Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11429 del 10/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 10/05/2017, (ud. 22/02/2017, dep.10/05/2017),  n. 11429

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27994/2011 proposto da:

TAHITI CAMPING S.R.L., C.F. (OMISSIS), domiciliata in ROMA, VIA AGRI

1, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MARCO PICCHI, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, giusta

delega in calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 599/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 25/05/2011 R.G.N. 1833/2009.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

la Corte d’appello di Firenze, con sentenza pubblicata in data 25/5/2011, ha rigettato l’appello proposto da Tahiti camping s.r.l., contro la sentenza del tribunale di rigetto delle domande proposte dall’appellante volte ad ottenere l’annullamento di due verbali di accertamento redatti dall’Inps con cui erano state contestate omissioni contributive relative al rapporto di lavoro intercorso tra la società e alcuni lavoratori, con i quali erano stati stipulati contratti di lavoro a progetto nel periodo tra il dicembre 2003 e il novembre 2006;

la Corte territoriale, nel condividere il giudizio espresso dal primo giudice, ha ritenuto che i compiti affidati ai lavoratori (manutenzione degli spazi verdi e dei vialetti del camping, rimozione di oggetti di intralcio al passaggio, piccola manutenzione ordinaria, rapporti con tour operator e fornitori, gestione delle prenotazioni, controllo degli impianti e della vita all’interno del campeggio), fossero quelli minimi e quotidiani per la gestione di un camping e che non fossero, così, riconducibili ad un progetto o ad un programma di lavoro dotato di specificità; ha pertanto applicato il disposto del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1;

la ricorrente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico articolato motivo con cui denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 61 e 69 del D.Lgs. cit., nonchè la nullità della sentenza per la violazione e la falsa applicazione dell’art. 420 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c.;

ha resistito l’Inps depositando procura in calce alla copia del ricorso notificato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. I due motivi si esaminano congiuntamente e sono infondati.

Non sussiste la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, artt. 61 e 69, denunciata nel primo motivo di ricorso. Premesso che la censura che investe l’art. 61 difetta di specificità ed è pertanto è inammissibile, non avendo la parte ricorrente indicato quale affermazione della corte territoriale sia in contrasto con la disposizione citata nell’interpretazione datane dalla dottrina e dalla giurisprudenza di questa stessa Corte, deve rilevarsi che, con riguardo all’art. 69, questa Corte si è già pronunciata ed ha statuito che “In tema di lavoro a progetto, il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1 (ratione temporis applicabile, nella versione antecedente le modifiche di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23, lett. f), si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso” (Cass. 31/8/2016, n. 17448; Cass. 17127 del 17/08/2016; Cass. 21/6/2016,n. 12820; Cass. 10/5/2016, n. 9471).

1.1. Nei precedenti citati si è precisato che a) dell’art. 69, comma 1, introduce una vera e propria disposizione sanzionatoria per il caso di mancata riconducibilità del rapporto coordinato e continuativo ad uno specifico progetto o programma, disponendo tout court che il rapporto “è considerato” di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dall’origine, espressione tipica dei casi di c.d. “conversione” del rapporto ope legis (quali ad es. le fattispecie interpositorie o di illegittima apposizione del termine finale di durata al contratto di lavoro); b) una diversa interpretazione, volta a ritenere ammissibile la prova diretta a dimostrare l’insussistenza della subordinazione “presunta”, finirebbe per legittimare la perpetuazione delle collaborazioni coordinate e continuative anche in assenza di uno specifico progetto e programma, ogni qualvolta il committente riuscisse a dimostrare il carattere autonomo del rapporto contrattuale, che è proprio l’effetto che il legislatore del 2003 intendeva scongiurare; c) questa opzione interpretativa spiega anche la differenza tra la previsione di cui all’art. 69, comma 1, rispetto al meccanismo sancito dal comma 2 di detta disposizione: benchè, invero, entrambe siano sanzionate con l’applicazione della disciplina propria dei rapporti di lavoro subordinato, si tratta di fattispecie strutturalmente differenti, giacchè nella prima rileva il dato formale della mancanza di uno specifico progetto a fronte di una prestazione lavorativa che, in punto di fatto, rientra nello schema generale del lavoro, laddove nella seconda rilevano le modalità di tipo subordinato con cui, nonostante l’esistenza di uno specifico progetto, è stata di fatto resa la prestazione lavorativa (vedi in tal senso, in motivazione Cass. 10/5/2016 n. 9471).

