Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11428 del 01/06/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 11428 Anno 2016
Presidente: MIGLIUCCI EMILIO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 14437-2011 proposto da:
RAVASI MARIO FAUSTO RVSMFS52E17M053V,

MORLOTTI

TERESA MRLTRS25R63E006F, RAVASI ANNA MIRELLA
RVSNMR49C69M053T, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA SOGLIANO 70, presso lo studio dell’avvocato
GIUSEPPE AMETRANO, rappresentati e difesi
2015

dall’avvocato EMILIO BATTISTA BERETTA;
– r£correnti

551
contro

MANDELLI

AMBROGINA

MNDMRG35H43B212N,

BONINI

FABIOC.F.BNNFBA62L24F205P, CAMBIAGHI DONATA MARIA

Data pubblicazione: 01/06/2016

CMBDTM60B46F205Z, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA

SILVIO PELLICO 16, presso lo studio

dell’avvocato FRANCO GARCEA, che li rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ENRICO ALDO LEOPOLDO

ASTI;

avverso la sentenza n. 110/2011 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/01/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/03/2016 dal Consigliere Dott. FELICE
MANNA;
udito l’Avvocato Beretta Emilio Battista difensore

dei ricorrenti che ha chiesto raccoglimento del
ricorso;
udito l’Avv. Piero Faletti con delega depositata in
udienza dell’Avv. Asti Enrico Aldo Leopoldo
difensore dei

controricorrenti che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del

Sostituto

Generale Dott. PIERFELICE PRATIS
il rigetto del ricorso.

Procuratore

che ha concluso per

con troricorrenti –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Teresa Morlotti e Anna e Mario Ravasi, proprietari nel comune di
Vimodrone d’un appezzamento di terreno edificato con due fabbricati,
convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Monza Ambrogina Mandelli,

per sentirli condannare alla demolizione del manufatto abitativo che essi
avevano eretto in aderenza al loro. A sostegno della domanda lamentavano la
violazione dell’art. 13 delle norme tecniche d’attuazione (N.T.A.) del piano
regolatore generale (P.R.G.), che vietava le costruzioni in aderenza
prescrivendo una distanza minima di 5 metri dal confine e di 10 metri tra i
fabbricati. Deducevano, inoltre, che i lavori eseguiti dai convenuti avevano
provocato agli edifici di loro proprietà danni (consistenti in crepe, fessurazioni
ed altro) di cui domandavano il risarcimento.
Nel resistere in giudizio i convenuti deducevano che la disciplina
urbanistica di zona permetteva le costruzioni in aderenza e proponevano a
loro volta domanda riconvenzionale volta alla rimozione di ore edilizie
realizzate dagli attori a distanza inferiore a quella legale.
Il Tribunale rigettava entrambe le domande.
Provvedendo sull’impugnazione principale dei Morlotti-Ravasi e
incidentale dei Mandelli-Cambiaghi-Bonini, la Corte d’appello di Milano
riformava parzialmente detta sentenza, condannando i convenuti al pagamento
di C 7.270,93 per i danni arrecati all’immobile degli attori, riconosciuto un
concorso di colpa di questi ultimi pari ad 1/3; e condannava gli attori a
rimuovere porticato, pilastri e balconate a distanza inferiore a 5 metri dal

Fabio Bonini e Donata Maria Cambiaghi, proprietari del terreno confinante,

confine e una parte del tetto del fabbricato di parte attrice insistente sulla
particella 113, foglio 3.
Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la Corte territoriale
osservava che l’edificio realizzato dai convenuti rispettava la prescrizione

dell’art. 873 c.c., in base alla quale l’edificazione è consentita ad una distanza
dal confine non inferiore a mt. 5 dal confine, salvo il caso di edificazione sul
lotto contigua a distanza dal confine superiore a mt. 5 o di edificazione a
cortina. Nello specifico, infatti, oltre ad essere stato costruito a cortina, il
fabbricato di parte convenuta era stato realizzato in parte sul confine in
aderenza ai manufatti edilizi già esistenti, ed in parte a distanza di mt. 5,15 dal
confine; e che ai fini dell’edificazione a cortina non era richiesto un
allineamento millimetrico tra edifici costruiti in aderenza, dovendo il concetto
di allineamento dell’edificazione essere inteso in senso non rig:damente
formale, ma come rispetto sostanziale dei requisiti della linearità e continuità
con la preesistente edificazione.
Quanto alla domanda attorea di risarcimento dei danni, la Corte
distrettuale, inquadrata la fattispecie nell’ambito dell’art. 2043 c.c, piuttosto
che in quella di cui all’art. 2051 c.c., prospettata dagli appellanti principali
solo in secondo grado, giudicava esistente il concorso colposo degli attori, il
cui immobile era stato danneggiato dall’attività edificatoria dei convenuti.
All’inidonea attività di scavo condotta da questi ultimi, infatti, aveva
contribuito, come ritenuto dal c.t.u., l’assenza di dadi sporgenti della
fondazione interessante il lato ovest del fabbricato degli attori. La larghezza
della base d’appoggio delle fondazioni era, infatti, d’importanza
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dell’art. 13 delle N.T.A. del P.R.G. del comune di Vimodrone, integrativa

