Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11431 del 12/05/2010

Cassazione civile sez. un., 12/05/2010, (ud. 20/04/2010, dep. 12/05/2010), n.11431

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. PAPA Enrico – Presidente di Sezione –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sui ricorsi iscritti rispettivamente ai nn. 3397, 3398 e 3402 del

Ruolo Generale degli affari civili del 2010, proposti da:

1) I.E., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via

Appennini n. 60, presso l’avv. Di Zenzo Carmine, con l’avv.

Gianfranco Iadecola, che lo rappresenta e difende, per procura in

calce aL ricorso;

2) G.A., domiciliato in Roma, Via U. De Carolis n. 62,

presso l’avv. Giovanni Aricò, con l’avv. Salvatore Staiano, che lo

rappresenta e difende, per procura in calce al ricorso;

3) C.S., domiciliato in Roma, Via della Meloria n. 52,

presso l’avv. Francesco Bevivino, con l’avv. Giuseppe Ranieri che lo

rappresenta e difende, per procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE e MINISTRO DELLA GIUSTIZIA in carica, questo ultimo ex

lege domiciliato in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato:

– intimati –

avverso la sentenza della sezione disciplinare del Consiglio

Superiore della Magistratura n. 143/09 del 26 ottobre – 16 novembre

2009.

Udita, alla pubblica udienza del 20 aprile 2010, la relazione del

Cons. dr. Fabrizio Forte.

Uditi gli avv.ti Iadecola per I., Staiano per G. e

Bevivino, per delega, per C., e il P.M. dr. DESTRO Carlo, che

ha concluso per il rigetto dei ricorsi in ordine al D.Lgs. n. 109 del

2006, art. 2, lett. C) e per l’accoglimento di essi, per quanto di

ragione, per gli addebiti di cui alle lett. e, ff e g della citata

norma e alle conseguenti sanzioni.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La sentenza della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura n. 143 del 26 ottobre 2009 ha dichiarato i dottori I.E., G.A. e C.S., magistrati, già in servizio nella Procura Generale presso la Corte d’appello di Catanzaro, responsabili degli illeciti disciplinari di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. c), e) ed ff), infliggendo al primo, procuratore generale, la sanzione della incapacità ad esercitare incarico direttivo o semidirettivo per anni uno, al secondo, sostituto procuratore generale, la perdita di anzianità per mesi sei, e agli stessi quella accessoria del trasferimento di ufficio ad altra sede e a funzioni diverse e irrogando al terzo, sostituto nella locale Procura della Repubblica, applicato in Procura generale, la censura.

2. Come si rileva anche dalla sentenza impugnata, tra il febbraio e il settembre 2008, vi erano state molte richieste ai sensi dell’art. 117 c.p.p. dalla Procura della Repubblica di Salerno a quella Generale di Catanzaro di copia di documenti contenuti in procedimenti in corso presso quest’ultimo ufficio; il P.G., pur rifiutando di consegnare la maggior parte delle copie, per i modi non corretti di richiesta di essi, a mezzo della polizia giudiziaria e la genericità degli atti domandati, aveva contestualmente informato il P.G. presso la Corte d’appello di Salerno e quello presso la corte di Cassazione di tale richieste, protestando per tali comportamenti dei giudici di Salerno. I tre ricorrenti in questa sede il 26 novembre 2008, avuta, notizia ai sensi dell’art. 369 c.p.p. di essere indagati, dalla Procura della Repubblica di Salerno per reati commessi nell’esercizio delle funzioni, per le indagini sui quali erano stati contestualmente emessi ed eseguiti provvedimenti di perquisizione personale e domiciliare e di sequestro probatorio di atti di processi pendenti dinanzi agli uffici giudiziari di Catanzaro, in data 4 dicembre 2008, hanno a loro volta, con decreto ex art. 321 c.p.p., comma 3 bis, sequestrato gli atti dei giudici salernitani che sottraevano loro i processi e i documenti sequestrati dal loro ufficio.

Dopo avere inviato informazioni di garanzia a carico del Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Salerno, dr. A. e dei sostituti nello stesso ufficio dr. V. e N., per i delitti d’abuso d’ufficio e interruzione di pubblico servizio (art. 323 e 340 c.p.), i tre ricorrenti in questa sede avevano iniziato l’azione penale in un procedimento da loro ritenuto connesso, per detti delitti consumati per il loro collegamento con il procedimento n. 1/07 Av. cd. Why not pendente innanzi a loro, i cui documenti erano stati sequestrati. Per tale comportamento, gli indicati tre magistrati sono stati tratti a giudizio della sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura (da ora: C.S.M.) per rispondere dell’illecito consistito in atti da loro adottati nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali per i quali, già nell’addebito si è contestato che essi sarebbero stati sprovvisti della stessa titolarità dell’esercizio dell’azione penale, perchè il procedimento n. 1/07 AV pendente presso il loro ufficio per avocazione e utilizzato per affermare per connessione, in realtà doveva ritenersi loro sottratto dal sequestro già disposto e comunque dovendo essi astenersi nello stesso processo perchè già indagati dai P.M. di Salerno.

Il nuovo sequestro, pur se motivato dalla necessità di ripristino della funzionalità dell’ufficio e dalla esigenza di impedire possibili propalazioni di dati dell’indagine in corso, alcuni dei quali coperti da segreto ex art. 329 c.p.p., costituiva un illecito nell’esercizio delle funzioni.

Le infrazioni contestate per le condotte descritte sono state sintetizzate nelle conclusioni dell’addebito per cui i ricorrenti hanno risposto dinanzi al C.S.M.: A.1) violazione del dovere di astensione, per l’evidente compresenza dell’interesse personale di ciascuno dei magistrati indagati nell’adozione d’un atto che incide direttamente e immediatamente, in forma autoritativa, sullo svolgimento del procedimento penale aperto a loro carico; A.2) violazione di legge, determinata da negligenza consapevole sulla ritenuta sussistenza d’una loro competenza funzionale di cui pacificamente difettavano, sia perchè persone danneggiate dai reati contestati ai magistrati di Salerno, sia perchè, in ogni caso, avrebbe dovuto essere il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro e non la Procura generale, a iscrivere nel registro degli indagati i magistrati salernitani e a provvedere, se del caso, al sequestro preventivo almeno degli atti del procedimento Why not, con trasmissione degli stessi all’autorità giudiziaria competente a norma dell’art. 11 c.p.p., comma 3;

A.3) la interferenza ingiustificata nell’attività giudiziaria dei magistrati della Procura della Repubblica di Salerno, con arbitraria sospensione d’un loro processo penale. La sentenza impugnata riporta la vicenda richiamata a iniziare dal febbraio 2008, allorchè dai sostituti procuratori presso la Procura della Repubblica di Salerno V. e N. fu chiesta, a mezzo dei carabinieri, al Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Catanzaro dr. I. copia degli atti del processo in corso presso l’ufficio di questo noto come Why not (R.G. N. 1/07 Av), ai sensi dell’art. 117 c.p.p..

A tale istanza e ad altre successive fino a settembre 2008, fu data dal dr. I. risposta negativa, per essere le richieste irregolari per le modalità con cui erano fatte a mezzo di ufficiali di polizia giudiziaria dell’arma dei carabinieri e per la genericità di esse, che non consentivano di individuare i documenti in copia domandati; il capo della Procura generale di Catanzaro aveva però espresso la disponibilità ad incontri per coordinare l’attività dei due uffici e iniziato a trasmettere le sole copie degli atti da lui ritenuti trasmissibili. La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno in data 26 novembre 2008 disponeva allora il sequestro preventivo e probatorio degli atti in originale dei procedimenti nn. 1217/05, 2057/06 e 1/0, pendenti presso la Procura della Repubblica e quella generale di Catanzaro, disponendo pure contestualmente perquisizioni personali e domiciliari di alcuni dei magistrati in servizio presso gli uffici calabresi, eseguite il 2 dicembre 2008 e informando i dr. I., G. e C. dell’inizio dell’azione penale a loro carico.

