta, poi venditrice, su terreni fortemente instabili e su falde acquifere, tanto da provocare crepe tali da comprometterne la stabilità e il deprezzamento del valore, per quanto accertato con perizia di parte.

La convenuta si costituiva in giudizio invocando il rigetto di tutte le domande attoree, contestando, in via principale, la gravità dei rappresentati vizi ed eccependo la decadenza e la prescrizione dell’azione esperita ai sensi dell’art. 1495 c.c..

Il Tribunale adito, con sentenza n. 2126/2012, rigettava integralmente le domande degli attori (condannandoli anche al pagamento delle spese giudiziali), rilevando l’insussistenza delle condizioni previste dagli artt. 1668 e 1669 c.c., nonchè l’infondatezza della pretesa ricollegata alla garanzia contrattuale ex art. 1490 c.c., ritenendo che non era stato interrotto il termine di prescrizione annuale, rispetto all’immissione in possesso in data 19 novembre 1993, poichè il primo atto interruttivo era intervenuto il 22 settembre 1995.

Decidendo sull’appello proposto dagli attori soccombenti e nella costituzione della società appellata, la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 1215/2006, rigettava il gravame.

Detta sentenza veniva impugnata con ricorso per cassazione dagli appellanti Ba. e M., al quale resisteva la suddetta società intimata, che, a sua volta, formulava ricorso incidentale condizionato avverso il capo della sentenza di appello con il quale la stessa era stata ritenuta astrattamente legittimata passiva rispetto all’instaurata azione ai sensi dell’art. 1669 c.c., rilevando, oltretutto, la novità della domanda per responsabilità risarcitoria in virtù della possibile applicabilità di detta norma.

Questa Corte, con sentenza n. 9370/2013, riuniti i ricorsi, rigettava il ricorso incidentale e, in accoglimento di quello principale, cassava l’impugnata sentenza di appello, con la quale, pur essendo stata correttamente ricondotta la fattispecie nell’ambito di applicabilità del citato art. 1669 c.c., il giudice di secondo grado aveva dichiarato infondata la domanda basata su tale norma dagli appellanti principali omettendo del tutto una indagine volta ad accertare la sussistenza o meno dei denunciati gravi difetti.

2. La Corte di appello di Brescia, designata come giudice di rinvio, con sentenza n. 1427/2018 (depositata il 18 settembre 2018), a seguito di riassunzione da parte dei sigg. Ba.Gi. e M.L. (cui resisteva la società Cosedil), accertati i gravi vizi e difetti denunciati dalle citate parti riassumenti in relazione all’immobile oggetto di compravendita in data 19 novembre 1993, condannava la Cosedil s.a.s. ad eseguire le prestazioni indicate dal CTU come necessarie per porre rimedio ai vizi riscontrati, descritte nella relazione peritale, assegnando alla parte obbligata termine fino al 31 dicembre 2018 per l’inizio dell’esecuzione. Il giudice di rinvio regolava, poi, le complessive spese degli svolti gradi di giudizio.

A sostegno dell’adottata decisione la Corte di rinvio, dopo aver disposto c.t.u., riteneva che – sulla base delle sue conclusioni – si dovessero ritenere sussistenti i vizi prospettati dalle parti acquirenti, consistenti, in particolare, nell’inidoneità del sistema fondazionale e nell’instabilità del sito di edificazione, da cui erano derivati i danni subiti dall’immobile, con la conseguente condanna dell’appellata in riassunzione all’esecuzione degli interventi ritenuti necessari per l’eliminazione dei vizi.

Con la stessa sentenza la Corte bresciana respingeva le eccezioni di prescrizione e decadenza, avanzate dalla Cosedil s.a.s., relative all’esercizio dell’avversa azione di garanzia, dovendosi ritenere che la ragionevole certezza del difetto strutturale dell’immobile e della conseguente responsabilità della società costruttrice avrebbe potuto, tutt’al più, desumersi dall’esito della perizia di parte recante la data del 9 dicembre 1996, rispetto alla quale la successiva denuncia operata il 7 marzo 1997 doveva, perciò, considerarsi tempestiva.

