Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1143 del 20/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/01/2020, (ud. 10/10/2019, dep. 20/01/2020), n.1143

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19659-2018 proposto da:

I.A., S.S., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato STEFANO SCIFO;

– ricorrenti –

contro

BANCA POPOLARE SANT’ANGELO SCPA, I.S., IA.AN.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 83/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 17/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PORRECA

PAOLO.

Fatto

CONSIDERATO

che:

la Banca Popolare di Sant’Angelo si opponeva a un precetto intimato da I.A., I.S. e Ia.An. , deducendo di aver pagato la somma prevista dal sotteso titolo giurisdizionale definitivo mediante accredito su conto corrente tecnico intestato all’avvocato S.S., legale dei precettanti;

il tribunale, davanti al quale si costituivano gli opposti e interveniva volontariamente l’avvocato S.S., rigettava l’opposizione rilevando che l’accredito solutorio era stato fatto, inidoneamente, su conto corrente di cui l’opposto intervenuto non aveva più disponibilità perchè chiuso;

la Corte di appello, pronunciando sul gravame della banca, lo accoglieva, osservando che il giudice di prime cure aveva confuso il conto corrente dell’avvocato S. chiuso per contestazioni, con quello tecnico appositamente aperto ai fini in parola che, però, non era stato utilizzato, in sette anni, per prelevare la somma dovuta, senza doglianze e, anzi, con rinuncia dell’avvocato S. a un precedente precetto per notificato per il medesimo titolo;

avverso questa decisione ricorrono per cassazione I.A. e S.S., articolando due motivi corredati da memoria.

Diritto

RITENUTO

che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1182 e 2697 c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato addossando ai creditori un onere della prova che agli stessi non spettava evadere, posto che è il debitore a dover provare l’adempimento, e atteso sia che S. non aveva disponibilità, presso l’istituto di credito, di altro conto se non di quello poi chiuso, sia che il pagamento avrebbe dovuto essere eseguito presso il domicilio del creditore;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2724,2726 e 2697 c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che Schifo aveva indicato di accreditare le somme sul conto corrente poi chiuso e non sul conto corrente tecnico, fermo restando che l’accredito in parola non poteva essere considerato adempimento, e che la rinuncia al precedente precetto era stata fatta salvo verifiche;

Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

Rilevato che:

il ricorso è inammissibile perchè affetto da nullità a sua volta dovuta al potenziale conflitto d’interessi tra l’avvocato S., che ricorre in proprio e, I.A., che è da lui rappresentata;

si discute infatti di un pagamento che sarebbe avvenuto ai precettanti, fra cui la I., tramite un conto riferibile allo S., sicchè costui non può rappresentare la suddetta assistita e, dunque, la procura rilasciatagli è nulla, con la conseguenza che è nullo e, per questo, inammissibile, il ricorso da essa proposto;

detta situazione di potenziale conflitto rende nullo anche l’esercizio del ministero in proprio da parte dello S. e, quindi, anche il suo ricorso è invalido e inammissibile;

va ribadito il principio di diritto per cui nel caso in cui tra due o più parti sussista un conflitto di interessi, è inammissibile la difesa in giudizio a mezzo dello stesso procuratore, e la violazione di tale limite, investendo i valori costituzionali del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, è rilevabile d’ufficio (Cass., 25/09/2018, n. 22772);

i motivi sarebbero stati comunque in parte inammissibili, in parte infondati;

la Corte di appello, pur discorrendo di mancata prova dell’inadempimento della banca, a ben vedere ha accertato la sussistenza della prova dell’adempimento, consistente in ciò:

– la banca aveva comunicato all’avvocato S. che la somma era a disposizione presso una specificata agenzia, chiedendo se preferisse venisse rimessa con assegno circolare;

– l’avvocato aveva chiesto l’accredito presso il conto poi chiuso;

– tale ultimo conto essendo negativo, l’istituto di credito aveva operato l’accredito presso un conto corrente appositamente creato ai fini in discussione, comunicandolo all’intestatario;

– la somma non era stata prelevata per anni; a fronte di ciò, è del tutto evidente che:

– la deduzione per cui lo S. non aveva aperto nessun altro conto non intercetta il senso dell’accertamento (il conto corrente tecnico era stato acceso direttamente dalla banca per permettere il prelievo);

– il fatto che l’avvocato aveva chiesto l’accredito su altro conto, è irrilevante come lo è un numero di conto corrente invece che un altro;

– il fatto che l’avvocato non avesse accesso al conto corrente tecnico, è questione nuova e contrastante con l’accertamento in fatto proprio del giudice di merito;

– la deduzione per cui sarebbe stato violato l’obbligo di pagamento presso il domicilio del creditore contrasta con l’accertamento del giudice di merito per cui la banca aveva chiesto se il legale pacificamente incaricato avesse preferito una rimessione di assegno circolare ricevendo in risposta la richiesta di accredito su conto della banca sia pure numericamente diverso; al contempo, la questione è nuova e in questa sede come tale inammissibile;

– l’affermazione per cui la rinuncia al previo precetto fosse stata fatta con riserva non meglio specificata, costituisce questione nuova e neppure idoneamente riportata in ricorso come imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6;

ciò posto, sarebbe residuato solo un tentativo di rilettura istruttoria;

non deve disporsi sulle spese stante la mancata difesa degli intimati.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2020

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