Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11423 del 11/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 11/05/2010, (ud. 17/03/2010, dep. 11/05/2010), n.11423

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 27833/2008 proposto da:

A.A. in proprio e nella qualità di socio e legale

rappresentante della “MOZZARELLA di Teseo Vito e C. Società di

fatto sciolta, elettivamente domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE

CLODIA 29, presso lo studio GIULIA CASAMASSIMA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ARMENIO DONATO, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – UFFICIO DI GIOIA DEL COLLE (BA), T.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6 0/2 007 della Commissione Tributaria

Regionale di BARI del 23.1.07, depositata il 25/09/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;

E’ presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO

IANNELLI.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Il contribuente di cui in epigrafe propone ricorso per cassazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e avverso la sentenza con la quale la C.T.R. Puglia, in controversia concernente impugnazione di avvisi di accertamento per Irpef e Ilor in relazione al 1988, accoglieva solo parzialmente l’appello dei contribuenti, sostenendo, per quel che in questa sede ancora rileva che gli avvisi opposti dovevano ritenersi congruamente motivati e che, a fronte del mancato riscontro della società al questionario inviatole dall’Ufficio, quest’ultimo aveva legittimamente provveduto a recuperare a tassazione i fitti passivi e le spese bancarie dichiarate dal contribuente, non avendone potuto verificare l’attinenza alla produzione del reddito.

Per quanto concerne il secondo e il quarto motivo (che vanno esaminati per primi in ordine logico in quanto con essi si censura sotto diversi profili la sentenza impugnata per non aver ritenuto il difetto di motivazione degli avvisi opposti) è sufficiente osservare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso -, è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti (cosa che nella specie non è accaduta) testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo (v. Cass. n. 15867 del 2004).

E’ inoltre da rilevare che gli avvisi opposti non risultano specificamente depositati unitamente al ricorso per cassazione, onde i motivi sarebbero in ogni caso improcedibili ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 4, a norma del quale, insieme col ricorso (e pertanto nello stesso termine previsto dal citato art. 369 c.p.c., comma 1) devono essere depositati a pena di improcedibilità “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” non rilevando a tal fine la richiesta di acquisizione del fascicolo d’ufficio dei gradi di merito, nè, eventualmente, il deposito del suddetto fascicolo o di quello di parte (che in ipotesi tali atti contenga), ovvero il deposito generico di atti non specificamente individuati.

Il primo motivo di ricorso (col quale, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e art. 39, comma 2, si censura la sentenza impugnata per avere i giudici d’appello affermato che, in presenza di mancata risposta al questionario, l’Ufficio aveva legittimamente proceduto alla rettifica del reddito) è manifestamente fondato, considerato che dalla sentenza impugnata risulta che il ricorso introduttivo nella presente controversia è stato proposto nel 1997 (dovendo pertanto collocarsi l’omissione de qua in epoca antecedente) e che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la mancata risposta del contribuente ad un questionario inviatogli dall’ufficio non legittima, di per sè sola, una rettifica del reddito d’impresa in via induttiva, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, lett. d), ove tale omissione si sia verificata prima dell’entrata in vigore della L. 18 febbraio 1999, n. 28, art. 25, stante la tassatività delle ipotesi previste dalle citato art. 39, comma 2, lett. a), b), c) e d), nel testo all’epoca vigente (v. tra le altre Cass. n. 16049 del 2005).

Infine, le censure di cui al terzo e al quinto motivo (con le quali si deduce vizio di motivazione) risultano inammissibili perchè carenti in relazione all’art. 366 bis c.p.c., comma 2, a norma del quale è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dal citato art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. Cass. n. 8897 del 2008) ed inoltre non autosufficienti.

E’ inoltre da aggiungere, con riguardo al quinto motivo, che la censura attiene non alla motivazione in fatto bensì alla motivazione in diritto della sentenza impugnata. Il primo motivo di ricorso deve essere pertanto accolto e gli altri motivi rigettati. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altro giudice che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, rigettati gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Puglia.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2010

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