3. La Cosedil s.a.s. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, avverso la suddetta sentenza adottata all’esito del giudizio di rinvio.

Gli intimati hanno resistito con un unico controricorso, contenente anche ricorso incidentale condizionato basato su un unico motivo.

La ricorrente principale ha, altresì, formulato controricorso al ricorso incidentale ai sensi dell’art. 371 c.p.c., comma 4.

La difesa dei controricorrenti-ricorrenti incidentali ha depositato anche memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente principale ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione dell’art. 1669 c.c., nella parte in cui prevede che la denuncia dei vizi debba avvenire entro un anno dalla scoperta, non potendosi ritenere che, nella fattispecie, i due committenti-acquirenti avessero assolto all’onere probatorio su di loro incombente a tal riguardo.

2. Con la seconda doglianza la ricorrente Cosedil s.a.s. ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione degli artt. 112,113 e 115 c.p.c. e del principio dispositivo in ordine alla determinazione del momento della scoperta dei vizi, avendo posto a fondamento di quest’ultimo un fatto che non era stato mai allegato dalle controparti, ovvero il riferimento al contenuto della c.t.u. disposta nel corso del giudizio di rinvio.

3. Con la terza censura la citata ricorrente ha lamentato – con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti in relazione al momento della scoperta dei vizi, sul presupposto che la Corte di rinvio non aveva preso in considerazione la circostanza che già con telegramma del 6 marzo 1996 gli acquirenti avevano manifestato la piena consapevolezza dei vizi oggetto di denuncia, e che, rispetto alla diffida stragiudiziale poi intimata il 7 marzo 1997 per interrompere la prescrizione, era trascorso più di un anno.

4. Con il quarto motivo la ricorrente principale ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione dell’art. 1669 c.c., in relazione all’eccezione di prescrizione annuale da esso prevista per l’esercizio dell’azione di garanzia, avendola la Corte di rinvio, esaminando l’eccezione di prescrizione insieme a quella di decadenza, rigettata, disattendendo i principi sanciti dalla giurisprudenza di legittimità in tema di allegazione di parte e di onere della prova dell’interruzione della prescrizione.

5. Con il quinto mezzo la ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – il vizio di nullità dell’impugnata sentenza per asserito irriducibile contrasto tra affermazioni inconciliabili, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione in due passaggi motivazionali immediatamente successivi, avendo la Corte di rinvio ricondotto a due momenti diversi e distanti oltre vent’anni la scoperta dei vizi, utile a far decorrere il termine annuale di decadenza per la loro denuncia.

6. Con il sesto ed ultimo motivo la ricorrente ha denunciato – avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e, comunque, al n. 3 – la violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte territoriale riconosciuto in favore dei committenti-acquirenti una tutela giuridica, coincidente con il risarcimento in forma specifica ai sensi degli artt. 1669 e 2058 c.c., diversa da quella dagli stessi richiesta, da identificare nell’ottenimento della risoluzione del contratto di compravendita ai sensi dell’art. 1492 c.c. e di restituzione del prezzo e delle spese in applicazione dell’art. 1493 c.c..

7. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato i controricorrenti hanno dedotto la violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè degli artt. 2058 e 1669 c.c., per aver il giudice di rinvio ritenuto ammissibile la condanna al risarcimento in forma specifica, nonostante la proposizione da parte loro della sola domanda di risarcimento del danno per equivalente, ovvero in misura corrispondente al costo necessario per la completa ristrutturazione dell’immobile oggetto della controversia.

8. Rileva il collegio che i primi cinque motivi formulati nell’interesse della Cosedil s.a.s. sono tra di loro all’evidenza connessi risultando tutti riferiti ancorchè sotto i diversi profili denunciati e richiamati in precedenza – alla contestazione sulla tempestività della denuncia dei vizi da parte dei committenti-acquirenti, oggi controricorrenti e controricorrenti incidentali.

