Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11420 del 10/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 10/05/2017, (ud. 21/02/2017, dep.10/05/2017),  n. 11420

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29149-2010 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato TRIFIRO’

SALVATORE, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.S., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA AGRI 1, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERLUIGI BOIOCCHI,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 577/2009 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 13/02/2010 R.G.N. 270/2008.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza pubblicata il 13.2.10 la Corte d’appello di Brescia rigettava il gravame di Poste Italiane S.p.A. contro la sentenza n. 518/07 con cui il Tribunale di Bergamo, dichiarato nullo il termine apposto al contratto di lavoro subordinato stipulato ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e dell’art. 25 c.c.n.l. di settore con B.S. per il periodo 1.2.02 – 30.4.02 (si trattava del secondo, in ordine di tempo, dei tre contratti stipulati fra le parti, il primo dei quali era stato invece ritenuto valido), aveva accertato la sussistenza d’un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fra le parti medesime, con condanna della società a reintegrare nel posto di lavoro la dipendente e a pagarle le retribuzioni maturate dalla data di recesso a quella di riassunzione; che per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. affidandosi a sei motivi;

che B.S. resiste con controricorso;

che l’udienza originariamente fissata per il 13.1.16 (e per la quale la ricorrente aveva depositato memoria ex art. 378 c.p.c.) è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle S.U. sulle ordinanze di rimessione nn. 14340/15 e 15705/15;

Diritto

CONSIDERATO

che il primo motivo denuncia violazione dell’art. 1372 c.c. per avere la sentenza impugnata respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso visto il ritardo (circa due anni dalla cessazione dell’ultimo contratto a termine) della lavoratrice nel proporre l’azione giudiziale;

che con il secondo motivo la società denuncia violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 25 c.c.n.l. 11.1.01, sostenendo che ai fini della legittimità delle assunzioni effettuate ai sensi del citato art. 25 è sufficiente la prova, da parte della società, della sussistenza delle esigenze di carattere generale dedotte nella causale dei contratti individuali, senza che sia necessario fornire la dimostrazione – contrariamente a quanto ritenuto dall’impugnata sentenza – del nesso causale tra dette esigenze generali ed ogni singola assunzione;

che con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. per avere l’impugnata sentenza erroneamente ritenuto che fosse onere della società dimostrare l’adibizione della lavoratrice alla sostituzione di personale assente per maternità o agli uffici ove si era verificata una maggiore esigenza di personale e comunque per aver negato il pur evidente collegamento tra l’assunzione della dipendente e la procedura di mobilità intraziendale in corso al momento di stipula del contratto a termine;

che con il quarto motivo la società lamenta l’omessa considerazione della rilevanza – concernente il terzo contratto a termine stipulato fra le parti – del fatto notorio della diminuzione del personale in concomitanza con il periodo feriale, fatto notorio che, in quanto tale, non richiede alcuna dimostrazione;

che il quinto motivo denuncia violazione degli artt. 12 preleggi, art. 1419 c.c. e 1, D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 4 e 5 perchè, pur risultando la natura essenziale della clausola del termine, la Corte aveva ritenuto comunque costituito un valido rapporto a tempo indeterminato senza rilevare la nullità dell’intero contratto;

che il sesto mezzo denuncia omessa motivazione in ordine alle conseguenze risarcitorie in applicazione della L. n. 183 del 2010 e, segnatamente, del relativo art. 32; che ritiene il Collegio l’infondatezza del primo motivo, essendo la giurisprudenza di questa S.C. ormai consolidata nello statuire che nel rapporto di lavoro a tempo determinato la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sè insufficiente a far ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso;

che, infatti, affinchè possa configurarsi una tale risoluzione è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa volontà comune di porre fine ad ogni rapporto lavorativo, tenuto conto, altresì, del fatto che l’azione diretta a far valere l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l’assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con norme imperative ex artt. 1418 e 1419 cpv. c.c., per sua natura imprescrittibile pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege del rapporto cui era stato apposto illegittimamente il termine (cfr., ex aliis, Cass. 15.11.2010 n. 23057; conf. Cass. 1.2.2010 n. 2279; cfr, ancora, Cass. n. 9583/2011, secondo cui grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze da cui ricavare la volontà chiara e certa delle parti far cessare definitivamente ogni rapporto di lavoro);

che il secondo e il terzo mezzo non sono conferenti rispetto alla motivazione della sentenza impugnata, che ha accertato in punto di fatto che con l’assunzione della lavoratrice furono risolte dapprima ragioni sostitutive e, poi, di organico, ragioni tutte estranee alla causale del contratto (che invece era stato stipulato per “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario, conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002”);

che del pari inconferente è il quarto motivo, relativo al terzo contratto a tempo determinato stipulato fra le parti, non esaminato dalla sentenza impugnata per la dirimente nullità del termine apposto al secondo contratto;

che il quinto motivo è infondato: invero, quanto alla contestata conseguenza della conversione a tempo indeterminato del contratto a termine nullo concluso in violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (cfr., ex aliis, Cass. n. 7244/14) che tale norma ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria anche nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo; ne deriva che, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative, e pur in assenza di una norma che ne sanzioni espressamente la mancanza, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, all’illegittimità del termine e alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola (pur se eventualmente dichiarata essenziale) e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (in tal senso v. altresì Cass. n. 4760/15 e Cass. n. 12985/08);

che è invece fondato il sesto motivo, dovendosi a riguardo seguire la sentenza n. 21691/16 delle S.U. di questa S.C., che ha statuito che una censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattivamente applicabili anche ai giudizi in corso (come l’art. 32 cit.: cfr., per tutte, Cass. n. 6735/14), avendo il ricorso per cassazione ad oggetto non l’operato del giudice, ma la,conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico;

che, dunque, ben può chiedersi l’applicazione anche in sede di legittimità dello ius superveniens intervenuto, come nel caso di specie, dopo la sentenza impugnata e prima della proposizione del ricorso per cassazione, con l’unico limite, non verificatosi nel caso di specie, di intervenuto passaggio in giudicato della statuizione relativa alle conseguenze economiche dell’accertata nullità della clausola di apposizione del termine (passaggio da escludersi al momento del ricorso per cassazione, essendo ancora sub ludíce la questione relativa alla validità del termine);

che in conclusione, accolto il sesto motivo e rigettati i precedenti, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte controricorrente ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 14461/15), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa dell’illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (cfr., per tutte, Cass. n. 3062/16).

PQM

accoglie il sesto motivo, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2017

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