Questi ultimi magistrati, in data 4 dicembre 2008, in concorso con altro sostituto procuratore generale non rimasto in servizio, disponevano a loro volta il sequestro preventivo e di urgenza del medesimo provvedimento indicato degli uffici di Salerno già eseguito e degli atti processuali con esso acquisiti, dando comunicazione contestuale ai magistrati di Salerno dell’indagine a loro carico per i delitti indicati.

3. Per il C.S.M. il comportamento descritto costituisce illecito disciplinare, integrando una consapevole inosservanza dai soggetti incolpati del loro obbligo di astenersi da ogni processo di cui al capo A.1., dovere negato dai tre ricorrenti perchè l’art. 52 c.p.p. prevede la sola facoltà (e non l’obbligo) di astenersi e nel caso con l’astensione si sarebbe consentito ai magistrati di Salerno di consumare il delitto di interruzione di pubblico servizio con atto processualmente abnorme, quale era il loro sequestro preventivo.

Ad avviso dei ricorrenti tale sequestro non muoveva da interessi personali ma da quello pubblico di difendere la giurisdizione degli uffici di Catanzaro, essendo strumentale la sottrazione di documenti di cui i giudici di Salerno avrebbero potuto chiedere copia e dovendosi evitare la diffusione di atti riservati, quali il cd.

archivio Genchi, banca dati di intercettazioni relative a molteplici utenze telefoniche di vari soggetti operanti nelle istituzioni, per cui nessuna negligenza o intento di interferire in un’attività giurisdizionale v’era nella condotta imputata. Il C.S.M. nega che un magistrato cui è assegnato un procedimento penale, in caso di sequestro dei documenti relativi allo stesso da altra autorità giudiziaria, anche a ritenere tale atto abnorme, possa esercitare un’iniziativa penale a carico del collega sequestrante, acquisendo, con proprio atto di sequestro, il materiale sottratto; a suo avviso, tali fatti superano la mera inosservanza dell’obbligo di astensione dell’art. 52 c.p.p., comma 2, per dar luogo all’emissione di atti da soggetti privi del potere di iniziare l’azione penale.

Per astenersi, ad avviso del C.S.M., occorre un procedimento penale che nel caso fu iniziato ex novo dai magistrati calabresi a carico di quelli di Salerno che li avevano indagati per altri reati, con provvedimenti considerati dal giudice disciplinare abusi dello strumento processuale, finalizzati a tenere fermi gli atti a Catanzaro, per scopi diversi da quelli di legge. Il sequestro di cui al capo d’incolpazione si è escluso che si sia emesso in autotutela o per una sorta di legittima difesa o per adempimento di un dovere, rispetto all’iniziativa della Procura di Salerno; secondo il C.S.M., anche a ritenere per ipotesi abnorme la condotta dei giudici salernitani, il fine per cui hanno agito gli incolpati è comunque diverso da quello di legge, non rilevando per tale profilo se il sequestro disposto sia o meno legittimo processualmente, perchè la valutazione disciplinare del comportamento dei giudici prescinde dalla validità o meno dei provvedimenti adottati.

Per il. C.S.M. il comportamento dei tre incolpati è stato espressione di un’abnormità processuale integrante le fattispecie di cui ai punti A.1., A.2. e A.3. del capo d’incolpazione, pur se si consideri psicologicamente motivata la reazione degli incolpati, non necessitati però ad agire come deciso. Per la sezione disciplinare, gli incolpati, dopo “essere divenuti indagati … non avevano il potere (meno che mai il diritto) di esercitare azione penale nei confronti dei loro inquirenti: avere esercitato l’azione penale, tra l’altro senza porsi problemi di competenza ai sensi dell’art. 11 c.p.p., costituisce un agire senza potere”.

Vi è stata una abnormità deontologica, cioè un comportamento professionale al di fuori d’ogni previsione processuale, corrispondente alla ipotesi di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. ff con interferenza dei giudici calabresi nel processo in corso a Salerno, “tentando di determinarne la sorte, appunto senza avere alcun potere”. Tale condotta, anche se costituente reazione a quella ipoteticamente illecita e abnorme dei magistrati salernitani, ha arrecato altrettanto o più grave danno al sistema giurisdizionale nel suo complesso, producendo stallo dei processi e incertezza delle regole, per cui era sussistente la violazione di cui sopra, con assorbimento della contestazione di cui al punto g. In rapporto a tale infrazione, il C.S.M. ha graduato le sanzioni in ragione della misura di responsabilità di ciascun incolpato, pervenendo a infliggere le sanzioni principali e accessorie sopra riportate.

Per la cassazione di tale sentenza, è stato proposto il ricorso n. 3397 di otto motivi, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., dal dr. I.E., quello n. 3398, di diciotto motivi, dal dr. G.A. e quello n. 3402 di tre motivi, dal dr. C.S. e nessuna difesa si è proposta in questa sede dal Ministero della giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I tre ricorsi sono proposti contro la stessa sentenza e quindi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1. Appare opportuno esaminare insieme i tre ricorsi, essendo analoghe o identiche molte delle questioni proposte, che possono, in rapporto al loro oggetto, articolarsi in tre gruppi: 1) mancata correlazione tra sentenza impugnata e incolpazione; 2) contestazioni di cui ai capi A1, A2 e A/3 dell’addebito; 3) violazioni di legge e carenze motivazionali nell’accertamento delle infrazioni e nell’irrogazione delle sanzioni.

1.1. Mancata correlazione tra sentenza impugnata e incolpazione.

I ricorrenti censurano tutti la decisione del C.S.M. per essersi discostata dall’addebito loro contestato; con il primo degli otto motivi del suo ricorso, il dr. I., deducendo violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., art. 620 c.p.p., lett. e ed f come richiamati dal D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 18, comma 4 e dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c afferma che la sentenza impugnata, per la prima volta, ha rilevato carenza di potere dei giudici calabresi nell’instaurare il processo a carico dei colleghi di Salerno per un reato da loro ritenuto connesso a quelli per i quali essi procedevano.

Il C.S.M. s’è rifatto alla sentenza delle S.U. 7 luglio 2009 n. 15976, che ha respinto il ricorso contro le misure cautelari adottate a carico del ricorrente I., affermando che “il magistrato del P.M. sottoposto a procedimento penale non può reagire sottoponendo a sua volta a procedimento penale il magistrato che indaga sul suo conto”, sul presupposto di un processo ex novo che non sarebbe indicato nell’incolpazione, accertato in sentenza, ma non contestato nell’addebito. Altrettanto è a dire in ordine alla qualificazione di “abnorme” dell’atto di sequestro, per la quale, con una parte del secondo motivo del suo ricorso, lo stesso dr. I. deduce violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. c, e, g in relazione all’art. 12 c.p.p., lett. e, art. 52 c.p.p., comma 1, art. 321 c.p.p., comma 2 bis e dell’art. 606 c.p.p., lett. b e c, anche per difetto di motivazione, non avendo il C.S.M. considerato le circostanze di cui alle memorie difensive, emergenti dalla stessa contestazione, che giustificavano la condotta dei giudici di Catanzaro e il provvedimento di sequestro preventivo adottato.