Prima di esaminarli congiuntamente, occorre procedere ad una premessa logico-giuridica sulla delimitazione del “devolutum” al giudice di rinvio per effetto della sentenza di annullamento di questa Corte n. 9370/2013.

Con quest’ultima era stato accolto l’unico motivo di ricorso principale formulato dai M. – Ba. (nel mentre erano stati totalmente rigettati i motivi di ricorso incidentale formulati dalla Cosedil s.a.s.), con il quale era stata censurata la sentenza impugnata per aver dichiarato infondata l’azione ex art. 1669 c.c., promossa dai committenti-acquirenti nei confronti della controparte per la supposta mancanza della prova della rovina, quantomeno parziale, dell’edificio.

In particolare, i ricorrenti principali avevano, sotto un primo profilo, affermato che l’art. 1669 c.c., non riguarda soltanto la rovina dell’edificio, ma anche i gravi difetti che possono non consistere nella rovina dell’edificio stesso, e che avrebbero potuto essere provati con una c.t.u., così come era stato richiesto. Inoltre, i sigg. M. – Ba. avevano aggiunto che la Corte territoriale aveva messo in rilievo soltanto uno dei vizi che legittimavano l’azione giudiziaria proposta e che, inoltre, gli stessi ricorrenti principali avevano prodotto, oltre la perizia dell’ingegner S., anche un’altra perizia giurata dell’ingegner professore Ma. del tutto ignorata dal giudice di appello.

Nel ravvisare la fondatezza della riportata complessiva censura, con la citata sentenza di questa Corte era stato evidenziato che il giudice di appello, pur avendo ricondotto la domanda proposta dal M. e dalla Ba. nell’ambito dell’art. 1669 c.c., non aveva considerato che detta norma disciplina, oltre la rovina o il pericolo di rovina dell’opera per vizio del suolo o per difetto della costruzione, anche la distinta ipotesi che l’opera stessa presenti gravi difetti, consistenti in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura.

Poichè la sentenza di appello impugnata aveva del tutto omesso un’indagine volta ad accertare la sussistenza o meno nella specie di tali gravi difetti, la censura dei ricorrenti principali andava accolta.

Pertanto, come sottolineato dalla Corte di appello di Brescia, quale giudice di rinvio, la questione da riesaminare scaturente dalla sentenza di annullamento di questa Corte n. 9370/2013 era quella, sul presupposto dell’applicabilità nella fattispecie della disciplina di cui all’art. 1669 c.c. (qualificazione da ritenersi, perciò, divenuta incontrovertibile), di verificare la sussistenza o meno dei gravi difetti dell’opera oggetto del contratto, per affermare o meno la responsabilità della società costruttrice-venditrice, con la correlata necessità dell’accertamento della tempestività della denuncia dei relativi vizi (ove ritenuti sussistenti) e della maturazione o meno della prescrizione annuale prevista dalla citata norma a decorrere dalla denuncia (previa, ovviamente, verifica della sua tempestività).

Quindi, il compito rimesso al giudice di rinvio si risolveva nell’accertamento dei vizi alla stregua delle risultanze processuali acquisite e sulla preliminare verifica della tempestività della relativa denuncia e dell’osservanza del termine di prescrizione, così come regolate dallo stesso art. 1669 c.c..

Partendo da questa esatta impostazione di fondo dei presupposti logico-giuridici discendenti dalla indicata sentenza di cassazione con rinvio, la ricorrente contesta, in primo luogo, che la conoscenza completa e certa dei vizi (e della loro gravità) che legittimava la denuncia ai sensi dell’art. 1669 c.c., possa conseguire ad un accertamento peritale che venga esperito nel corso dell’azione risarcitoria e, nel caso di specie, la verifica della sussistenza di tali vizi (da essere riconducibili, per la loro gravità, a quelli tutelati dalla stessa norma) si sarebbe dovuta ritenere avvenuta solo con c.t.u. espletata nel giudizio di rinvio.

