Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11423 del 10/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 10/05/2017, (ud. 21/02/2017, dep.10/05/2017),  n. 11423

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2283-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.F.V., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6345/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/01/2010 R.G.N. 9146/2006.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 16 gennaio 2010 la Corte di Appello di Roma, in riforma della pronuncia del locale Tribunale, ha ritenuto la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra Poste Italiane s.p.a. e D.F.V. nel periodo dal 1.12.99 al 29.2.2000, in cui il termine al contratto era stato apposto, ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994, così come integrato dall’accordo del 25 settembre 1997, “per esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso…”, ma in epoca successiva al 30 aprile 1998; ha quindi dichiarato che tra le parti intercorreva un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 29.2.2000 e condannato la società “a risarcire il danno al lavoratore, in misura pari alle retribuzioni spettanti dalla messa in mora del 18.1.2005”, oltre accessori e spese; ha escluso che il rapporto di lavoro si fosse risolto per mutuo consenso, non essendo emersi altri elementi, oltre il decorso del tempo, atti a dimostrare la volontà del lavoratore di ritenere cessato il rapporto;

che avverso tale sentenza Poste Italiane Spa ha proposto ricorso affidato a plurimi motivi, cui ha opposto difese l’intimata con controricorso;

che sono state depositate memorie della controricorrente, replicate in vista dell’adunanza camerale.

Diritto

CONSIDERATO

che il primo motivo del ricorso, con cui si denuncia erronea motivazione e violazione di norme di diritto per avere la Corte territoriale disatteso l’eccezione della società circa l’estinzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso, non può trovare accoglimento, atteso che l’accertamento sulla intervenuta risoluzione del contratto per mutuo consenso desumibile da comportamenti concludenti (v. Cass. n. 21764 del 2015; Cass. n. 15264 del 2006) costituisce un giudizio di fatto che compete al giudice di merito (Cass. SS.UU. n. 21691 del 2016, in motivazione), nella specie congruamente motivato dalla Corte territoriale in relazione alla mancanza di altri elementi oltre il mero decorso del tempo;

che il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di legge, di contratto collettivo e di accordi sindacali aziendali, in connessione con gli artt. 1362 c.c. e ss., mentre il terzo lamenta omessa ed insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando entrambi la statuizione della Corte territoriale circa la nullità della clausola appositiva del termine;

che tali doglianze, esaminabili congiuntamente, sono infondate per le ragioni già reiteratamente esposte da questa Corte in fattispecie analoghe, atteso che dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31/1/98 e successivamente al 30/4/98, l’indicazione della causale in questione nel contratto a termine legittima l’assunzione solo ove il contratto sia stato stipulato in data non successiva al 30/4/98 (v. Cass. n. 18378 del 2006), per cui i contratti – come quello in controversia – stipulati al di fuori del limite temporale del 30/4/98 sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo-collettivo costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962;

che il quarto motivo denuncia violazione ed erronea applicazione dei principi e delle norme di legge sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni; a tale motivo si connette anche la richiesta di applicazione dello ius superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32;

che tali censure, esaminabili congiuntamente, vanno accolte per quanto di ragione, essendo applicabile lo ius superveniens rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32 commi 5, 6 e 7, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (v. fra le altre Cass. n. 16763 del 2015 ed i precedenti ivi richiamati); nè rileva l’avvenuta abrogazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, ad opera del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 55, lett. f, (cfr. Cass. n. 7132 del 2016);

che le Sezioni unite di questa Corte, con la sent. n. 21691 del 2016, hanno statuito che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico”; hanno altresì chiarito che “il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta retroattiva incontra il limite del giudicato, che, tuttavia, ove sia stato proposto appello, sebbene limitatamente al capo della sentenza concernente l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, non è configurabile in ordine al capo concernente le conseguenze risarcitorie, legato al primo da un nesso di causalità imprescindibile, atteso che, in base al combinato disposto dell’art. 329 c.p.c., comma 2, e art. 336 c.p.c., comma 1, l’impugnazione nei confronti della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente”;

che pertanto non vi è giudicato sulle conseguenze risarcitorie sino a quando resta impugnato l’an sulla illegittimità del termine ed ove questa statuizione venga confermata occorre tenere conto della L. n. 183 del 2010, art. 32 affinchè la decisione adottata sia conforme all’ordinamento giuridico;

che, pertanto, respinti i primi tre motivi di ricorso, va accolto l’ultimo nei sensi e nei limiti del detto ius superveniens, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione ad esso e con rinvio per il riesame, sul punto, alla Corte di Appello indicata in dispositivo, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 14461 del 2015), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine (cfr. per tutte Cass. n. 3062 del 2016), provvedendo altresì alle spese del giudizio.

PQM

La Corte rigettai primi tre motivi di ricorso, accoglie l’ultimo nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione ad esso e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2017

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