Ad avviso del C.S.M. era ipotizzabile, in rapporto all’atto dei giudici salernitani, qualificato solo ipoteticamente abnorme, la inerzia dei ricorrenti, pur essendovi poteri, che vanno esercitati dal giudice che deve astenersi, di porre in essere gli atti urgenti che restano efficaci, ai sensi degli artt. 41 e 42 c.p.p., per fermare gli effetti d’un abuso che colpisce l’ufficio giudiziario e non le persone dei giudici che in esso operano. Nessun rilievo si è dato al carattere abnorme e gravemente lesivo della giurisdizione del sequestro probatorio deciso a Salerno, che ha leso interessi costituzionalmente protetti e comportato una interruzione di pubblico servizio, per la quale i magistrati di Salerno sono stati assolti dal G.I.P. di Perugia, solo per l’errore in cui sono incorsi per esservi stati indotti dalle dichiarazioni del dr. D.M..

Il sequestro disposto a Salerno avrebbe determinato, in violazione dell’art. 111 Cost., una irragionevole durata dei processi pendenti davanti ai giudici di Catanzaro che sono intervenuti con i loro atti per adempiere al dovere loro imposto dalla norma costituzionale citata, con esimente di ogni eventuale violazione disciplinare ai sensi dell’art. 51 c.p., come dedotto nel quinto motivo di ricorso del dr. G..

Ad avviso di quest’ultimo, nessuno dei ricorrenti ha ritenuto di aver subito un’ingiustizia nei propri confronti dall’azione dei giudici di Salerno, cui essi hanno soltanto reagito con provvedimenti giudiziari, avendo difeso in tal modo la loro funzione giurisdizionale con la condotta loro imputata. Non si è dedotta dagli incolpati l’esimente della legittima difesa o dello stato di necessità, cui fa riferimento la sentenza impugnata, ricorrendo un caso di adempimento d’un dovere espressamente prospettato come tale negli scritti difensivi, apparendo chiaro, anche per tale profilo, che la sentenza non si conforma ai fatti contestati, così violando il diritto di difesa del ricorrente e i principi del giusto processo.

Oltre che per i profili indicati, con il sesto motivo di ricorso, censurando la rilevata responsabilità per la mancata astensione, il dr. G. lamenta pure che illogicamente non si sono valutate le esigenze pubbliche evidenziate nella motivazione del sequestro probatorio della Procura generale di Catanzaro, fondato sulla necessità di impedire l’interruzione di un pubblico servizio e sull’esigenza di evitare la propalazione delle intercettazioni del cd. archivio Genchi, riguardante migliaia di utenze telefoniche, intercettate senza garanzie processuali. Anche per tale profilo, la sentenza non sembra riferirsi alle incolpazioni contestate, in cui tali circostanze di rilievo pubblico esimenti da ogni responsabilità sono riportate e avrebbero dovuto determinare un esito diverso del processo. Anche nel settimo motivo di ricorso del G., sempre in via principale diretto a impugnare l’affermata inosservanza dell’obbligo di astenersi, si deduce che la stessa affermazione del C.S.M. che l’illecito contestato, in connessione alla tipizzazione delle violazioni disciplinari, deve “ricondursi in sostanza ad un uso complessivamente personale del processo comunque psicologicamente motivato”, evidenzia il dedotto discostamento della decisione dagli addebiti contestati. Con il nono motivo del suo ricorso il G. denuncia poi di essere stato condannato per la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. ff per l’adozione di provvedimenti al di fuori di ogni previsione processuale, pur essendogli stato contestato di avere adottato provvedimenti non previsti da norme vigenti o in base a un errore macroscopico e a una grave e inescusabile negligenza, come sancito dalla norma, per cui la sanzione si sarebbe inflitta, per tali profili, in difetto assoluto di contestazione.

La sentenza disciplinare configura l’illecito geneticamente nella carenza di potere mentre la contestazione riguarda i soli effetti del sequestro, con diversità di questa rispetto all’addebito riconosciuto in sentenza, come il dr. G. afferma nel motivo undecimo del suo ricorso.

Il dr. C., infine, impugna la sentenza del C.S.M. censurando, nel primo dei tre motivi del suo ricorso, la inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità ai sensi degli art. 606 c.p.p., lett. e, artt. 521 e 522 c.p.p. del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 18, comma 4 per avere affermato che nel caso non si sarebbe violato il mero dovere di astenersi, ma si sarebbe agito dai ricorrenti contro i giudici salernitani, in carenza assoluta di potere. Il motivo indicato ripete che l’azione senza potere è un fatto nuovo riscontrato nella presenza di un interesse personale degli inquirenti catanzaresi nel sequestro incidente sul procedimento a loro carico instaurato dai colleghi di Salerno, che avrebbe costituito “un’abnormità deontologica”, motivo di addebito non contestato, per il quale nessuna difesa si è esplicata.

1.2. Contestazioni dei capi A1, A/2 e A/3 dell’addebito.

A.1. Inosservanza del dovere di astenersi. In ordine al dovere di astenersi, il dr. I., oltre a quanto dedotto al punto 1.1., nel quinto motivo del ricorso lamenta violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. c e dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b, non essendo motivata l’inosservanza contestata, che anzi manca per i pubblici ministeri che, ai sensi dell’art. 52 c.p.p., hanno la “facoltà” e non “l’obbligo” di astenersi. Ciò risulta per il ricorrente dalla citata sentenza delle S.U. n. 15976/2009 che afferma esservi obbligo di astensione solo se l’esercizio della funzione giurisdizionale sia configurabile in astratto come reato, fattispecie che la decisione del C.S.M. neppure considera, insistendo sulla natura deontologica e non delittuosa della mancata astensione nel caso, con difetto di motivazione della affermazione di responsabilità degli incolpati. Sullo stesso argomento – afferma il dr. G. nel primi otto motivi del ricorso per quanto non già richiamato in precedenza – la sentenza illogicamente afferma la violazione del dovere di astensione, pur avendo negato che tale obbligo possa adempiersi in mancanza di un processo (1^ motivo), ed escludendo che possa qualificarsi procedimento giurisdizionale quello iniziato ex novo e considerato connesso dagli incolpati ai processi in corso presso il loro uffici, i cui atti erano stati sequestrati dai giudici di Salerno (2^ motivo).

I ricorrenti si sono difesi dall’accusa di non essersi astenuti, pur non essendovi dovere di astensione in difetto di loro atti di indagine a carico dei giudici salernitani (3^ motivo), perchè solo una condotta di tale tipo, anche per il C.S.M., avrebbe dato luogo alla pretesa assenza del potere di agire di magistrati indagati nei confronti dei giudici che li avevano informati della accusa e dell’azione penale iniziata a loro carico (3^ motivo).

Il quarto motivo di ricorso del G. insiste sulla illogicità e mancata motivazione della sentenza disciplinare per i profili detti e nel quinto si deduce violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. c, e dell’art. 52 c.p.p., avendo il C.S.M. preteso l’astensione dal solo atto di “sequestro probatorio” e non dall’intero processo; siffatto dovere del P.M. non è configurabile e si qualifica, nella sentenza impugnata, come carenza di potere concreto di adottare il provvedimento. In realtà nessun atto di indagine è stato compiuto dagli incolpati, che non hanno quindi esercitato l’azione penale in cui avrebbero dovuto astenersi, disponendo il sequestro solo per impedire l’interruzione del loro servizio giurisdizionale, in adempimento dei doveri di cui già si è detto, come si afferma nel sesto motivo di ricorso del G., che ritiene il provvedimento atto dovuto: su tale punto la sentenza disciplinare omette ogni motivazione, così come sugli elementi psicologici dell’infrazione connessa alla mancata astensione (settimo motivo). In conclusione, per il dr. G., la inosservanza del dovere di astensione esprime solo una diversa lettura delle norme, anche in rapporto alla adozione del sequestro preventivo, alla quale non può darsi rilievo disciplinare senza incidere sulla indipendenza e autonomia dei magistrati (ottavo motivo).

