Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11419 del 30/04/2021

Cassazione civile sez. un., 30/04/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 30/04/2021), n.11419

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASSANO Margherita – Presidente Aggiunto –

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez. –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20967/2020 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa da sè medesima;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BOLOGNA, CONSIGLIO

DISTRETTUALE DI DISCIPLINA DI BOLOGNA, PROCURATORE GENERALE PRESSO

LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 72/2020 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 26/06/2020.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

lette le conclusioni scritte dell’Avvocato Generale Dott. FRANCESCO

SALZANO, il quale chiede che le Sezioni Unite della Corte di

cassazione vogliano rigettare il ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con esposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna, in data 25 settembre 2006, P.M. denunciava fatti posti in essere dall’avvocato M.R., coincidenti con quelli oggetto della denuncia penale proposta dal medesimo, costituenti, a suo avviso, gravi violazioni deontologiche. Il giudizio disciplinare veniva sospeso in attesa della definizione del processo penale, che si concludeva – all’esito dei tre gradi di giudizio – con la condanna dell’avvocato M. per i reati di tentata appropriazione indebita (art. 646 c.p.), interruzione di un ufficio o servizio pubblico servizio (art. 340 c.p.), falso ideologico (artt. 483 e 479 c.p.) e diffamazione (art. 595 c.p.).

1.1. Con citazione a giudizio in data 25 luglio 2016, il Consiglio Distrettuale di Disciplina di Bologna formulava, quindi, nei confronti dell’incolpata, quattro capi di imputazione, con i quali contestava all’avvocato M. diverse violazioni dei doveri di lealtà, di correttezza, di dignità e di decoro, ai sensi degli artt. 5, 6, 14, 20 e 56 del previgente Codice Deontologico Forense, oggi degli artt. 9, comma 1, 50, 52 e 63 dell’attuale Codice Deontologico Forense.

1.2. Con decisione del 4 ottobre 2016, notificata all’incolpata il 9 dicembre 2016, il Consiglio Distrettuale di Disciplina – all’esito del procedimento disciplinare – riteneva l’avvocato M. colpevole di tutte le imputazioni ascrittele, irrogandole la sanzione della sospensione dell’esercizio della professione per la durata di mesi due.

2. Il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza n. 72/2020, deliberata il 16 maggio 2019 e depositata il 26 giugno 2020, rigettava il ricorso.

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’avvocato M.R., affidato a due motivi, illustrati con memoria. Gli intimati Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna, Consiglio Distrettuale di Disciplina di Bologna e Procura Generale della Repubblica presso la Corte Suprema di Cassazione, non hanno svolto attività difensiva. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, l’avvocato M.R. denuncia la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 37 del 1934, artt. 44, 63 e 64, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. Si duole la ricorrente del fatto che la decisione del Consiglio Nazionale Forense emessa nei confronti dell’incolpata, sebbene assunta nella Camera di consiglio del 16 maggio 2019, sia stata depositata, a firma dal Presidente avvocato Ma.An., in data 26 giugno 2020, quando la Delib. 22 febbraio 2019, n. 580, che aveva proclamato l’elezione del medesimo al Consiglio Nazionale Forense, era stata sospesa, in via cautelare ai sensi dell’art. 700 c.p.c., con ordinanza del Tribunale di Roma in data 13 marzo 2020. Di conseguenza, gli atti compiuti dall’avvocato Ma., dopo che la sua elezione era stata sospesa dal Tribunale, ossia la sottoscrizione ed il deposito della sentenza disciplinare, sarebbero privi di effetti, con conseguente invalidità della pronuncia emessa.

1.2. Il motivo è infondato.

1.2.1. Va osservato che, ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 36, che disciplina la funzione giurisdizionale del Consiglio Nazionale Forense, “La funzione giurisdizionale si svolge secondo le previsioni di cui del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, artt. da 59 a 65”, ed a norma del successivo art. 37, “1. Il CNF pronuncia sui ricorsi indicati nell’art. 36 secondo le previsioni di cui del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, artt. da 59 a 65, applicando, se necessario, le norme ed i principi del codice di procedura civile”.

1.2.2. Orbene, ai sensi di quanto disposto, in via generale, dal R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 44, sull’ordinamento della professione di avvocato e, con riferimento alle deliberazioni in materia disciplinare, dagli artt. 51 e 64 dello stesso Decreto, norme aventi carattere speciale rispetto alla disposizione dell’art. 132 c.p.c., u.c., le deliberazioni del Consiglio Nazionale Forense devono essere sempre sottoscritte dal solo presidente e segretario, che abbiano partecipato alla deliberazione, e non anche dal relatore, senza che ciò determini alcun contrasto con gli artt. 24 e 101 Cost. (Cass. Sez. U., 01/08/2012, n. 137979; Cass. Sez. U., 16/05/2013, n. 11834; Cass. Sez. U., 14/12/2020, n. 28386). Nè tale principio potrebbe essere, in alcun modo derogato per effetto dell’accertamento – in sede giurisdizionale – del vizio di nomina di alcuni componenti del collegio giudicante del CNF.