A tal proposito la Corte di rinvio ha ritenuto – a fronte dell’avvenuto acquisto dell’immobile in data 19 novembre 1993 (subito dopo la quale si erano manifestate delle crepe nei muri) – che l’eccezione di decadenza per l’intervenuta denuncia dei vizi con la diffida degli acquirenti del 18 settembre 1995 non potesse valere ai fini dell’applicabilità dell’art. 1669 c.c., comma 1, poichè, al momento della formalizzazione della medesima, gli stessi acquirenti non potevano avere avuto certezza della sussistenza dei vizi.

Allo stesso modo e per la stessa ragione anche la successiva diffida del 7 marzo 1997 non poteva ritenersi idonea – agli effetti previsti del citato art. 1669 c.c., comma 2 – ad interrompere il termine di prescrizione.

Tuttavia, il giudice di rinvio ha affermato che, peraltro, solo con la perizia (di parte) dell’ing. S. – datata 9 dicembre 1996 – era stato consentito agli attuali controricorrenti M. – Ba. di avere percezione del vizio e delle ipotetiche cause.

L’azione giudiziale era stata, poi, introdotta con citazione notificata l’8 luglio 1997, chiedendosi, peraltro, la dichiarazione di risoluzione del contratto di compravendita in dipendenza di gravi vizi riconducibili al fatto che l’immobile era stato costruito dalla attuale ricorrente su terreni instabili e su falde acquifere, tanto da provocare crepe idonee a comprometterne la stabilità e da comportarne il deprezzamento del valore.

Orbene, sulla base di tale ricostruzione della vicenda fattuale, si deve osservare, in punto di diritto, che, con riguardo alla determinazione del “dies a quo”, la concorde giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 9199/2001, n. 24486/2017 e, da ultimo, Cass. n. 27693/2019) ritiene che il termine di decadenza comincia a decorrere dal momento in cui il committente ha acquistato effettiva conoscenza delle difformità e dei vizi e non dal momento in cui essi sono semplicemente sospettati in virtù della loro sopravvenuta riconoscibilità. In altri termini, per esercitare l’azione di garanzia è necessaria la denuncia dei vizi e delle difformità entro sessanta giorni, decorrenti non dal momento in cui il committente percepisce una qualsiasi anormalità, difetto o irregolarità dell’opera, ma da quando si determina e si consolida una situazione tale da far ragionevolmente ritenere al medesimo che il difetto o il vizio riscontrati costituiscano con certezza delle anomalie dell’opera stessa, da attribuire a responsabilità dell’appaltatore, ossia in ragione della percezione del nesso causale tra segno esteriore del vizio ed opera dell’appaltatore.

E’ pacifico, poi, che l’onere della tempestività della denuncia dei vizi in relazione al momento della loro scoperta incombe – in presenza della contestazione dell’appaltatore – sul committente, poichè la denuncia rappresenta condizione necessaria dell’azione di garanzia.

L’omissione o la tardività della denuncia precludono al committente tutti i rimedi correlati alla garanzia e, quindi, anche l’azione di risarcimento dei danni derivati dai vizi della cosa oggetto di appalto.

Fissati i predetti principi sul piano giuridico in generale, ritiene il collegio che non coglie nel segno il primo motivo perchè – pur non essendo contestabile il principio a cui ha fatto riferimento la Cosedil s.a.s., in base al quale non può essere individuato, quale “dies a quo” ai fini del decorso del detto termine annuale, quello di deposito, nell’ambito di un giudizio di merito già pendente, della relazione del consulente tecnico d’ufficio – il giudice di rinvio ha, in effetti, inteso affermare che, solo con il deposito della relazione peritale d’ufficio nello stesso giudizio di rinvio, era stato possibile acquisire la definitiva certezza del difetto strutturale e, quindi, accertare la conseguente responsabilità della predetta società, ai fini dell’accoglimento della domanda dei M. – Ba., ma non che da tale deposito avrebbe dovuto considerarsi decorrente il termine annuale previsto dall’art. 1669 c.c., comma 1.