In rapporto all’addebito di omessa astensione, il dr. C. denuncia, nel secondo motivo del suo ricorso, la violazione dal C.S.M. delle norme di cui all’art. 606 c.p.p., lett. c, artt. 11 e 52 c.p.p., art. 323 c.p., art. 321 c.p.p., comma 3 bis e art. 27 c.p.p., perchè mai è stata in fatto iniziata l’azione penale dai giudici di Catanzaro come afferma invece la sezione disciplinare, non essendosi compiuti atti di indagine sull’attività giurisdizionale dei P.M. di Salerno. A/2 Sull’esercizio dell’azione penale e sulla competenza. Si è già accennato nel punto 1.1. alla difesa del dr. I. su tale contestazione, nel suo secondo motivo di ricorso, che tra l’altro contesta la sentenza impugnata per avere affermato l’esistenza di un interesse personale nell’azione a carico dei magistrati salernitani, da cui si fa derivare l’esercizio senza potere di tale azione e la natura abnorme del sequestro disposto, che intendeva invece solamente tutelare la funzione giurisdizionale della Procura di Catanzaro.

Non è corretta la sentenza della sezione disciplinare quando afferma che i ricorrenti, divenuti indagati con l’informazione di garanzia, “non avevano il potere … di esercitare azione penale nei confronti dei loro inquirenti”, perchè l’affermazione non tiene conto che la misura preventiva voleva solo evitare la consumazione del reato di interruzione di pubblico servizio contestato ai giudici di Salerno, tanto che, una volta riacquisiti gli atti, si è potuta estendere la imputazione del delitto che precede al dr. D.M., trasmettendosi detti atti alla Procura della Repubblica di Salerno, competente ai sensi dell’art. 11 c.p.p. a valutare tali accuse a carico del magistrato in servizio negli uffici di Napoli, con esclusione dell’incompetenza funzionale contestata.

Ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 3 bis, e art. 27 c.p.p., il sequestro probatorio della Procura di Catanzaro era valido, ben potendo emetterlo il P.M. pure se incompetente, quale atto incidentale e provvisorio, avendo i giudici che lo hanno adottato chiesto al competente G.I.P. la convalida di esso, per cui va denegata l’assenza di potere ritenuta dal C.S.M..

Come dedotto nel sesto motivo del ricorso, lo I. non era parte lesa dei reati per i quali ha indagato i giudici di Salerno, essendo gli stessi a tutela di interessi pubblici, dovendosi negare il difetto di competenza funzionale del Procuratore generale di Catanzaro, per esservi solo quella del Procuratore della Repubblica, in ragione della rilevata connessione con processi già avocati all’ufficio del ricorrente. Nel decimo motivo del suo ricorso il G. contesta l’intera infrazione per cui è stato condannato, negando che nel caso si siano emessi atti senza potere e che dovesse applicarsi l’art. 11 c.p.p., dopo che il sequestro probatorio abusivo dei giudici salernitani era stato consumato nel distretto di Catanzaro, per cui erano i giudici degli uffici di tale città a dovere agire, non potendosi spostare la competenza a Napoli per la detta norma del codice di rito e dovendo agire, essendovi stata l’avocazione del procedimento principale cui l’attività dei magistrati di Salerno ineriva.

La sola Procura generale di Catanzaro, che aveva la stessa posizione di quella della Repubblica, in difformità da quanto si afferma nell’addebito e nella sentenza era competente per territorio a iniziare l’azione e l’addebito relativo è quindi insussistente, a differenza di quanto afferma il C.S.M..

A/3 L’interferenza degli incolpati. Il settimo motivo di ricorso dello I. denuncia omessa motivazione sulla ingiustificata interferenza nell’attività di altri magistrati, sia perchè l’unico appiglio argomentativo sarebbe quello del preteso danno gravissimo arrecato al sistema giurisdizionale nel suo complesso e nello stallo o paralisi dei processi che il sequestro avrebbe potuto determinare, sia perchè, in base alla giurisprudenza prevalente, la nozione di interferenza di cui all’addebito (D.Lgs. N. 9 del 20069, art. 2, comma 1, lett. c) si identifica nelle pressioni psicologiche sulla coscienza e volontà del magistrato nell’esercizio delle funzioni e non in atti giudiziari che ostacolino in fatto l’attività giurisdizionale e il processo nel suo progredire, da ritenere comunque mancanti nella fattispecie. I motivi di ricorso del G., dall’undicesimo al sedicesimo, attengono tutti alla ingiustificata interferenza nell’attività di altro magistrato, in rapporto al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, censurandosi la sentenza disciplinare per avere affermato che, con il loro sequestro probatorio, gli incolpati avrebbero interferito nel processo salernitano, “determinandone o tentandone di determinarne la sorte, appunto senza potere”, mentre l’incolpazione aveva riguardo ad una “arbitraria sospensione del procedimento”.

In analogia con le censure proposte dallo I., con il dodicesimo motivo di ricorso del G., si deduce la violazione della L. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. c perchè la norma non attiene alla emissione di atti giudiziari ma a mere condotte personali interferenti, tanto che l’attività è qualificata come ingiustificata e non illegittima, essendo di mero fatto, per cui dell’interferenza s’è tenuti a dare comunicazione al capo dell’ufficio, come previsto dalla successiva lett. f, prevedendosi una speciale sanzione se l’interferenza viene operata dal capo dell’ufficio.

Sul piano normativo, è esclusa quindi da tale infrazione l’emissione di atti giurisdizionali, con erroneità conseguente, per tale profilo, della sentenza impugnata e il tredicesimo motivo di ricorso del G. deduce anche la omessa motivazione in ordine alla contestata interferenza, tentata o consumata, a mezzo del sequestro probatorio, per cui ogni affermazione della sentenza sul punto è ingiustificata, mentre il successivo profilo di ricorso afferma non sussistere il tentativo di incidere sulla sorte del processo in corso a Salerno, con un sequestro durato cinque giorni (dal 5 al 10 dicembre 2009) e poi revocato, ostacolando così solo per alcune ore le indagini dei giudici salernitani.

Il motivo successivo censura ancora la limitatissima e sostanziale irrilevanza del sequestro calabrese sulle attività giurisdizionali dei giudici salernitani che, sul piano oggettivo e soggettivo, poteva comportare la applicazione al caso del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis.

1.3. Violazioni di legge e carenze motivazionali nell’accertamento della infrazione disciplinare e nell’ irrogazione delle sanzioni. Con il terzo motivo del suo ricorso, lo I. deduce pure violazione dal C.S.M. del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. ff in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c, mancando di motivazione la decisione in ordine alla “abnormità disciplinare” delle condotte dei giudici di Catanzaro, anche con “riferimento all’emissione di un provvedimento legittimo”, per cui andrebbe accertata un’attività del ricorrente che, in aggiunta al sequestro confermi tale valutazione complessiva del suo comportamento.

L’assenza di interessi personali degli incolpati si è evidenziata dalla pronta trasmissione degli atti in copia ai giudici salernitani, una volta concordate le modalità di richiesta e di inoltro; in tal senso non si comprende quale condotta sia stata lesiva del prestigio dell’ordine giudiziario e abbia dato luogo all’illecito disciplinare, mancando ogni motivazione sul punto.

