Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11430 del 10/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 10/05/2017, (ud. 22/02/2017, dep.10/05/2017),  n. 11430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28046/2011 proposto da:

A.A., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO FAVA, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS)

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, ENRICO MITTONI, CARLA D’ALOISIO,

giusta delega in calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 865/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 11/07/2011 R.G.N. 1226/2010.

Fatto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

la Corte d’appello di Torino, con sentenza pubblicata il giorno 11/7/2011, ha accolto parzialmente l’appello proposto da A.A. contro la sentenza del Tribunale di Alessandria che aveva rigettato la domanda dell’appellante di opposizione alla cartella di pagamento, notificata nell’interesse dell’Inps il 3/6/2006, avente ad oggetto i contributi omessi relativi ad alcuni lavoratori addetti alla vendita a domicilio di elettrodomestici ed a centralinisti telefonici, con i quali erano intercorsi contratti di lavoro a progetto non rispettosi del dettato legislativo;

la Corte territoriale, nel condividere il giudizio del tribunale, ha ritenuto che l’attività svolta dai lavoratori non fosse volta alla realizzazione di un autentico progetto; che dall’istruttoria espletata era emerso che tutti i lavoratori erano assoggettati al potere direttivo e di controllo del datore di lavoro ed erano stabilmente inseriti nell’organizzazione aziendale; che era corretta l’applicazione, quanto alle somme aggiuntive, del regime previsto per l’evasione contributiva, mentre ha accolto il motivo di gravame con il quale l’appellante ha chiesto il rimborso dei contributi versati alla gestione separata dell’Inps per gli stessi lavoratori e ha pertanto condannato l’Inps alla loro restituzione; infine ha compensato in parte le spese del giudizio di appello, ponendo la restante parte a carico dell’ A. in applicazione del criterio della soccombenza;

A.A. propone ricorso per cassazione, articolando due motivi. L’Inps resiste depositando procura in calce alla copia del ricorso notificato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. I due motivi, in quanto connessi, vengono trattati congiuntamente. Essi sono inammissibili. Deve ricordarsi che il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’ inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (fra le tante, Cass. 26/06/2013, n. 16038);

si aggiunge che, esso deve emergere dalla lettura della sentenza impugnata e consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicando quindi necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione;

il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. al riguardo, ex plurimis: Cass. 26/3/2010, n. 7394);

nel ricorso in esame la parte non specifica quali siano le affermazioni della Corte territoriale in contrasto con il D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 62, di cui si assume la violazione, nè specifica in che cosa si sarebbe sostanziato l’errore di sussunzione commesso dalla Corte territoriale la quale, invece, ha proceduto ad un esame dettagliato ed esaustivo, nonchè fondato su evidenze istruttorie, del rapporto così come si è articolato tra l’odierno ricorrente e i lavoratori, giungendo a ritenere sussistente tutti gli indici della subordinazione;

neppure può ravvisarsi la violazione di legge o l’erronea sussunzione della fattispecie nello schema del rapporto di lavoro subordinato per non aver la corte territoriale dato adeguato rilievo alle circolari ministeriali adottate in tema di lavoro a progetto: trattandosi di circolari meramente interpretative esse non sono vincolanti per il giudice di merito, nè possono costituire motivo di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge (Cass. 19/6/2008, n. 16612; Cass. 11/06/2009, n. 13581);

in realtà con il motivo in esame, nonchè con la denuncia del vizio motivazionale la parte intende ottenere una rivalutazione dell’intero materiale probatorio, inammissibile in questa sede;

la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. Un. 25/10/2013, n. 24148);

nel caso in esame, nessuna omissione o insufficienza motivazionale nè tantomeno incongruità emerge dalla lettura della sentenza impugnata, in cui invece vi è un esame puntuale delle risultanze istruttorie da cui è emerso, a giudizio della Corte, insindacabile in questa sede, l’esistenza di indici tipici della subordinazione idonei a qualificare i rapporti come di lavoro subordinato (orario di lavoro predeterminato e sottoposto a controllo quotidiano, obbligo di comunicare le assenze, retribuzione fissa, variabile in aumento in rapporto alle ore effettivamente lavorate e non invece collegato al risultato dell’attività; assenza di margini di autonomia nella determinazione delle condizioni di vendita, obbligo di riferire l’esito degli incontri con i potenziali acquirenti);

deve aggiungersi, per completezza che la parte non ha trascritto, nè depositato contestualmente al ricorso per cassazione le deposizioni testimoniali e le dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva della cui errata valutazione si duole in questa sede: in tal modo la parte non assolve il duplice onere previsto (a pena di inammissibilità) dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e (a pena di improcedibilità) art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. Sez. Un. 11/4/2012, n. 5698; Cass. Sez. Un. 3/11/2011, n. 22726; Cass. 28/09/2016, n. 19048);

in definitiva, il ricorso non può essere accolto e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, nella misura indicata in dispositivo e in considerazione dell’attività difensiva svolta dalla parte intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.000,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2017

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