Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11420 del 11/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 11/05/2010, (ud. 17/03/2010, dep. 11/05/2010), n.11420

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 27257/2008 proposto da:

FONO VIDEO SYNC SRL, in persona del Presidente del C.d.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI RIZZO 36, presso lo

studio dell’avvocato CARRIERI CARLO, rappresentata e difesa

dall’avvocato WERNER Carlo, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 19/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di MILANO dell’11/03/08, depositata l’11/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;

udito l’Avvocato Werner Carlo, difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti;

è presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO

IANNELLI che condivide la relazione scritta.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

La Fono Video SYNC S.r.l. propone ricorso per cassazione (successivamente illustrato da memoria) nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che è rimasta intimata) e avverso la sentenza con la quale la C.T.R. Lombardia, in controversia concernente impugnazione di cartella esattoriale relativa al 1996, confermava la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso della contribuente, nonchè avverso la sentenza con la quale la C.T.R. Lombardia, in sede di revocazione della sentenza d’appello di cui sopra, rigettava il ricorso escludendo nella specie la prova della sussistenza del dolo processuale revocatorio denunciato a carico dell’Agenzia.

Quanto all’impugnazione della sentenza pronunciata in sede di appello, il primo e il secondo motivo (coi quali si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, nonchè relativo vizio di motivazione, rilevando che l’avviso di fissazione dell’udienza non era stato notificato alla ricorrente perchè il suo procuratore non fu rinvenuto all’indirizzo indicato) risulta inammissibile perchè non colpisce una corrispondente statuizione della sentenza impugnata, posto che nella sentenza impugnata, dopo aver affermato che nell’atto di appello la società si era doluta di non aver ricevuto la comunicazione per l’udienza di trattazione, i giudici della C.T.R. non si sono in alcun modo pronunciati su tale motivo di doglianza e pertanto non hanno in alcun modo violato l’art. 17 citato, ma piuttosto, omettendo in proposito ogni pronuncia, hanno violato l’art. 112 c.p.c., vizio che in ogni caso andava denunciato con adeguata censura e formulazione di corrispondente quesito, essendo appena il caso di rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’omessa pronuncia su un motivo di appello integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo “error in procedendo” per violazione dell’art. 112 c.p.c. (v. Cass. n. 11844 del 2006; n. 24856 del 2006 e n. 12952 del 2007).

E’ inoltre da aggiungere che il vizio di motivazione di cui al secondo motivo attiene inammissibilmente alla motivazione in diritto e non all’accertamento in fatto, ed inoltre che, concludendosi con un quesito non previsto per il vizio denunciato, risulta invece carente in relazione al disposto dell’art. 366 bis c.p.c., comma 2, che, nel caso in cui sia dedotto vizio di motivazione, prevede una illustrazione contenente la chiara e concisa indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, essendo appena il caso di aggiungere che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere suddetto deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, all’interno di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo e consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. Cass. n. 8897 del 2008).

Anche il terzo motivo di ricorso (col quale si deduce ulteriore vizio di motivazione) presenta diversi profili di inammissibilità, sia perchè si conclude con una formulazione di quesito ed è invece carente della esposizione richiesta dell’art. 366 bis c.p.c., comma 2, sia perchè non risultano indicati specificamente (come previsto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 6) gli atti e documenti sui quali il motivo è fondato (ossia gli atti e documenti dai quali emergerebbero i fatti – anche, eventualmente, processuali – affermati nel suddetto motivo e posti a base della censura), nè tali atti e documenti risultano depositati unitamente al ricorso per cassazione (come previsto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., n. 4), senza che in contrario rilevi la richiesta di acquisizione del fascicolo d’ufficio dei gradi di merito, nè, eventualmente, il deposito di tale fascicolo e del fascicolo di parte (che in ipotesi tali atti contenga), se esso non interviene nei tempi e nei modi di cui al citato art. 369 c.p.c. e se all’atto del deposito viene indicato in modo generico il suddetto fascicolo senza specificare gli atti e documenti in esso contenuti sui quali il ricorso è fondato (v. tra le altre Cass. n. 24940 del 2009 e n. 303 del 2010).

Quanto all’impugnazione della sentenza pronunciata in sede di revocazione, l’unico motivo di ricorso (col quale si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, artt. 1 e 22 nonchè L. n. 212 del 2000, art. 10) risulta inammissibile innanzitutto per inidonea formulazione del quesito di diritto, sia perchè esso involge questioni e valutazioni di fatto, sia perchè la risposta ad esso non consentirebbe in ogni caso di definire la controversia. I giudici aditi in sede di revocazione hanno infatti affermato che ai fini della configurabilità del dolo revocatorio non sono di per sè sufficienti le violazioni dei doveri di lealtà e probità, il mendacio, le false allegazioni e le reticenze, ma occorre la prova di un’attività di macchinazione consistente in artifici o raggiri idonei a paralizzare la difesa avversaria e ad impedire al giudice l’accertamento della verità, compromettendo l’esito del processo, e che nella specie non sussisteva la prova di tale attività. A fronte di tale motivazione, il quesito proposto (col quale si chiede se “integra violazione dei principi di trasparenza, buona fede e tutela dell’affidamento del contribuente il comportamento di una pubblica amministrazione che, per sue gravi carenze, dopo aver perso i fascicoli contenenti le dichiarazioni e le ricevute dei versamenti dei contribuenti, emette cartelle di pagamento relative a tributi già pagati e persiste nel non considerare le attestazioni di pagamento dei contribuenti”) risulta, prescindendo da ogni altra eppur possibile considerazione, inadeguato, ponendosi all’evidenza nella specie il problema di identificare non gli estremi di una violazione dei principi di trasparenza, buona fede e affidamento, bensì quelli del dolo processuale revocatorio.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

In assenza di attività difensiva, nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2010

 

 

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