fondamentale, in quanto in presenza di un terreno con scarse caratteristiche
portanti il primo principio da seguire era quello d’ingrandire la base
d’appoggio della fondazione, che poi doveva essere rastremata in altezza per
ridurre le sollecitazioni indotte al terreno.

Cambiaghi-Bonini, esclusa l’applicabilità alla fattispecie della distanza
minima di 10 mt. tra pareti finestrate, prevista dall’art. 9 D.M. n. 1444/68, la
Corte d’appello rilevava che non era stata rispettata la distanza minima
codicistica di mt. 3, calcolata dai punti di massima sporgenza, per quanto
concerneva i pilastri, il porticato, la balconata e una parte del tetto della
costruzione attorea.
Per la cassazione di tale sentenza Teresa Morlotti e Anna e Mario Ravasi
propongono ricorso, affidato a sette motivi.
Resistono con controricorso Ambrogina Mandelli, Fabio Bonini c Donata
Maria Cambiaghi.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – I primi tre motivi di ricorso, nel denunciare la violazione o falsa
applicazione degli artt. 2043, 2051 e 1227 cc., in relazione al n. 3 dell’art.
360 c.p.c., espongono sostanzialmente due sole censure tra loro connesse. La
prima afferma che, ricondotta la fattispecie all’ipotesi dell’art. 2051 c.c. e non
dell’art. 2043 c.c., la mancata previsione dell’altrui illecito comportamento
non poteva costituire elemento di colpa concorrente del danneggiato. La
seconda sostiene che il concorso colposo del ereditare non poteva essere

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In merito poi all’impugnazione incidentale degli appellati Mandelli-

rilevato d’ufficio dal giudice, per cui la sentenza impugnata sarebbe incorsa
nel vizio di ultrapetizione.
1.1. – Dette deglianze non hanno pregio.
In disparte che: a) la clausola generale di responsabilità per fatto illecito

c.c.) differiscono per il criterio d’imputazione, rispettivamente la condotta
(commissiva od omissiva) colposa di un soggetto e l’elemento oggettivo della
custodia, e che allorquando — come nel caso di specie — i danni siano derivati
dall’esercizio di un’attività edilizia si versa chiaramente nella prima delle due
fattispecie legali; b) la rilcvabilità d’ufficio del concorso di colpa del creditore
(e tale è il danneggiato), ai sensi del 1° comma dell’art. 1227 c.c. è
(diversamente da quanto accade nell’ipotesi del 2′ comma della stessa norma,
per la quale vige la regola opposta) costantemente affermata dalla
giurisprudenza di questa Corte (cfr. fra le tante, Cass. n. 12714/10 ed ivi
richiami); tutto ciò a parte, è decisivo rilevare che il concorso di colpa del
danneggiato di cui all’art. 1227, primo comma, c.c. è ravvisabile anche in
caso di responsabilità per cose in custodia (cfr. Cass. n. 6529/11, che
completa l’affermazione precisando che l’esistenza del concorso causale
colposo non concreta un’eccezione in senso proprio ma una semplice difesa,
che va esaminata e verificata dal giudice anche d’ufficio; v. anche Cass.
999/14, la quale afferma che ricorrendo la fattispecie della responsabilità da
cosa in custodia, il comportamento colposo del danneggiato può — in base ad
un ordine crescente di gravità — o atteggiarsi a concorso causale colposo,
valutabile ai sensi dell’alt 1227, primo comma, c.c., ovvero escludere il nesso

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(art. 2043 c.c.) e quella per i danni derivanti da cose in custodia (art. 2051

causale tra cosa e danno e, con esso, la responsabilità del custode, integrando
gli estremi del caso fortuito rilevante a norma dell’art. 2051 c.c.).
2. – 11 quarto motivo contesta la violazione e falsa applicazione degli arti. 4
e 13 delle N.T.A. del P.R.G. del comune di Vimodrone adottato il 20.6.1979

