Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11433 del 10/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 10/05/2017, (ud. 23/03/2017, dep.10/05/2017),  n. 11433

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14682/2015 proposto da:

D.D.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA

30, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO SORRENTINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato VITTORIO ROMEO;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO – C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore

della Direzione Centrale Prestazioni, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio dell’avvocato EMILIA

FAVATA che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCIANA

ROMEO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 216/2014 della CORTE D’APPELLO DI LECCE –

SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 03/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. D.D.V. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Lecce, che confermò la sentenza del Tribunale di Taranto che aveva riconosciuto in suo favore a carico dell’Inail unicamente l’inabilità temporanea conseguita all’infortunio subito il (OMISSIS) e negato la rendita, avendo accertato il c.t.u. un danno biologico pari al 3% e dunque inferiore alla soglia d’indennizzabilità ex D.Lgs. n. 38 del 2000.

2. La Corte territoriale argomentò che il consulente nominato in grado d’appello aveva ritenuto che la riportata lesione del menisco mediale del ginocchio destro non fosse riconducibile all’infortunio, conseguendo, invece, ad un evento successivo ed estraneo all’ambiente lavorativo. Nè avevano pregio le censure mosse alla quantificazione del danno, operata dal c.t.u. di primo grado previa riduzione della capacità lavorativa già conseguita ai due precedenti infortuni del (OMISSIS), mentre il diverso regime normativo cui tali eventi erano assoggettati impediva l’unificazione dei postumi.

3. Il ricorso è affidato a due motivi. Con il primo il D.D. lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. e sostiene che sulla natura di infortunio dell’evento occorso il (OMISSIS) e sulla derivazione da esso della lesione meniscale si sarebbe formato il giudicato in esito alla sentenza di primo grado. Come secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, comma 6 e lamenta che la Corte d’appello non abbia tenuto conto dei postumi dei precedenti infortuni subiti nel (OMISSIS) e nel (OMISSIS), valutandoli secondo la formula Gabrielli al fine di quantificare la riduzione della capacità lavorativa derivante dalla lesione al legamento crociato del menisco del ginocchio destro causata dall’infortunio del (OMISSIS).

4. L’Inail ha resistito con controricorso. Il ricorrente ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c..

5. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. il primo motivo è inammissibile. Esso infatti confonde i due profili, quello della dipendenza causale della denunciata malattia rispetto all’ attività lavorativa, con quello della ricostruzione dei fatti materiali verificatisi in data (OMISSIS) ed idonei a qualificare l’evento come infortunio sul lavoro (profili distinti, come ben evidenziato da Cass. 02-09-2016, n. 17528). La Corte territoriale, recependo le conclusioni del c.t.u., non ha infatti negato la verificazione dell’infortunio sul lavoro, dal quale è derivato il riconoscimento dell’invalidità temporanea, ma ha negato che esso fosse stato in concreto idoneo a determinare la patologia permanente lamentata (lesione del menisco mediale del ginocchio destro) o, quantomeno, che esso fosse stato idoneo a determinare un danno biologico superiore a quello accertato dal consulente tecnico di primo grado.

2. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.

Il D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, richiamato comma 6, dispone che “Il grado di menomazione dell’integrità psicofisica causato da infortunio sul lavoro o malattia professionale, quando risulti aggravato da menomazioni preesistenti concorrenti derivanti da fatti estranei al lavoro o da infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3 e non indennizzati in rendita, deve essere rapportato non all’integrità psicofisica completa, ma a quella ridotta per effetto delle preesistenti menomazioni; il rapporto è espresso da una frazione in cui il denominatore indica il grado d’integrità psicofisica preesistente e il numeratore la differenza tra questa ed il grado d’integrità psicofisica residuato dopo l’infortunio o la malattia professionale”. La Corte d’appello ha argomentato che correttamente il c.t.u. di primo grado aveva determinato nella misura del 3% il danno biologico derivato dall’evento del (OMISSIS), “previa riduzione della capacità lavorativa già conseguita ai due precedenti infortuni”. In tal senso, appare avere fatto applicazione del precetto legale: per confutare tale affermazione, il ricorrente avrebbe dovuto riportare il contenuto dell’elaborato peritale nella parte in cui è stato effettuato detto calcolo, in ottemperanza al principio di specificità dei motivi di ricorso che risulta ora tradotto nelle puntuali e definitive disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, onde comprendere sotto quale aspetto esso sia errato. Il ricorso propone invece un nuovo conteggio che contiene una commistione delle valutazioni operate dagli ausiliari nominati in primo e secondo grado, in sostanza sostituendo la propria valutazione finale a quelle ivi conseguite, ed il motivo si traduce in un’inammissibile rivisitazione del merito dell’accertamento peritale.

5. Segue l’inammissibilità del ricorso.

6. Il ricorrente non va assoggettato alle spese del giudizio, essendo applicabile al presente giudizio l’art. 152 disp. att. c.p.c., nella formulazione anteriore alla modifica apportata dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, art. 1.

7. Sussistono invece i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, considerato che il presupposto di insorgenza di detto obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. da ultimo ex multis Cass. ord. 16/02/2017 n. 4159).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Non assoggetta la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2017

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