Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11422 del 01/06/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 11422 Anno 2016
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: RIVERSO ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso 21917-2013 proposto da:
FONDAZIONE ENPAM C.F. 80015110580, in persona del
Presidente e legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GULLI TOMMASO
11 sc. C int. l, presso lo studio dell’avvocato
ALESSANDRO DIOTALLEVI, che la rappresenta e
2016

difende,

giusta delega in atti;
– ricorrente –

1295
contro

LABORATORIO ANALISI MEDICHE MARTINI S.R.L. C.F.
06713780150, in persona dell’Amministratore unico pro

Data pubblicazione: 01/06/2016

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE
DELLE GIOIE 13, presso lo studio dell’avvocato
CAROLINA VALENSISE, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato PAOLO BONI, giusta procura
speciale per Notaio;

avverso la sentenza n. 1853/2013 della CORTE
D’APPELLO

di ROMA, depositata il 26/03/2013 R.G.N.

6384/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 24/03/2016 dal Consigliere Dott. ROBERTO
RIVERSO;
udito l’Avvocato DIOTALLEVI ALESSANDRO;
udito l’Avvocato VALENSISE CAROLINA;
udito l’Avvocato BONI PAOLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

controricorrente

R.G. 21917/2013

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 1853/2013, depositata 1’8.7.2013, la Corte d’Appello di
Roma rigettava l’appello proposto dalla Fondazione ENPAM avverso la
sentenza del Tribunale della stessa città che aveva condannato la
società LABORATORIO ANALISI MEDICHE MARTINI SRL a pagare alla
Fondazione ENPAM, su domanda di questa, la somma di euro 819,94 a
titolo di contribuzione previdenziale del 2% stabilito dall’art. 1, comma
39 della legge 243/2004, oltre sanzioni ai sensi dell’art.116, comma 8
lett. a) della legge 388/2000 ed accessori di legge.
A fondamento della decisione la Corte osservava preliminarmente che
sull’oggetto della presente controversia si fosse formato il giudicato a
seguito della irrevocabilità della sentenza n. 21752/20008 del Tribunale
di Roma, che – in accoglimento della domanda proposta anche dalla
società appellata – aveva dichiarato dovuto il contributo previdenziale
nella misura del 2% del fatturato relativo ai compensi liquidati in favore
dei professionisti medici per le prestazione effettivamente rese in regime
di collaborazione libero professionali con le società di capitali titolari
delle strutture dei rapporti di accreditamento con il SSN. Sosteneva
inoltre che, nella presente controversia, avendo il primo giudice fatto
corretta applicazione del principio contenuto nella sentenza passata in
giudicato, l’appello sul punto dovesse essere necessariamente respinto.
Per quanto concerne le sanzioni, la Corte territoriale, confermando la
decisione di primo grado, osservava che nel caso in esame dovesse
trovare applicazione l’art.116, c. 8° 1.388/2000, in quanto, secondo
l’orientamento espresso da questa Corte di legittimità con sentenza
n.10509/2012, la mancata comunicazione dei dati richiesti dalla
Fondazione ENPAM doveva essere valutata alla luce della obiettiva
controvertibilità della questione e della non conformità della pretesa
dell’ENPAM al dato normativa, il che denotava la mancanza
dell’intenzione specifica di non versare i contributi.
Per la cessazione di questa sentenza, ricorre la Fondazione ENPAM con
due motivi. Resiste con controricorso la società intimata, che ha
depositato memoria ex art. 378 c.c.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo ENPAM denuncia l’errata interpretazione, violazione
e falsa applicazione della sentenza del Tribunale di Roma, sezione
lavoro, n.21752/2008 ai sensi dell’art. 360, 1 comma n. 3 c.p.c.; nonché
errata conoscenza dei fatti e dei presupposti, ed illogicità manifesta, in
quanto la Corte era incorsa in un errore di interpretazione del giudicato
