Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11421 del 10/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 10/05/2017, (ud. 21/02/2017, dep.10/05/2017),  n. 11421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29234-2010 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4481/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/12/2009 R.G.N. 8477/2006.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza pubblicata il 2.12.09 la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di rigetto emessa dal Tribunale capitolino, dichiarato nullo il termine apposto al contratto di lavoro subordinato stipulato ai sensi dell’art. 8 c.c.n.l. del 1994 per esigenze eccezionali da Poste Italiane S.p.A. con M.G. per il periodo 1.3.2000 – 30.5.2000, aveva accertato la sussistenza d’un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fra le parti;

che per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. affidandosi a sei motivi;

che M.G. resiste con controricorso;

che l’udienza originariamente fissata per il 13.1.16 (e per la quale la controricorrente aveva depositato memoria ex art. 378 c.p.c.) è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle S.U. sulle ordinanze di rimessione nn. 14340/15 e 15705/15;

che per l’odierna udienza parte controricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che il primo e il secondo motivo denunciano erronea motivazione e violazione dell’art. 1372 c..c, comma 1, artt. 1175, 1375, 2697, 1427 e 1431 c.c. e art. 100 c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale non ha ravvisato il mutuo consenso a non riattivare il rapporto di lavoro in fatti incompatibili con la volontà di mantenerlo in vita, come la prolungata inerzia della lavoratrice – protrattasi per 55 mesi dalla scadenza del termine – prima di agire in giudizio;

che i due motivi – da esaminarsi congiuntamente perchè connessi – sono infondati, dovendosi dare continuità alla giurisprudenza di questa S.C., ormai consolidata nello statuire che nel rapporto di lavoro a tempo determinato la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sè insufficiente a far ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso;

che, infatti, affinchè possa configurarsi una tale risoluzione è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa volontà comune di porre fine ad ogni rapporto lavorativo, tenuto conto, altresì, del fatto che l’azione diretta a far valere l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l’assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con norme imperative ex artt. 1418 e 1419 cpv. c.c., per sua natura imprescrittibile pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege del rapporto cui era stato apposto illegittimamente il termine (cfr., ex aliis, Cass. 15.11.2010 n. 23057; conf. Cass. 1°.2.2010 n. 2279; cfr, ancora, Cass. n. 9583/2011, secondo cui grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze da cui ricavare la volontà chiara e certa delle parti far cessare definitivamente ogni rapporto di lavoro);

che il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 e della L. n. 56 del 1987, art. 23: a riguardo si sostiene che l’impugnata sentenza è erronea per non avere considerato che il potere dei contraenti collettivi di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle normativamente già in essere, stabilito dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 può esser esercitato senza limiti di tempo, in quanto non previsti dalla legge e, quindi, senza circoscrivere il ricorso a tale strumento solo al periodo anteriore al 30.4.98, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale;

che analoga censura viene sostanzialmente fatta valere con il quarto motivo (sotto forma di denuncia di violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 dell’art. 8 CCNL 26.11.94 e, in connessione con gli artt. 1362 c.c. e ss., degli accordi sindacali 25.9.97, 16.1.98, 27.4.98, 2.7.98, 24.5.99 e 18.1.01, nonchè con il quinto motivo (sotto forma di vizio di motivazione);

che il terzo, il quarto e il quinto motivo (da esaminarsi congiuntamente perchè connessi) sono infondati, essendo pacifico inter partes che il primo contratto a termine de quo fu stipulato per esigenze eccezionali – ai sensi dell’art. 8 CCNL del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25.9.97 – in data successiva al 30.4.98, allorquando era espressamente venuta meno la copertura autorizzatoria prevista dalla stessa autonomia collettiva, come da ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al CCNL del 2001 e al D.Lgs. n. 368 del 2001);

che infatti, si deve dare continuità alla costante giurisprudenza di questa S.C. secondo cui, ove le parti collettive – come accaduto nel caso di specie – abbiano previsto un limite temporale (quello del 30.4.98) alla stipula di contratti a termine ai sensi dell’art. 8 CCNL del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25.9.97, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v., ex aliis, Cass. n. 316/2011; Cass. 23.8.2006 n. 18383; Cass. 14.2.2004 n. 2866);

che il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 2094, 2099 e 2697 c.c., nella parte in cui la gravata pronuncia non ha affermato che alla lavoratrice spettano le retribuzioni solo a decorrere dal momento dell’effettiva ripresa del servizio e che comunque in tal caso andrebbe applicato lo ius superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32;

che tale motivo è fondato solo nella parte in cui invoca l’applicazione dello ius superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 dovendosi a riguardo seguire la sentenza n. 21691/16 delle S.U. di questa S.C., che ha statuito che una censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattivamente applicabili anche ai giudizi in corso (come l’art. 32 cit.: cfr., per tutte, Cass. n. 6735/14), atteso che il ricorso per cassazione ha ad oggetto non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico;

che, dunque, ben può chiedersi l’applicazione anche in sede di legittimità dello ius superveniens intervenuto, come nel caso di specie, dopo la sentenza impugnata e prima della proposizione del ricorso per cassazione, con l’unico limite, non verificatosi nel caso di specie, di intervenuto passaggio in giudicato della statuizione relativa alle conseguenze economiche dell’accertata nullità della clausola di apposizione del termine (passaggio in giudicato da escludersi essendo ancora sub iudice la questione relativa alla validità del termine);

che, in conclusione, accolto nei sensi di cui sopra il sesto motivo e rigettati i primi cinque, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte controricorrente ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 14461/15), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (cfr., per tutte, Cass. n. 3062/16).

PQM

accoglie nei sensi di cui in motivazione il sesto motivo, rigetta i primi cinque, cassa la sentenza impugnata in, relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2017

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