Sostengono i ricorrenti che la sentenza impugnata erra nella parte in cui
ritiene legittima, nella zona in cui sono ubicati gli immobili di rispettiva
proprietà delle parti, l’edificazione in aderenza, e abbia, con motivazione
contraddittoria, equiparato tra loro il concetto di edificazione a cortina con
quello di costruzione in aderenza.
2.L – Nei termini che seguono è fondata la censura di vizio motivazionale,
che sebbene non esplicitata nell’intestazione è adeguatamente svolta
all’interno del motivo, di cui in realtà costituisce il nucleo, e quella
strettamente connessa di falsa applicazione di legge.
L’art. 13 delle N.T.A. del P.R.G. del comune di Virnodrone prevede che
nella zona di completamento residenziale è consentita l’edificazione ad una
distanza non inferiore a cinque metri dal confine, salvo il caso di edificazione
“a cortina”.
Come afferma esattamente la stessa sentenza impugnata, la “cortina
edilizia” è quella che si realizza quando l’edificazione si allinea, senza
soluzione di continuità e per uno sviluppo non irrilevante, lungo il ciglio della
strada pubblica (o privata aperta al pubblico transito), oppure lungo la linea di
confine di uno spazio pubblico o, infine, lungo una qualsiasi linea di
edificazione interna al lotto o a più lotti contigui. In altri termini, essa è il

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ed approvato con deliberazione del 6.10.1981.

fronte costruito di un edificio o di un insieme di edifici senza soluzione di
continuità e per lunghezza considerevole, lungo un asse d’allineamento viario.
Tale nozione architettonica presuppone di necessità logica che ove la
cortina sia costituita da più edifici, questi siano tra loro aderenti, visto che la

proposizione inversa, perché due edifici tra loro aderenti non per questo
rappresentano una cortina, in quanto occorre che il loro sviluppo continuo sia
quantitativamente non irrilevante e allineato ad un asse viario.
2.1.1. – La sentenza impugnata, dopo aver affermato che il concetto di
edificazione a cortina può essere interpretato anche “in senso ampio, come
applicazione dell’aspetto urbanistico di linearità e continuità con l’esistente”,
si limita ad affermare che l’allineamento non occorre che sia millimetrico tra
gli edifici costruiti in aderenza, dovendosi intendere “non in senso
rigidamente formale ma come rispetto sostanziale dei requisiti di linearità e
continuità con la preesistente edificazione”.
Orbene, tale ragionamento è tutt’altro che coerente alle premesse date, ove
si consideri che: a) il richiamato concetto di linearità e continuità è
oggettivamente ambiguo, perché pur essendo astrattamente apparentabile con
quello di allineamento, nella sentenza impugnata è riferito non ad un asse
viario, ma al generico concetto di edificazione preesistente, non meglio
precisato nella sua portata e non necessariamente sovrapponibile a questo; h)
negare che l’allineamento debba essere millimetrico e affermazione (fin
troppo) plausibile se contrapposta a un’ipotetica pretesa di assoluta perfezione
di misure, ma insensata se non contestualizzata in maniera intelligibile al caso
in esame, in cui non si discute di millimetri o di centimetri, ma di metri; e)
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cortina si sviluppa senza soluzioni di continuità. Ma non è vera la

non è dato di comprendere come nella fattispecie l’aderenza tra i fabbricati si
coniughi con l’allineamento, visto che — come s’è detto — l’una non esaudisce
l’altro e che nello specifico la stessa sentenza impugnata ha accertato che il
fabbricato di parte convenuta è in parte aderente a quello degli attori e in parte

il tratto aderente non sia quello allineato alla via ovvero che ad ogni modo vi
sia una soluzione di continuità nell’allineamento; e) nella motivazione è del
tutto assente, poi, ogni valutazione di non irrilevanza del preteso
allineamento; e in definitiva f) la complessiva genericità delle considerazioni
svolte dalla Corte distrettuale si traduce nella sostanziale derelizione del
concetto di cortina edilizia richiamato nel dato normativo, poiché finisce per
valorizzare solo l’elemento dell’aderenza sopprimendo ogni rilievo a quello di
allineamento viario.
3. – Il quinto motivo denuncia la nullità della sentenza “per errore e
contraddittoria interpretazione delle risultanze processuali con riguardo alle
consulenze tecniche espletate” e il “travisamento delle risultanze istruttorie”. I
ricorrenti lamentano che la Corte territoriale abbia disatteso le conclusioni dei
c.t.u., i quali nelle loro relazioni avevano delineato la responsabilità
“esclusiva” di chi aveva edificato; e che abbia erroneamente interpretato e
disatteso dette relazioni “nello stabilire la struttura dei dati di confine”.
3.1. – Il motivo è manifestamente inammissibile.
In disparte che l’errore nella valutazione di merito non è cenqurabile in
sede di legittimità; che le contraddizioni motivazionali possono rilevare solo
nei limiti del vizio di cui al (previgente) n. 5 dell’art. 360 c.p.e. (e ciò non
importa nullità ma semmai annullamento della sentenza); e che il
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a distanza di mt. 5,15 dal confine (v. pag. 20); d) ciò fa sorgere il dubbio che