1.2. La norma non induce i dubbi di legittimità costituzionale prospettati dalla parte. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 399 del 2008, pervenendo alla declaratoria di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 86, ha rimarcato come la novità introdotta dagli artt. 61 e segg., risieda proprio nel divieto di instaurare rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che, pur avendo ad oggetto genuine prestazioni di lavoro autonome, non siano riconducibili ad un progetto, divieto che risulta giustificato dalla contrarietà di detti rapporti alla norma imperativa che prescrive l’obbligo di utilizzare il nuovo tipo legale di contratto (ex art. 1418 c.c.).

1.3. In altri termini, la conversione del contratto di lavoro autonomo continuativo instaurato senza progetto in rapporto di lavoro subordinato è la conseguenza della valutazione legale tipica compiuta dal legislatore attraverso la previsione del D.Lgs. n. 386 del 2003, art. 69, comma 1. Come è stato osservato anche in dottrina, la tecnica usata è quella della nullità del contratto, che sia stato in concreto posto in essere senza progetto (o senza un progetto specifico), accompagnata dalla cd. conversione o trasformazione ope legis del contratto, mediante la sostituzione di diritto delle clausole invalide con la disciplina inderogabile del rapporto (cd. nullità-sanzione come conseguenza della violazione di norme imperative: cfr. art. 1419 c.c., comma 2, relativo alla conservazione del contratto affetto da nullità parziale).

1.4. Parimenti infondati appaiono i dubbi di legittimità costituzionale prospettati con riguardo alla regola della indisponibilità del tipo contrattuale che siffatta qualificazione ope legis comporterebbe, in (asserito) contrasto con i principi espressi dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 115 del 1994 e 121 del 1993: in realtà, in queste sentenze si è affermato il principio che “spetta al legislatore stabilire la qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro, pur non essendo allo stesso consentito negare la qualifica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura”. L’indisponibilità del tipo contrattuale dunque costituisce un limite alla discrezionalità del legislatore e all’autonomia negoziale ma solo nel senso di ritenere indisponibili le tutele del rapporto di lavoro subordinato, avuto riguardo all’esigenza di “dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato”: essa dunque può operare soltanto nella direzione della indisponibilità delle tutele del lavoro subordinato e non – come sarebbe nel caso in esame – in senso inverso.

2. Il secondo motivo è palesemente inammissibile, non ravvisandosi alcuna ipotesi di nullità della sentenza inquadrabile nello schema di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4. Ove, peraltro, con tale indicazione normativa collegata alla denunciata violazione dell’art. 2697 c.c., la parte abbia inteso dolersi della mancata ammissione della prova testimoniale già richiesta in primo grado, sembra sufficiente rilevare la mancanza di decisività delle richieste istruttorie dal momento che la questione posta dalla controversia in esame non è quella di accertare quale sia stato il lavoro svolto dal lavoratore in difformità rispetto a quello indicato nel contratto, ma, più a monte, di valutare se l’attività specificata nel contratto di lavoro a progetto sia inquadrabile nello schema legislativo del lavoro a progetto;

in mancanza di progetto, programma di lavoro o fase di esso, la conversione automatica i rapporti di lavoro subordinato non può essere evitata dal committente-datore di lavoro neppure provando che la prestazione lavorativa sia stata caratterizzata da una piena autonomia organizzativa ed esecutiva (da ultimo, Cass. 17/08/2016, n. 17127; Cass. 21/06/2016, n. 12820).

3. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione del principio della soccombenza, le spese del presente giudizio devono essere poste a carico della ricorrente, limitatamente all’attività difensiva svolta dall’istituto intimato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2017

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