Ai fini della valutazione dell’osservanza dell’inizio del decorso di detto termine annuale per la denuncia dei gravi difetti che afferiscono l’opera appaltata, non può ritenersi esigibile che il committente abbia acquisito (già preventivamente all’instaurazione dell’eventuale giudizio) tale univoca certezza, ma solo un apprezzabile grado di conoscenza, seria ed obiettiva, di detti difetti oltre che della presumibile loro incidenza sulla statica e sulla possibilità di lunga durata, nonchè sulla loro derivazione eziologica dall’imperfetta esecuzione dell’opera appaltata (con la possibile postergazione del termine all’esito di eventuali accertamenti tecnici di natura stragiudiziale o mediante ATP, che si rendano, per l’appunto, necessari per comprendere la gravità dei vizi e stabilire il corretto collegamento causale: cfr. Cass. n. 9966/2014 e Cass. n. 10048/2018).

Ed a tal fine la Corte di rinvio ha constatato ed affermato che solo la perizia di parte a firma dell’ing. S., recante la data del 9 dicembre 1996, aveva consentito ai committenti di avere percezione del vizio e delle possibili cause e, dunque, solo da tale data (e non prima, donde l’irrilevanza del telegramma del 6 marzo 1996) si sarebbe dovuto far decorrere il termine annuale per la formulazione della denuncia dei vizi, denuncia da ritenersi, perciò, tempestivamente intervenuta con la diffida del 7 marzo 1997, a cui aveva fatto seguito – entro l’anno di prescrizione previsto dall’art. 1669 c.c., comma 2, l’instaurazione dell’azione in via giudiziale, avvenuta con la proposizione dell’atto di citazione notificato l’8 luglio 1997.

Questo motivato accertamento compiuto dalla Corte di rinvio, dal quale si desume la tempestività della denuncia dei vizi, comporta la non decisività dell’omesso esame della possibile rilevanza del telegramma inviato dai committenti all’appaltatrice il 6 marzo 1996, siccome il suo contenuto non denotava la manifestazione di una volontà implicante una sufficiente ed obiettiva percezione della scoperta dei vizi da ricondursi a gravi difetti dell’opera, rimasta sufficientemente acclarata solo con la citata perizia di parte (acquista agli atti) del 9 dicembre 1996.

La ricorrente sostiene – nello svolgimento del quinto motivo – che la suddetta perizia di parte non recherebbe la data del 9 dicembre 1996 e sarebbe certamente antecedente al telegramma di denunzia del 6 marzo 1996.

Orbene, al di là del fatto che la ricorrente Cosedil s.a.s. non riferisce alcuna circostanza dalla quale dovrebbe desumersi la possibile fondatezza della sua contestazione sull’apposizione della suddetta data del 9 dicembre 1996 alla citata perizia di parte (solo in conseguenza della quale i sigg. M. – Ba. avevano acquisito un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva dei possibili gravi vizi da cui era affetto l’immobile dai medesimi acquistato), detta contestazione implica la prospettazione di un vizio di percezione che avrebbe dovuto essere fatto valere con la proposizione di una domanda di revocazione (davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza), con riferimento al caso riportato al n. 4) dell’art. 395 c.p.c. e non essere denunciato come motivo da far valere con ricorso per cassazione.

E’ stato, invero, già sostenuto da questa Corte che la denuncia di un errore di fatto, consistente nell’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., ma di revocazione a norma dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 (come proprio nel caso in cui si deduca la mancanza di prova – o l’inesistenza – in ordine alla data di un documento che, invece, il giudice abbia attestato che la riportava: cfr. Cass. n. 2529/2016).

In definitiva, per tutte le spiegate ragioni, i primi cinque motivi del ricorso principale devono essere ritenuti infondati e, perciò, vanno rigettati.

