Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11421 del 11/05/2010
Cassazione civile sez. trib., 11/05/2010, (ud. 17/03/2010, dep. 11/05/2010), n.11421
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Presidente –
Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 27393/2008 proposto da:
M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOMACELLI
103, presso lo studio degli avvocati TESTA CESARE e M.
V., rappresentato e difeso da se stesso e dall’Avvocato TESTA
CESARE, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 113/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di ROMA del 20/04/07, depositata il 27/09/2007;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
17/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;
è presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO
IANNELLI.
Fatto
IN FATTO E IN DIRITTO
1. M.V. propone ricorso per cassazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale la C.T.R. Lazio, in controversia concernente impugnazione di avvisi di accertamento rispettivamente per Irpef e Ilor in relazione al 1994 nonchè Iva in relazione al 1995, accoglieva l’appello dell’Ufficio, riformando la sentenza di primo grado (che aveva accolto i ricorso introduttivi del contribuente).
2. Il primo motivo di ricorso (col quale si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c.) è inammissibile per mancata proposizione del relativo quesito di diritto.
Per quanto concerne il secondo motivo (col quale si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, nonchè D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 e 52, oltre che vizio di motivazione), è da rilevare che i due quesiti proposti con riguardo alla violazione di legge risultano inidonei, posto che il primo di essi (chiedendo alla Corte di affermare l’illegittimità del comportamento della G.d.F. che senza autorizzazione della Procura si introduce e acquisisce documentazione nell’abitazione di un contribuente) non risulta rilevante ai fini della definizione della controversia (ponendosi eventualmente, piuttosto, il diverso problema della utilizzabilità a fini fiscali della documentazione così acquisita), mentre il secondo quesito presuppone fatti non risultanti dalla sentenza impugnata (per l’inammissibilità del quesito involgente una quaestio facti v. SU n. 23860 del 20084).
E’ infine da aggiungere che la censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, proposta col secondo motivo, risulta carente ai sensi del secondo comma dell’art. 366 bis c.p.c., a norma del quale, nel caso in cui sia dedotto vizio di motivazione, è richiesta illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità), l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dal citato art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. Cass. n. 8897 del 2008).
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.200,00 di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2010