I giudici di Catanzaro hanno rispettato l’art. 117 c.p.p., evidenziando la disponibilità ad inviare in copia gli atti chiesti, confermata dal successivo ritiro della richiesta di convalida del proprio sequestro al G.I.P. e dall’inoltro degli atti necessari ai giudici salernitani per la loro inchiesta. Lamenta il quarto motivo di ricorso la mancata motivazione della decisione impugnata in ordine alla valutazione solo “ipotetica” dell’abnormità del sequestro probatorio disposto dai giudici salernitani incidente su interessi pubblici, sulla quale si era fondata la difesa del ricorrente.

Il C.S.M. doveva tener conto della gravità dell’atto dei magistrati salernitani sia nel giudizio di responsabilità che nella graduazione della sanzione, mentre, su tale circostanza, manca ogni motivazione della decisione, pur riportando l’addebito l’esistenza del sequestro disposto dai P.M. di Salerno. Nell’ottavo, nono e decimo motivo del G. si deduce poi che i motivi relativi alla ritenuta violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2 lett. ff sono tre, sussistendo la violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c, art. 620 c.p.p., lett. f e D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 18, comma 4 che sanziona l’adozione di provvedimenti non previsti dalle norme vigenti o basati su un errore macroscopico o una grave inescusabile negligenza, condotte mai contestate in fatto al G..

In particolare si lamenta violazione del D.Lgs. 109 del 2006, art. 2 comma 1, lett. ff, perchè la norma citata non colpisce provvedimenti abnormi o deontologicamente tali, come afferma la sentenza impugnata che collega la sanzione all’avere il ricorrente e i suoi colleghi emesso il sequestro probatorio senza averne il potere, per essere “indagati” dai giudici di Salerno. Tale affermazione del C.S.M. sembra piuttosto applicare la norma nella versione vigente prima della modifica di cui alla L. 269 del 2006, che sancisce la sanzionabilità della “adozione di provvedimenti non previsti da norme vigenti” e non quelli “al di fuori di ogni previsione processuale”, come si dice nella sentenza disciplinare, per cui il dato normativo nessun rilievo da ai comportamenti di chi agisce, sanzionandosi solo l’adozione di provvedimenti non previsti dall’ordinamento vigente. Il G. denuncia violazione del cit.

D.Lgs., art. 2, comma 1, lett. g e ff già richiamato e degli artt. 521 e 522 c.p.p., art. 620 c.p.p., lett. f, art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c, e art. 18, comma 4, del citato D.Lgs., per avere la sentenza dichiarato assorbita l’infrazione di cui alla lett. g in quella della lett. ff, che, in base a quanto già detto, non sussiste.

Invero le violazioni di legge della lett. g sarebbero consistite, per il C.S.M,., nel non aver rilevato il difetto della loro competenza funzionale, quali soggetti danneggiati dai reati contestati ai colleghi di Salerno, e per essere competente eventualmente solo il locale Procuratore della Repubblica, ma in tal modo nessun rilievo si da alla connessione che nel capo di incolpazione si definisce opinabile.

La sentenza impugnata, affermando che il provvedimento poteva emettersi dal Procuratore della Repubblica, implicitamente ne riconosce la previsione da parte della normativa vigente, dovendo escludersi per i reati ritenuti a carico dei giudici salernitani che gli stessi (artt. 323 e 340 c.p.) avessero ad oggetto le persone dei giudici di Catanzaro e non beni inerenti alla sfera pubblica. Nel caso era inapplicabile l’art. 11 c.p.p. fino al momento dell’estensione dell’accusa al dr. D.M. e quindi l’illecito della lett. g non vi era in fatto, non essendo i ricorrenti persone danneggiate dai reati in ipotesi addebitati ai giudici salernitani, nè essendo per questi competente la sola Procura della Repubblica di Catanzaro.

Infine, con gli ultimi due motivi di ricorso, il dr. G. deduce l’illogicità di alcuni assunti della sentenza disciplinare e la omessa motivazione delle sanzioni irrogate; ad avviso del C.S.M. la stessa informativa data ad altre autorità del sequestro probatorio dei magistrati di Catanzaro, ne dimostra l’eccentricità rispetto al sistema e costituisce una sorta di ammissione di colpa,. mentre, secondo il ricorrente tale atteggiamento era relativo al comportamento dei giudici di Salerno, essendo inconferente l’affermazione, dai giudici disciplinari, di un uso dello strumento cautelare probatorio considerato in se stesso “e non alla luce della sua ratio”, non potendosi ammettere in “materia processuale, in quella dei conflitti di competenza” in specie tra “istituzioni inquirenti”, il ricorso ad una sorta di legittima difesa del magistrato che ritenga l’altrui iniziativa fortemente illegittima.

Ciò significa erroneamente personalizzare la vicenda che è invece istituzionale, essendo apodittico affermare che la scelta del medesimo atto cautelare dei giudici salernitani, da loro stesso ritenuto “fuori processo”, possa giustificarsi come reazione all’atto identico da loro definito abusivo e interruttivo del loro servizio, anche se assunto a difesa della giurisdizione loro attribuita dalla legge.

In ordine infine al tipo e alla misura delle sanzioni principali e accessorie irrogate, afferma l’ottavo motivo di ricorso del dr. I. che il C.S.M. ha applicato i suoi provvedimenti disciplinari sulla pretesa carenza di potere sua e del suo ufficio ad esercitare l’azione penale, fondando su tale errore la graduazione di responsabilità e delle sanzioni a lui applicate. Si è così in motivazione disposto il solo trasferimento di ufficio del dr. I., mentre in dispositivo viene applicata tale sanzione con la specificazione che il trasferimento attiene sia alla sede che alla funzione, senza considerare in alcun modo l’attività professionale pregressa sempre qualificata di alto livello, con conseguenti gravi carenze motivazionali su detto punto decisivo della sentenza.

Anche secondo il dr. G., è completamente omessa ogni motivazione sulla sanzione del trasferimento ad altra sede e ad altre funzioni a lui irrogata, che è sanzione facoltativa, in quanto tale da motivare, derogando oltre tutto a principi costituzionali (art. 107 Cost.), dovendosi, anche in rapporto alla pena principale, dare conto della ragione per cui si sono irrogate entrambe le punizioni, potendosi applicare la sola censura per i comportamenti contestati.

2.1. Incolpazione e sentenza. In rapporto alla non corrispondenza tra addebito contestato e violazione disciplinare accertata dalla sentenza impugnata, i ricorsi sono tutti infondati e da rigettare, dovendo negarsi si sia avuto nel caso un mutamento dei fatti sui quali i ricorrenti si sarebbero dovuti difendere in corso di causa, in violazione dell’art. 522 c.p.p. e più in generale del principio del contraddittorio, essendo invece rimasti fermi gli elementi essenziali delle contestazioni per le quali il C.S.M. ha accertato la responsabilità dei tre ricorrenti (cfr. sul tema da ultimo S.U. 23 dicembre 2009 n. 27290, 28 settembre 2009 n. 20730 e 1 luglio 2008 n. 17935, tra molte altre).

In realtà, il C.S.M., in attuazione di principi giurisprudenziali più volte enunciati da queste sezioni unite, ha rilevato la responsabilità dei ricorrenti per il loro provvedimento di sequestro di atti e documenti dei giudici di Salerno in ragione delle condotte e dei comportamenti negligenti e strumentali a base dell’adozione dell’atto nell’esercizio delle loro funzioni (S.U. 17 febbraio 2009 n. 3759 e 27 luglio 2007 n. 16626). Per le censure proposte sul tema dal dr. I., deve osservarsi che la carenza di potere cui fa cenno la sentenza e che per il ricorrente non sarebbe richiamata nel capo di incolpazione, è invece nello stesso definita mancanza “della titolarità dell’esercizio dell’azione penale”, in diritto per il dovere di astenersi e in fatto per non potere essi accertare la ritenuta connessione di tale azione con quelle pendenti a Catanzaro, la cui documentazione era sottratta materialmente e giuridicamente alla disponibilità dei giudici calabresi dal sequestro già eseguito disposto a Salerno.