ovvero della sentenza n.21752/008 in relazione alla sentenza
11436/2009. Inoltre, l’articolato motivo di ricorso è essenzialmente
incentrato sulla ritenuta violazione dell’art. 1, comma 39, della legge 23
agosto 2004, n. 243, il quale, nel prevedere che le società operanti in
regime di accreditamento col servizio sanitario nazionale sono tenute a
versare all’ENPAM un contributo pari al 2% del fatturato annuo, ha
inteso disporre che il contributo deve essere calcolato sulla base del
fatturato prodotto dalla società attraverso l’attività dei medici e degli
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odontoiatri operanti presso di loro in regime libero-professionale, e non
invece sulla base dei compensi corrisposti ai menzionati professionisti.
1.1. Il primo motivo è infondato per intervenuta formazione del
giudicato tra le stesse parti sulla medesima questione sostanziale.
Con la sentenza n. 21752/2008, non impugnata da ENPAM, il Tribunale
di Roma su domanda svolta dal LABORATORIO ANALISI MEDICHE
MARTINI SRL e da altre società nei riguardi di ENPAM, aveva affermato
che il contributo previdenziale richiesto dalla fondazione convenuta ai
sensi dell’ articolo 1, comma 39 della legge 23 agosto 2004 n. 243
fosse dovuto nella misura del 2% della parte del fatturato relativa ai
compensi liquidati in favore dei professionisti medici per le prestazione
effettivamente rese in regime di collaborazione libero professionali cori le
società di capitali titolari delle strutture dei rapporti di accreditamento
con il 55N.
1.2. Con la sentenza n. 11436/2009 il Tribunale di Roma su domanda
della Fondazione ENPAM aveva condannato la società LABORATORIO
ANALISI MEDICHE MARTINI SRL a pagare alla Fondazione ENPAM, la
somma di euro 819,94 a titolo di contribuzione previdenziale dei 2%
stabilito dall’art. 1, comma 39 della legge 243/2004, oltre sanzioni ai
sensi dell’art.116, comma 8 lett. a) della legge 388/2000 ed accessori di
legge.
1.3. Rimane pertanto acclarata l’esistenza del giudicato, trattandosi di
pronuncia resa tra le medesime parti del presente giudizio ed avente ad
oggetto il riconoscimento del medesimo diritto per il quale pende il
presente giudizio. A nulla rileva che nella causa promossa dall’ENPAM si
fosse richiesto anche la condanna mentre in quella promossa dalla
controricorrente soltanto l’accertamento della modalità di calcolo del
contributo. La domanda della società non era una domanda di
accertamento negativo, in quanto chiedeva che venisse operata anche la
corretta determinazione dell’obbligo in positivo.
1.4. Neppure rileva che nella sentenza passata in giudicato non siano
indicati gli anni di riferimento, giacché si è in presenza di una
prestazione periodica, con la conseguenza che la statuizione, ormai
coperta dal giudicato, sulle modalità di calcolo del contributo rimane
valida anche per le successive azioni, alla luce del principio
ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui, nei rapporti
giuridici di durata e nelle obbligazioni periodiche che eventualmente ne
costituiscano il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con
accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate
ad esplicarsi anche in futuro, l’autorità del giudicato impedisce il riesame
e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già
risolte con provvedimento definitivo, il quale pertanto esplica la propria
efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l’unico
limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto
materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento (Cass., 23 luglio
2015, n. 15493; Cass. S.U., 16 giugno 2006, n. 13916; Cass., 16
agosto 2004, n. 15931; Cass., S.U. 7 luglio 1999, n. 383; Cass. 11
novembre 2003 n. 16959).
1.5. Il giudicato sostanziale – che, in quanto riflesso di quello formale
(art. 324 cod, proc. civ.), fa stato ad ogni effetto fra le parti