9. E’, invece, manifestamente fondato il sesto motivo dello stesso ricorso principale.

Premesso che, per effetto della sentenza di questa Corte n. 9370/2013 di cassazione con rinvio, si è venuto a formare il giudicato sulla qualificazione della responsabilità della ditta appaltatrice come riconducibile all’art. 1669 c.c. (con la derivante ammissibilità della conseguente domanda risarcitoria) e che – per come si evince anche dalle conclusioni precisate dai committenti-acquirenti all’esito del giudizio di rinvio (v. pag. 2 dell’impugnata sentenza) essi hanno chiesto, in virtù dell’accertata sussistenza dei vizi, la restituzione del prezzo pagato per l’acquisto e di tutti gli accessori domandati con l’atto di citazione (per un importo complessivo di Euro 182.886,77, oltre interessi e rivalutazione), ne consegue che la Corte di rinvio non avrebbe potuto disporre il risarcimento in forma specifica e che, perciò, avendo pronunciato in tal senso, è incorsa nella violazione dell’art. 112 c.p.c..

A tal proposito la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 552/2002 e Cass. n. 259/2013) è univoca nel sottolineare che l’attribuzione al danneggiato del risarcimento per equivalente, invece della richiesta reintegrazione in forma specifica, non viola il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, in quanto il risarcimento per equivalente, che il giudice del merito può disporre anche d’ufficio, nell’esercizio del suo potere discrezionale, costituisce un “minus” rispetto alla reintegrazione in forma specifica, sicchè la relativa richiesta è implicita nella domanda giudiziale di reintegrazione in forma specifica. Per contro, quindi, non è consentito al giudice, senza violare l’art. 112 c.p.c., ove sia stato – ed è questa l’ipotesi che si è venuta a configurare nel caso di specie – richiesto il risarcimento per equivalente, disporre la reintegrazione in forma specifica, non compresa, neppure per implicito, in quella domanda così proposta.

10. Corrispondentemente alla “ratio” fondante l’accoglimento dell’ultimo motivo del ricorso principale è meritevole di accoglimento anche l’unico motivo di ricorso incidentale in via condizionata proposto dai controricorrenti.

Infatti esso è altrettanto fondato perchè – sulla base del “petitum” complessivo dedotto dai committenti-acquirenti e cristallizzato nelle conclusioni definitive, come già richiamate, rassegnate all’esito del giudizio di rinvio (da cui si evince comunque la riconducibilità alla richiesta del risarcimento per equivalente, ponendosi riferimento, in ogni caso, a tutti i danni dipendenti dall’azione esperita) – il giudice di rinvio non avrebbe potuto disporre la condanna d’ufficio alla reintegrazione in forma specifica ma – mantenendosi nell’ambito dei “petita” effettivamente dedotti – avrebbe dovuto pronunciarsi sulla richiesta della condanna della Cosedil al risarcimento del danno in misura tale da consentire la completa ristrutturazione dell’immobile affetto dai vizi. E ciò sulla base del principio di diritto – al quale dovrà uniformarsi il nuovo giudice di rinvio – che, in tema di responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c., il risarcimento del danno riconosciuto al committente per l’eliminazione dei difetti di costruzione dell’immobile può giungere a consentire la completa ristrutturazione di quest’ultimo, comportando tale responsabilità un’obbligazione risarcitoria per equivalente finalizzata al totale ripristino dell’edificio, e non una reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 c.c. (v., ad es., Cass. 15846/2017).

11. In conclusione, previo rigetto dei primi cinque motivi del ricorso principale, vanno accolti il sesto motivo di quest’ultimo e l’unico motivo di ricorso incidentale formulato nell’interesse dei controricorrenti. Consegue, quindi, da tale pronuncia la cassazione dell’impugnata sentenza in relazione alle censure accolte ed il rinvio della causa alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, che, oltre ad uniformarsi all’enunciato principio di diritto, provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il sesto motivo del ricorso principale nonchè l’unico motivo del ricorso incidentale e rigetta i primi cinque motivi del ricorso principale.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021

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