Esattamente la decisione impugnata si riferisce ad un processo ex novo che lo I. ritiene mancare nella contestazione e che è invece quello iniziato nel dicembre 2008 dagli stessi ricorrenti, nell’esercizio delle loro funzioni, a carico del capo della procura della Repubblica presso il tribunale di Salerno e dei suoi sostituti, dopo che gli incolpati erano stati già informati delle indagini iniziate a loro carico dai magistrati a carico dei quali essi hanno esercitato l’azione penale.

Neppure vi è difformità tra fatti contestati e quelli accertati dalla sentenza, con la definizione da questa data al sequestro posto in essere dagli incolpati come provvedimento “abnorme”, dovendosi qualificare tale l’atto adottato da qualsiasi giudice oltre i limiti della legge o per fini diversi da quelli sanciti nelle norme, come si ritiene dal C.S.M. sia avvenuto nel caso, per avere ritenuto “pertinente al reato” (art. 321 c.p.p., comma 1) il bene sequestrato costituito dalla documentazione originale di un procedimento penale, assoggettata a sequestro preventivo (sull’atto abnorme civile Cass. 21 giugno 2006 n. 14292 e su quello penale Cass. pen. Sez. 2, 5 giugno 2003 n. 27716 e S.U. pen. 24 novembre 1999 n. 26).

Sono le stesse affermazioni dei ricorrenti, di avere esercitato l’azione penale per impedire l’acquisizione ad altri uffici giudiziari di atti soggetti a segreto ai sensi dell’art. 329 c.p.p. come il cd. archivio Genchi e l’uso degli atti sequestrati ai magistrati salernitani, dato l’abuso da loro ipotizzato per questi ultimi commesso con il pregresso loro sequestro in danno degli uffici giudiziari calabresi ostativo anche all’esercizio di un pubblico servizio, che dimostrano l’uso dello strumento processuale preventivo per fini diversi da quelli previsti dalla legge, come affermato dal C.S.M..

Affermare, come dedotto in ricorso che, per il C.S.M., unica reazione agli abusi di altri giudici di uffici giudiziari diversi dai loro per i tre ricorrenti avrebbe dovuto essere la loro inerzia, non corrisponde a verità, perchè la sentenza disciplinare non prospetta siffatta soluzione del conflitto tra Procure verificatosi in concreto, ma afferma solo che sarebbe stato possibile l’uso degli strumenti processuali propri della funzione giurisdizionale ovvero che spettano a tutti i cittadini, dai magistrati di entrambi gli uffici giudiziari, il cui comportamento, ancor prima dei provvedimenti adottati, si è ritenuto esattamente costituire “un’abnormità deontologica”. Per tale profilo, già nelle lettere del dr. I. di risposta alla richiesta di copia di atti processuali non è utilizzato lo strumento del “decreto” che rifiuta la consegna delle copie di atti di cui all’art. 117 c.p.p. e che si sarebbe potuto impugnare dai giudici salernitani, cui tale potestà è stata preclusa dalla mera corrispondenza tenuta dalla Procura generale di Catanzaro. Questo ultimo ufficio neppure ha tentato di risolvere i conflitti di competenza nei modi di cui all’art. 54 bis c.p.p., e quindi correttamente si è qualificato come “abnorme” l’uso di un provvedimento di sequestro preventivo e probatorio, disposto per fini diversi da quelli istruttori e in rapporto ad un fine che deriva dalla stessa accusa insita nell’iniziativa dell’azione penale dalla quale gli incolpati, come poi si chiarirà, dovevano astenersi per i loro interessi anche personali che alla stessa inerivano (cfr., nello stesso senso la citata S.U. n. 15976/2009). Quanto detto risponde in gran parte anche alle censure del dr. G., che fa riferimento all’esimente dell’adempimento di un dovere di cui all’art. 51 c.p., incompatibile con la responsabilità per l’infrazione se eventualmente ritenuta commessa, senza considerare che l’interesse ritenuto sussistente dal C.S.M. nella reazione della Procura generale di Catanzaro emerge dalle informazioni di garanzia (369 c.p.p.) di cui egli e gli altri ricorrenti come persone fisiche sono stati destinatari ad opera dei giudici di Salerno, atti che da soli erano idonei a determinare l’interesse “personale” che rendeva incompatibile con l’esercizio delle funzioni la loro iniziativa di azione penale, essendo i delitti ipotizzati dalla Procura di Salerno nella notizia data dell’accusa da ritenere commessi dagli indagati, i quali per tale ragione erano personalmente interessati a fermare l’azione dei colleghi salernitani (su tale interesse S.U. 29 gennaio 2007 n. 1821, relativa a inosservanza del dovere di astenersi del P.M. prima della riforma del 2006). Esattamente si afferma quindi nella sentenza che vi è stato un “uso complessivamente personale del processo” penale, senza uscire dai fatti dell’incolpazione e accertando la violazione disciplinare contestata agli incolpati, essendo chiaro che la cd. carenza genetica di potere dei giudici calabresi deriva in tesi per il C.S.M. dalla pregressa iniziativa processuale di Salerno, che coinvolgeva interessi propri degli indagati che, con grave negligenza hanno quindi posto in essere provvedimenti che come tali non sono previsti da norme vigenti e aventi scopi sicuramente diversi da quelli per i quali la legge li prevede, anche a non considerare la coesistenza di interessi pubblici e privati nel reato di abuso di ufficio che nel caso concreto era stato contestato (Cass. pen. 5 aprile – 13 luglio 1989 n. 10306).

La sentenza impugnata afferma la violazione del dovere di non esercitare l’azione penale per i magistrati in servizio in un ufficio di Procura a carico di giudici di altro ufficio dello stesso tipo, che abbiano a loro volta iniziato un’azione penale a loro carico con un’accusa della quale essi siano stati informati; in tale contesto comportamentale si inseriscono gli atti adottati nell’esercizio della funzione giurisdizionale e in specie il sequestro, ritenuti disciplinarmente rilevanti.

Il comportamento non collaborativo dei giudici calabresi e di quelli di Salerno nell’esercizio delle funzioni, ferma restando la corretta non affermazione in questa sede di una responsabilità disciplinare dei magistrati dell’altro ufficio da accertare eventualmente in altra sede, integra una condotta che, con quella dell’abnorme sequestro adottato dagli incolpati, corrisponde a quella di cui al D.Lgs. N. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. ff per la quale esattamente si afferma la responsabilità dei ricorrenti, per il provvedimento di sequestro emesso oltre i limiti dell’art. 321 c.p.p. con la gravissima negligenza sopra evidenziata, che ha comportato la violazione di legge di cui anche alla lett. g dello stesso decreto assorbita dall’infrazione accertata.

2.2. Le singole contestazioni In rapporto alla contestazione di cui al punto A/1 dell’addebito, il richiamo del dr. I. alla sentenza delle S.U. n. 15976 del 2009, per la quale solo la astratta configurabilità del delitto di abuso di ufficio può configurare l’ipotesi del dovere dei P.M. di astenersi, non è in contrasto con l’accertamento della violazione di cui alla sentenza impugnata, perchè è ovvio che gli stessi delitti contestati dai ricorrenti ai magistrati di Salerno (abuso d’ufficio e interruzione di pubblico servizio) sarebbero stati ipotizzabili anche a carico degli incolpati in questa sede, per cui nessun errore del C.S.M. vi è su tale punto.