travisamento dei fatti è tale solo se di tipo percettivo e dunque eventualmente
censurabile col rimedio della revocazione ex art. 395, n. 4 c.p.c. e non
mediante il ricorso per cassazione; al netto di tali inesattezze giuridiche va
osservato che la doglianza è totalmente generica, tanto da non essere in alcun

sindacato di merito.
4. – Il sesto motivo deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa
applicazione degli artt. 4 e 13 N.T.A. del P.R.G. del comune di Vimodrone, in
vigore nel 1981, epoca dell’attività edificatoria svolta dai convenuti. Dette
norme, si sostiene, prevedendo una distanza di cinque metri dal confine
stabiliscono contemporaneamente all’art. 4 che la distanza dal confine si
determina misurando il distacco dell’edificio dai confini nel punto più stretto,
al vivo degli eventuali corpi aggettanti chiusi, intendendo per tali le strutture
che creano voluinetria. Ciò esclude, prosegue il motivo, che il portico
dell’edificio degli odierni ricorrenti sia soggetto alle limitazioni sulle distanze,
giacché le strutture aperte non costituenti volumetria sono escluse
dall’applicazione delle norme sulle distanze.
4.1. – Il motivo è infondato, perché disattende senza alcuna verosimile
argomentazione di contrasto la costante giurisprudenza di questo S.C., in base
alla quale anche le strutture accessorie di un fabbricato, non meramente
decorative ma dotate di dimensioni consistenti e stabilmente incorporate al
resto dell’immobile, costituiscono con questo una costruzione unitaria,
ampliandone la superficie o la funzionalità e vanno computate ai fini delle
distanze fissate dall’ari. 873 c.c. o dalle norme regolamentari integrative,

lo

modo comprensibile se non nella sua mal celata provocazione ad un rinnovato

specie ove queste ultime non prevedano espressamente un diverso regime
giuridico per le costruzioni accessorie (così e da ultimo. Cass. n. 859/16).
Non solo, ma esso propone una lettura del tutto soggettiva dell’art. 4
N.T.A., che non detta disposizioni sulle distanze ma stabilisce gli indici di

successivo art. 13 detta norma non autorizza a dedurre nulla che possa essere
compatibile con !’appena richiamato indirizzo di questa Corte.
5. – Col settimo motivo è esposta la nullità della sentenza per
“travisamento di fatti” circa la prospettazione di un tetto aggettante sulla
proprietà degli odierni controricorrenti. L’assunto di una gronda aggettante
sulla proprietà di questi ultimi costruita in aderenza, afferma il motivo, è
infondato e contraddetto dalla stessa logica, oltre che dai risultati delle
consulenze esperite che hanno accertato l’edificazione in aderenza.
5.1. – Anche tale motivo non ha fondamento, sol che si consideri che
l’aderenza tra due costruzioni non esclude la possibilità di aggetto dell’un
tetto sull’altro ove le rispettive altezze degli edifici siano diverse; sicché ogni
accertamento al riguardo attiene alla valutazione dei fatti di causa e come tale
non è sindacabile in questa sede di legittimità.
6. – In conclusione, limitatamente al motivo accolto la sentenza impugnata
va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che
procederà ad un rinnovato esame di merito circa la ricorrenza nella specie di
un’edificazione a cortina.
6.1. – Al giudice di rinvio è rimesso, ai sensi dell’art. 385, 3 0 comma c.p.c.,
anche il regolamento delle spese di cassazione.
P. Q. M.
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volumetria e di densità territoriale e fondiaria; e dunque in rapporto al

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, respinti gli altri, e cassa la
sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di
Milano, che provvederà anche sulle spese di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile

della Corte Suprema di Cassazione, il 9.3.2016.

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