R.G. 21917/2013

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relativamente all’accertamento di merito, positivo o negativo, del diritto
controverso – si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della
decisione, compresi gli accertamenti di fatto che costituiscono le
premesse necessarie ed il fondamento logico giuridico della pronuncia.
L’autorità del giudicato, dunque, si esplica non solo nell’ambito della
controversia e delle ragioni fatte valere dalle parti (cosiddetto giudicato
esplicito), ma necessariamente anche agli accertamenti che si
ricollegano in modo inscindibile con la decisione, formandone il
presupposto, così da coprire tutto quanto rappresenta il fondamento
logico giuridico della pronuncia. Si è così affermato che « l’accertamento
su un punto di fatto o di diritto costituente la premessa necessaria della
decisione divenuta definitiva, quando sia comune ad una causa
introdotta posteriormente, preclude il riesame della questione, anche se
il giudizio successivo abbia finalità diverse da quelle del primo ed a
condizione che í due giudizi abbiano identici elementi costitutivi
dell’azione (soggetti, “causa petendi” e “petitum”), secondo
l’interpretazione della decisione affidata al giudice del merito ed
insindacabile in sede di legittimità, ove immune da vizi logici e giuridici»
(Cass., Sez. Un., 14 giugno 1995, n. 6689; Cass., 24 marzo 2006, n.
6628; Cass., 12 dicembre 2003, n. 19046; Cass., 11 maggio 2000, n.
6041; Cass., 6 settembre 1999, n. 9401; Cass., 18 ottobre 1997, n.
10196; Cass. 27 ottobre 1994, n. 8865).
1.6. Questa Corte ha pure affermato che, con la formula che il giudicato
copre il dedotto e il deducibile, si afferma il principio -rispondente ad
esigenze, non solo di natura teorico sistematica, ma altresì di certezza
giuridica, di economia processuale e di ordine pratico – secondo cui la
decisione giudiziale si forma con riferimento al bene della vita preteso e
non già alle questioni trattate; e che, nell’applicare i principi sulla
identificazione delle azioni, deve valutarsi se il risultato giuridico-pratico
sostanziale già ottenuto dalla parte, ovvero ad essa negato con
decisione non più impugnabile, sia già stato oggetto di tale decisione (e
quindi di un accertamento definitivo ad ogni effetto ex art. 2909), nel
qual caso l’interessato non può reclamare nuovamente lo stesso
risultato, sia pure in base a differenti deduzioni giuridiche o di fatto,
posto che l’affermazione della volontà della legge in relazione al caso
concreto ha già avuto luogo e non può essere effettuata una seconda
volta. (Cass., 28 aprile 1995, n. 4751, che richiama Cass. Sez. Un., 19
ottobre 1990 n. 10178).
1.7. Nel caso in esame, la questione relativa alle modalità di calcolo del
contributo previdenziale previsto dall’art. 1, comma 39, I. cit. è stata già
decisa con sentenza passata in giudicato e non è dubbio che essa
costituisca un punto fondamentale tanto della prima quanto della
seconda lite, il necessario antecedente logico giuridico sul quale
entrambe le parti hanno chiesto la decisione con efficacia di giudicato.
Non è dunque consentito alla parte, che sul punto è rimasta
soccombente e che non ha ritenuto di proporre impugnazione, rimetterla
in discussione nel diverso giudizio volto ad ottenere la quantificazione
del contributo e la condanna della società al relativo pagamento.
1.8. La sentenza della Corte d’appello si è attenuta a questo principio
con la conseguenza che il motivo di ricorso deve essere rigettato.
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2 . Con il secondo motivo, l’ENPAM denuncia la violazione dell’art. 116,
comma 8°, I. n. 388/2000 e lamenta che erroneamente il giudice ha
escluso che l’omessa denuncia da parte della società costituisca
evasione contributiva. In realtà, secondo la ricorrente, le sanzioni da
applicare sono quelle previste dalla lettera b) dell’art. 116 citato, dal
momento che non vi è solo l’omesso pagamento del contributo ma
anche l’omesso invio della documentazione necessaria per il relativo