Ritiene peraltro questa Corte che la complessiva disciplina del dovere di astensione e la lettura coordinata degli artt. 52 e 53 c.p.p. e dell’art. 73 c.p.c. impongano di ritenere l’esistenza anche per il P.M. del dovere di valutare nell’esercizio delle sue funzioni le ragioni di grave convenienza per non trattare cause in cui egli o suoi stretti congiunti abbiano interessi e quello di astenersi dal processo se tali ragioni sussistano, con particolare riferimento a interessi propri o personali dello stesso magistrato.

Come precisato da S.U. 25 novembre 2009 n. 24578, la obbligatorietà della azione penale ha indotto il legislatore a porre in termini di “facoltà” e non di “dovere” la posizione soggettiva dei magistrati del P.M., in rapporto a processi da cui può ricavare vantaggi o subire danni, dovendo essi comunque agire esclusivamente per il perseguimento dei fini istituzionali e di legge; tale situazione impone a tali giudici il dovere di astensione, anche per evitare che possa apparire un uso distorto da parte loro dell’azione penale (nel medesimo senso S.U. 1 dicembre 2007 n. 25815 e S.U. 24 gennaio 2003 n. 1088). Nel caso di specie il chiaro interesse personale dei tre ricorrenti, indagati nel processo iniziato dai P.M. di Salerno, risulta certo dal fine di impedire ai magistrati di tale ufficio la prosecuzione dell’azione iniziata e imponeva ai ricorrenti di non esercitare a loro volta l’azione penale nei confronti degli altri giudici, per la quale il C.S.M. ha quindi ritenuto che essi fossero “sforniti” del potere di agire, come contestato con il capo di incolpazione.

Appare allora chiara l’inconferenza di gran parte degli otto motivi del G. sull’inosservanza del dovere di astenersi, non solo per le ragioni indicate relative al capo A/1 d’incolpazione, apparendo palese il dovere di astensione nel nuovo processo dai ricorrenti iniziato a carico dei giudici di Salerno e dovendosi negare che, a differenza da quanto si deduce nei ricorsi, in tale nuovo giudizio non si siano svolte indagini costituendo strumento essenziale di queste il sequestro preventivo ritenuto abnorme e utilizzato per fini diversi da quelli di cui al codice di rito. Tale affermazione, a differenza da quanto dedotto in ricorso, non comporta un obbligo di astensione relativo solamente all’atto di sequestro e non nell’intero processo solo iniziato dia giudici che si sarebbero dovuti astenere;

la sottrazione dei documenti processuali ai giudici di Salerno era di per sè un atto di indagine e non poteva costituire adempimento di un dovere esimente dall’illecito, ai sensi dell’art. 51 c.p., come afferma il G., mancando tale dovere in assenza del potere di agire, in concreto denegato per il dovere di astensione incompatibile con l’azione stessa per gli incolpati.

E’ errato affermare che, con l’informazione di garanzia per le indagini in corso a carico dei giudici di Salerno, non abbia avuto inizio, con l’accusa di cui si è data notizia, anche l’azione penale, della quale lo stesso atto di sequestro costituisce una chiara manifestazione, e in tale azione doveva osservarsi il dovere di astensione inottemperato dai ricorrenti. Invero, come accennato, il contestato abuso di ufficio, costituisce delitto plurioffensivo idoneo quindi a ledere interessi pubblici e privati (Cass. sez. 6, 10 aprile 2008 n. 17642) e, nel caso, quindi l’informazione di garanzia ha costituito lesione di interessi personali dei giudici di Catanzaro, indagati come persone fisiche e non come pubblici ufficiali per i reati loro contestati.

E’ da negare perciò l’affermazione dei ricorrenti G. e C. che l’informazione di garanzia non determinava l’inizio dell’azione penale, dovendosi altrimenti negare anche la pretesa connessione occasionale di cui all’art. 12 c.p.p., lett. c dagli stessi sostenuta e per la quale, se il processo relativo ai giudici di Salerno non fosse “mai iniziato”, i ricorrenti non avrebbero neppure potuto unirlo per connessione ai giudizi in corso dinanzi a loro, già sequestrati dai P.M. di Salerno. Che il sequestro, anche se disposto al di fuori della normativa vigente e da P.M. che si sarebbe dovuto astenere, sia atto valido non smentisce quanto affermato dal C.S.M. in quanto la giurisprudenza penalistica della Corte di cassazione esclude che l’inadempimento del dovere di astenersi incida sulla validità degli atti processuali (Cass. pen. Sez. 1, 17 gennaio 2008 n. 6618); l’inosservanza del dovere di astensione costituisce quindi violazione disciplinare nella quale i P.M. incorrono se non si astengono con l’inizio dell’azione penale in cui rilevino anche interessi personali, poichè l’informazione di garanzia e l’accusa da essa evidenziata contestuale al sequestro probatorio costituiscono essi stessi l’azione penale dalla quale i P.M. di Catanzaro dovevano astenersi.

Il sequestro probatorio è atto d’indagine e non è condivisibile la tesi che l’averlo disposto non costituisca espressione di un potere dei P.M. che avevano il dovere di astenersi per l’esistenza di loro interessi personali quali parti lese del processo iniziato a loro carico dai P.M. di Salerno, per cui va respinto pure il secondo motivo di ricorso del dr. C.. In conclusione, gli incolpati hanno violato il loro dovere di astensione dal processo a carico dei giudici di Salerno per essere stati da costoro già indagati per delitti quando hanno iniziato la loro azione che si è esplicata proprio nel provvedimento di sequestro di cui all’incolpazione.

2.2. In rapporto alla contestata carenza di potere e incompetenza funzionale, ai sensi dell’art. 11 c.p.p., dei giudici di Catanzaro, che sarebbero stati “sforniti”, come contestato nell’addebito, del potere di iniziare l’azione penale e sequestrare lo stesso provvedimento interinale di sequestro dei giudici, salernitani e i documenti del fascicolo del processo a loro carico, i ricorrenti affermano che il procedimento, una volta estese al dr. D.M. le accuse contestate agli odierni ricorrenti, è stato correttamente ritrasmesso ai giudici di Salerno, competenti a decidere sui quelli di Napoli. La conferma che il sequestro era atto valido per le ragioni già riportate e perchè comunque le misure cautelari restano efficaci anche se adottate da giudici incompetenti ai sensi dell’art. 27 c.p.c. (Cass. pen. 28 aprile 2009 n. 29343), non incide sulla valenza disciplinare negativa di tali atti nel caso concreto. I ricorrenti erano infatti, come destinatari di un’informazione di garanzia per reati che essi stessi ritenevano costituire abuso di ufficio, parti lese o soggetti offesi da tale abuso che contestavano ai colleghi salernitani e quindi su loro iniziativa era da ritenere anche essa un “abuso” l’azione penale da loro intrapresa contro i giudici che li avevano indagati, con sicura carenza di concreto potere di esercitarla rilevata dal C.S.M.. Altrettanto chiara appare la incompetenza funzionale e territoriale degli uffici calabresi, ai sensi dell’art. 11 c.p.p., a iniziare l’azione penale di cui sopra nei confronti dei giudici di Salerno, che hanno disposto il sequestro in questa città e ai sensi dell’art. 11 c.p.p. devono essere giudicati da uffici giudiziari diversi da quello degli incolpati.

Anche a ritenere il sequestro cautelare, atto processualmente valido, la connessione occasionale di cui all’art. 12 c.p.p., lett. c, affermata dai giudici di Catanzaro non è stata opinata correttamente nella fattispecie, non essendovi un rapporto di mezzo a fine tra il delitto contestato ai giudici salernitani e quelli per cui gli stessi hanno proceduto a carico di quelli di Catanzaro e non potendosi avere connessione fuori dal caso in cui i reati per cui si procede siano stati commessi per eseguirne o per occultarne altri comunque ad opera della stessa persona, come non è ipotizzabile nella fattispecie (Cass. pen., Sez. 4, 10 marzo 2009 n. 27457).

