Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11437 del 01/06/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 11437 Anno 2016
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: IOFRIDA GIULIA

ORDINANZA
sul ricorso 2571-2015 proposto da:
BAE TAE SOO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL
TRITONE 169, presso lo studio dell’av-vocato ‘ALTANA CURTILLI,
che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del
ricorso;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –

300O2)

Data pubblicazione: 01/06/2016

avverso la sentenza n. 3583/14/2014 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE del Lazio del 25/02/2014, depositata il
29/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
27/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA I0FRIDA,

Bae Tao Soo propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico
motivo, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con
controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria
Regionale del Lazio n. 3583/14/2014, depositata in data 29/05/2014,
con la quale – in controversia concernente l’impugnazione del silenziorifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria ad un’istanza del
contribuente di autotutela in relazione a quattro avvisi di accertamento
ed ad un atto di contestazione, per IRPEF dovuta negli anni dal 2003
al 2006, stante l’omessa presentazione di dichiarazioni fiscali per
l’attività di ristorazione esercitata, atti impositivi non impugnati nei
termini di legge – è stata confermata la decisione di primo grado, che
aveva respinto il ricorso del contribuente.
In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravame del
contribuente, hanno sostenuto, dopo aver ribadito, come già affermato
in primo grado, che gli avvisi di accertamento erano divenuti definitivi,
in difetto di impugnazione, e che la successiva cartella esattoriale non
poteva essere “scrutinata nel merito delle pretese tributarie”, che l’Ufficio non
aveva alcun obbligo di riesaminare in autotutela la posizione
complessiva del contribuente, trattandosi, da un lato, di un rapporto
tributario ormai definitivo, senza che l’esercizio del potere di autotutela
possa costituire un rimedio sostitutivo di quelli giurisdizionali non
attivati dal contribuente, e, dall’altro lato, che il mancato esercizio di

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In fatto

tale potere dell’amministrazione, in quanto esercizi() di un potere
discrezionale, non è sindacabile in sede giurisdizionale.
A seguito di deposito di relazione ex art.380 bis c.p.c., è stata fissata
l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale
comunicazione alle parti.

1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, la nullità della sentenza, ex
art.360 n. 5 c.p.c., per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di
discussione tra le parti, consistente nell’obbligo dell’esercizio del potere
di autotutela dell’Ufficio, in presenza di avvisi di accertamento nulli ed
illegittimi, ricavabile dagli artt.2 quater 1.656/1994,3 D.M. 11/02/1997
n. 37 e con riferimento agli artt. 3, 53 e 97 Cost..
2. La censura, ex art.360 n. 5 c.p.c., è infondata.
Premessa la piena operatività nel giudizio di cassazione in materia
tributaria del nuovo testo dell’art.360 n. 5 c.p.c., le Sezioni Unite di
questa Corte (Cass. 8053-8054/2014) hanno altresì affermato che “la
riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art.
54 del dl. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve
essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’ari. 12 delle preleggi,
come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacalo di legittimità sulla
motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale
che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto
attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della
sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale
anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetio materiale e
grafie-o”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”,
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di’safficienza” della motivazione”
(cfr. ord. 21257/2014).
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In diritto

Ne consegue che, mentre l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi
nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione
sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente
perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo
implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla

testo del n. 5) dell’art. 360 c.p.c. presuppone che un esame della
questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del
giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla “totale pretermissione”
di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella
“mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella
“motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice
difetto di “sufficienza della motivazione”.
Ora, in ordine alla contestazione del diniego di autotutela, la C.T.R. ha
motivato espressamente nel senso sopra riportato.
A fronte di tali affermazioni, il motivo dedotto dal ricorrente è
infondato, in quanto, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte
(nella sentenza n. 8053/2014)

“l’omesso esame di elementi istruttori non

integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fitto
storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice,
ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

3. La censura, ove possa anche essere qualificata come violazione di
legge, ex art.360 n. 3 c.p.c., in relazione al lamentato diniego

di

autotutela, è del pari infondata.
Questa Corte ha di recente ribadito (Cass.3442/2015; cfr. Cass.
26087/2014; Cass.25524/2014) che

“in tema di contemioso tributario, il

sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, &presso o tacito, di procedere ad
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soluzione del caso concreto, il vizio motivazionale previsto dal nuovo

un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di
illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante
interesse generale che giustificano feserci zio di tale potere, e non la fondatezza della
pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del
giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità

Nello specifico, il giudice del merito ha fatto corretta applicazione
dell’anzidetto principio, escludendo che vi fosse obbligo di adozione
del provvedimento di autotutela e così evitando di dare ingresso ad
una controversia sulla legittimità di atti impositivi minai definitivi, il
che avrebbe legittimato un mezzo di tutela sostitutivo dei rimedi
giurisdizionali che non sono stati esperiti e che non sono più esperibili
(Cass., Sez. un., nn. 2870 e 3698 del 2009; Cass., Sez. un., n. 16097 del
2009), atteso il pacifico decorso del termine utile per impugnare la
cartella di pagamento di cui è stata chiesta la rettifica.
Il ricorrente lamenta, invece, proprio il fatto che i giudici della C.T.R.
avrebbero avuto il dovere di pronunciarsi sull’inerzia dell’Ufficio,
“esaminando puntualmente i fitti esposti a presupposto di tale richiesta, sindacando
l’esistemy dell’obbligazione tributaria e verificando il corretto esercizio del potere
discrezionale dell’amministrazione”. Il che implicherebbe proprio una
richiesta di annullamento degli atti impositivi e non la deduzione di un
“interesse pubblico all’annullamento”.
4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, si dà atto della
ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente
dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.

PQM
kic. 2015 n. 02571 sez. MT – ud. 27-04-2016
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di un atto impositivo ormai definitivo”.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle
spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in
complessivi € 4.000,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese
prenotate a debito.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della

dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso, in Roma, il 27/04/2016.

ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente

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