calcolo, a nulla rilevando l’incertezza normativa o interpretativa dell’art.
1, comma 39, 1. cit. e in assenza di puntuali allegazioni e prove da parte
della società volte a dimostrare l’assenza di un intento fraudolento.
Il secondo motivo di ricorso è infondato. Questa Corte, con la sentenza
27 dicembre 2011, n. 28966 in sostanziale adesione a Cass., 10 maggio
2010, n. 11261, ha riaffermato il principio di diritto, secondo cui: «In
tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali
ed assistenziali, l’omessa o infedele denuncia mensile all’INPS
(attraverso i cosiddetti modelli DM10) di rapporti di lavoro o di
retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria la
tenuta, concretizza l’ipotesi di “evasione contributiva” di cui alla L. n.
388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. b), e non la meno grave
fattispecie di “omissione contributiva” di cui alla lett, a) della medesima
norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo
provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il
pagamento dei contributi, dovendosi ritenere che l’omessa o infedele
denuncia configuri occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di
entrambi e faccia presumere l’esistenza della volontà datoriale di
realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi
o i premi dovuti; conseguentemente, grava sul datare di lavoro
inadempiente l’onere di provare la mancanza dell’intento fraudolento e,
quindi, la sua buona fede, onere che non può, tuttavia, reputarsi assolto
in ragione dell’avvenuta corretta annotazione dei dati, omessi o
infedelmente riportati nelle denunce, sui libri di cui è obbligatoria la
tenuta; in tale contesto spetta al giudice del merito accertare la
sussistenza, ove dedotte, di circostanze fattuali atte a vincere la
suddetta presunzione, con valutazione intangibile in sede di legittimità
ove congruamente motivata» (v. pure Cass., 25 giugno 2012, n.
10509).
2.1. La Corte territoriale ha fatto puntuale applicazione dell’art. 116,
lett. a) della legge n. 388/2000, ritenendo di dover escludere l’evasione
contributiva per l’assenza del fine fraudolento, ovvero di un volontario
occultamento dei rapporti o delle retribuzioni al fine di evitare il
pagamento dei contributi o dei premi dovuti. Ha desunto la mancanza
del fine fraudolento dalle difformi interpretazioni date all’art. 1, comma
39, della legge n. 243/2004 dalle società accreditate, da un lato, e dalla
fondazione ENPAM, dall’altro, attestate dall’ampio contenzioso in atti,
nonché da una richiesta della Fondazione, – volta ad ottenere !a
comunicazione del fatturato derivante dalle prestazioni specialistiche
rese in regime di accreditamento, e non invece della misura dei
compensi corrisposti i medici che avevano concorso alla produzione del
fatturato -, ritenuta dalla società (e dalla stessa Corte) non conforme al
dato normativo.
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2.2. Si è in presenza di un apprezzamento di fatto congruamente e
logicamente motivato, in linea con le pronunce di questa Corte ed
insindacabile in questa sede, sicché non si riscontra il denunciato vizio di
violazione di legge.
3. Le considerazioni sin qui svolte impongono dunque di rigettare il
ricorso e di condannare la parte ricorrente, rimasta soccombente, al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
dispositivo. Sussistono i presupposti di cui all’art.13,comma 1-quater
D.P.R. n.115 del 2002 per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di legittimità liquidate in C 4100 di cui C 4000
per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed agli
accessori di legge. Ai sensi dell’art.13,comma 1-quater D.P.R. n.115 del
2002 si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis
dello stesso art. 13.
deciso nella camera di consiglio del 24.3.2016.
Roma, c
Il con
estensore
Dott.
o Riverso
Il Presidente
so
Aott. Giovanni
LuAo t.50.0

Funzionario Giudiziario
Dott.ssa

R.G. 21917/2013

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