In conclusione escluso che in concreto i ricorrenti fossero forniti del potere di accusare e iniziare indagini a carico dei giudici di Salerno che avevano iniziato un processo a loro carico, la sentenza impugnata risulta corretta anche per tale profilo e tutti i motivi d’impugnazione di essa relativi al potere e alla competenza dei ricorrenti nella fattispecie vanno quindi rigettati, perchè infondati.

2.3. Sulla interferenza degli incolpati nell’attività dei giudici di Salerno, i motivi di ricorso devono essere respinti.

Anche se appare chiaro che l’infrazione disciplinare che precede si configura di certo nelle pressioni esercitate sui magistrati e quindi sulle cd. raccomandazioni (S.U. 29 maggio 2009 n. 12717), l’ingiustificata interferenza di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, comunque può configurarsi solo “nell’esercizio delle funzioni” per cui essa può aversi ad opera di giudici solamente e sempre che sia connessa alla titolarità di un procedimento, sul quale si interferisce.

E’ quindi pienamente logico e rientra nella fattispecie astratta anche l’ipotesi del comportamento ostruzionistico di un P.M. rispetto ad un altro, titolare di un processo collegato, ovvero allorchè i comportamenti di tale tipo siano posti in essere dai titolari di incarichi direttivi o semi direttivi in relazione con il giudice sulla cui attività si vuole incidere, o allorchè la incidenza sull’attività di un giudice si fondi sull’autorevolezza del ruolo rivestito da chi gli prospetta situazioni incidenti sul procedimento e sulle funzioni del magistrato.

Non è dubbio che, nella fattispecie, vi è stata la interferenza che, indipendentemente dagli effetti concreti di essa sul processo in corso dinanzi ai P.M. di Salerno, certamente ha dato luogo alla violazione di cui al capo A/3 dell’incolpazione per la quale quindi il C.S.M. ha ritenuto responsabili i tre ricorrenti, indipendentemente dalle loro intenzioni per gli effetti gravemente lesivi del prestigio dell’ordine giudiziario cui hanno dato luogo i provvedimenti, quand’anche validi, da essi emessi.

2.3. Il ricorso è infondato anche per le residue violazioni di legge e i difetti motivazionali di cui al punto 1.3. Già si è detto che l’attività o il comportamento in cui s’inserisce il provvedimento di sequestro, è costituito dall’uso strumentale di tale istituto per fini diversi da quelli di cui alla norma che lo prevede, riconosciuto nella sentenza impugnata. In effetti è imputabile ai ricorrenti la loro stessa modesta attività a fronte delle richieste provenienti da Salerno e il mancato uso, da parte loro, degli strumenti processuali che avrebbero dovuto usare, quale la impugnazione degli atti da loro ritenuti abusivi e abnormi ovvero la denuncia del conflitto del loro ufficio con la Procura della Repubblica di Salerno. E’ evidente la lesione del prestigio dell’ordine giudiziario derivata dai reciproci provvedimenti di sequestro di atti giurisdizionali, indipendentemente dalle polemiche tra i due uffici giudiziari da sole sufficienti a danneggiare l’immagine della magistratura; tali effetti risultano certi dalle statuizioni e dagli accertamenti della sentenza impugnata che in realtà si sofferma sull’ incidenza dei singoli atti degli incolpati e del sequestro da loro disposto sul prestigio dell’ordine giudiziario, rappresentato come potere esercitato tra lotte e polemiche non conferenti all’attività giurisdizionale. Correttamente e in applicazione delle regole del contraddittorio e del giusto processo il C.S.M. doveva solo ipotizzare la abnormità del sequestro probatorio disposto dai P.M. di Salerno, in rapporto agli atti processuali dei processi pendenti a Catanzaro, non potendo dichiararla al di fuori dal contraddittorio con i giudici incolpati per tale atto; proprio tale abnormità, come chiarito in precedenza, dimostra quella del cd. controsequestro disposto dagli incolpati in questa sede. In realtà si è correttamente applicata la lett. ff del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, nella versione attualmente vigente, essendosi disposto, secondo il C.S.M., dagli incolpati un sequestro non previsto dalle norme vigenti, dovendosi negare che il provvedimento abbia impedito il protrarsi del reato di interruzione del pubblico servizio esplicato con le funzioni giurisdizionali esercitate nei procedimenti i cui atti furono acquisiti dalla Procura generale presso la corte d’appello di Catanzaro, senza rilevare, che l’atto determinava la medesima interruzione del processo in corso a Salerno ed era quindi configurabile in astratto come reato, essendosi disposto al di fuori della previsione dell’art. 321 c.p.p..

La fattispecie può quindi integrare il caso di un errore macroscopico dei ricorrenti o di una loro inescusabile negligenza, perchè, avendo essi contestato ad altri reati consumati con la medesima condotta da loro posta in essere, non ne hanno rilevato la possibile natura ingiustificata. L’abnormità e anomalia dei comportamenti cui si richiama il C.S.M. rientra nelle condotte che, con il sequestro adottato, integrano la prova comunque della negligenza inescusabile dei giudici di Catanzaro e per tale profilo comportano il rigetto dei tre ricorsi per la sicura sussistenza anche sul piano psicologico della violazione addebitata.

L’assorbimento della infrazione di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. g non significa esclusione della violazione di legge di cui a tale norma, perchè essa è la stessa di cui all’incolpazione della lett. ff accertata dalla sentenza impugnata e, anche per tale profilo, l’impugnazione è quindi da rigettare.

Le critiche dei ricorrenti relative alla competenza della Procura Generale piuttosto che di quella della Repubblica non tengono conto che il processo in corso a Salerno derivava da una avocazione ad opera del primo ufficio che il denunciante affermava abusiva e illegittima del processo Why Not, per cui anche, a non tener conto delle osservazioni di cui sopra sulla inapplicabilità alla fattispecie della connessione occasionale, sembra evidente che nel caso l’incompetenza di cui all’art. 11 c.p.p. avrebbe colpito ogni iniziativa dei giudici di Catanzaro. Esattamente si è negata qualsiasi esimente nella condotta di abuso di provvedimenti giurisdizionali cautelari da parte dei giudici della Procura generale di Catanzaro, non potendosi la funzione giurisdizionale qualificare come situazione soggettiva disponibile per chi la esercita, con conseguente rilevanza esimente di un uso distorto di essa, anche se esercitata per fini ritenuti giusti ma diversi da quelli per i quali gli istituti giuridici sono previsti e dovrebbero in concreto applicarsi. Deve infine rilevarsi come l’intera decisione impugnata sia il sostegno motivazionale della decisione sulla sanzione accessoria del trasferimento di ufficio, che non poteva che riguardare la sede e le funzioni, considerato che nella prima si era avuta la condotta abusiva che rendeva incompatibile l’incolpato anche con la funzione giurisdizionale nella quale si era avuto l’abuso, senza altri gravi rischi per il prestigio e la credibilità della magistratura.

Anche per tale profilo relativo alle sanzioni e in particolare a quelle accessorie irrogate ai dr. I. e G., i ricorsi riuniti devono quindi rigettarsi.

3. In conclusione, la Corte a sezione unite, riuniti i ricorsi, li rigetta, nulla disponendo per le spese del giudizio di cassazione, non essendosi difeso in questa sede il Ministero della giustizia.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni unite civili della Corte Suprema di Cassazione, il 20 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2010

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