Queste Sezioni Unite hanno invero affermato, al riguardo, che, in tema di sanzioni disciplinari nei confronti degli avvocati, il vizio di nomina di uno o più membri del CNF non può influire sulla validità originaria della pronuncia di tale organo, in quanto, ai fini della regolare costituzione del giudice, assume rilevanza il momento della deliberazione della decisione (Cass. Sez. U., 26/09/2017, n. 22358).

1.2.3. Orbene, nel caso di specie, a fronte del suindicato dovere, normativamente sancito per il Presidente che ha partecipato alla deliberazione della decisione disciplinare, di sottoscrivere la sentenza, non può, di certo considerarsi un impedimento del medesimo a sottoscrivere e depositare detta decisione la sospensione cautelare della sua elezione, emessa dal Tribunale prima (ossia in data 13 marzo 2020) del deposito della pronuncia disciplinare (avvenuta il 26 giugno 2020). E ciò in quanto – essendo stata la deliberazione della pronuncia in questione adottata il 16 maggio 2019, ossia in data antecedente la predetta sospensione dell’elezione – la sottoscrizione ed il deposito della pronuncia non erano, per le ragioni suesposte, impediti dal vizio inficiante la pronuncia medesima.

Ed invero, la sospensione era stata – per di più – disposta con provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., costituente un provvedimento a carattere meramente interinale, la cui “autorità” “non è invocabile in un diverso processo”, ai sensi dell’art. 669 octies c.p.c., comma 9, ai fini di ottenere effetti dichiarativi o costitutivi conseguibili solo con la decisione definitiva (Cass., 07/10/2019, n. 24939). In ogni caso, neppure la successiva pronuncia definitiva che ha dichiarato ineleggibile il presidente Ma. – allegata alla memoria ex art. 378 c.p.c., della ricorrente ed intervenuta il 25 settembre 2020 – può produrre alcun effetto invalidante della decisione disciplinare, non potendo nè la sospensione nè la caducazione della elezione del presidente, e di altri consiglieri del CNF impedire, con effetto retroattivo, il perfezionamento della fattispecie decisoria disciplinare già assunta.

1.3. Per tali ragioni, pertanto, il mezzo deve essere disatteso.

2. Con il secondo motivo di ricorso, l’avvocato M.R. denuncia la violazione dell’art. 297 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.1. Lamenta la ricorrente che il Consiglio Nazionale Forense non abbia rilevato la tardiva riassunzione del procedimento disciplinare, per avere il Consiglio Distrettuale di Disciplina riassunto tale procedimento solo in data 25 luglio 2016, ossia ben oltre il termine di tre mesi, previsto dall’art. 297 c.p.c., dalla pubblicazione della sentenza definitiva, emessa in sede penale, depositata il 29 gennaio 2015.

2.2. La censura è infondata.

2.2.1. Ed invero, in tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati, il termine per la riassunzione del procedimento sospeso per pregiudizialità penale, previsto dall’art. 297 c.p.c., comma 1, decorre dalla conoscenza effettiva da parte del Consiglio locale dell’Ordine della definizione del processo penale, al quale l’organo titolare dell’azione disciplinare è estraneo e dunque dall’acquisizione, da parte del Consiglio, della copia integrale della sentenza, recante l’attestazione della relativa irrevocabilità. Spetta all’incolpato, il quale eccepisca la decadenza per tardiva riassunzione, allegare e provare gli elementi di fatto che consentano di stabilire quando il Consiglio dell’ordine ha avuto conoscenza della definizione del processo penale (Cass. Sez. U., 28/05/2014, n. 11908; Cass. Sez. U., 28/04/2015, n. 8572).

2.2.2. Nel caso di specie, per contro, la ricorrente si è limitata a fare riferimento alla pubblicazione della sentenza di questa Corte che ha definito il giudizio penale, senza nè allegare nè, tanto meno, comprovare gli elementi di fatto che consentano di stabilire quando il Consiglio dell’ordine ha avuto conoscenza della definizione di tale processo.

2.3. Il motivo va, pertanto, disatteso.

3. Per tutte le ragioni esposte, Il ricorso va, di conseguenza, rigettato, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione degli intimati.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021

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