Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11418 del 30/04/2021

Cassazione civile sez. II, 30/04/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 30/04/2021), n.11418

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana (da remoto) – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26033/2019 proposto da:

J.H., rappresentato e difeso dall’Avvocato MARIA VISENTIN, ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio, in ROMA, VIA CUNFIDA

16;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 14621/2019 del TRIBUNALE di ROMA del

30/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

J.H. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, di quella umanitaria.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva riferito di essere originario di (OMISSIS); di essere fuggito dal suo Paese nel (OMISSIS), temendo per la sua incolumità, in quanto, dopo aver cercato di difendersi dall’attacco di un gruppo criminale chiamato (OMISSIS), siccome alcuni amici intervenuti in suo aiuto erano rimasti uccisi, temeva che i loro familiari, che lo ritenevano responsabile per l’accaduto, potessero ucciderlo.

Con decreto n. 14621/2019, depositato in data 30.7.2019, il Tribunale di Roma rigettava il ricorso.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione J.H. sulla base di due motivi. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta ex “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – (che) Il Tribunale ha errato a non applicare al ricorrente la protezione ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo Paese d’origine o che ivi possa correre gravi rischi. Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.”. Rileva il ricorrente che ha errato il Tribunale secondo cui la protezione umanitaria non poteva essere concessa in assenza di profili di vulnerabilità da parte del ricorrente; incombe sul Giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva del Paese d’origine, anche per la verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria. Ove il Tribunale avesse compiuto tale indagine avrebbe verificato che in Nigeria sussiste la compromissione assoluta dei diritti umani primari e inviolabili.

1.1. – Il motivo è inammissibile per genericità.

1.2. – A fronte di una specifica motivazione da parte del Tribunale, autonoma da quella resa sul mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, sulla insufficienza della integrazione lavorativa in Italia, in sè considerata, quale presupposto della protezione umanitaria, la parte si limita ad illustrazioni generiche su contenuto e presupposti della protezione umanitaria nonchè del divieto di respingimento, senza specificare (come sopra detto) se egli abbia proposto specifico motivo di appello, e per quali ragioni, contro la statuizione del Tribunale che ha ritenuto non credibile il suo racconto.

La reiezione della domanda di richiesta dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria è stata motivata dal Tribunale sulla base della ritenuta non credibilità della narrazione dello straniero, argomentata, come sopra detto, sulla base di specifici argomenti. Ora, nei confronti della precipua ratio decidendi addotta dal Tribunale, il ricorrente nulla oppone nè avanza censure nel ricorso, limitandosi a reiterare l’addotta fondatezza della domanda di protezione internazionale, argomentando sulla base della narrazione che il Giudice del merito ha motivatamente ritenuto non credibile.

Ne consegue che, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi. Quanto al richiamo all’art. 10 Cost., va ribadito che il diritto di asilo è interamente regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste dai tre istituti dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera dell’esaustiva normativa di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251 e di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6; con la conseguenza che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, in chiave processuale o strumentale, a tutela di abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione (così, tra le altre, Cass. n. 10686 del 2012; Cass. n. 16362 del 2016).

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce ex “art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – (l’)Errato esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto della discussione tra le parti: la condizione di pericolosità e le situazioni di violenza generalizzata esistenti in Nigeria. Omessa motivazione contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”. A differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, il ricorrente afferma che nella zona di provenienza del ricorrente (Delta State) sussisterebbe una situazione di violenza legata alla produzione di petrolio, grave situazione che negli ultimi tempi è addirittura peggiorata.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro (Cass. n. 8368 del 2020).

Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 26874 del 2018; Cass. n. 19443 del 2011).

2.3. – Va, d’altronde rilevato che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa (come già detto), l’allegazione di un’altrettanto erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie). Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie (Cass. n. 23745 del 2020); diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della preliminare indicazione della norma pretesamente violata, ma non dimostrati attraverso una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).

2.4. – Dal canto suo, invece, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella novellata formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis) consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non v’è specifica adeguata indicazione.

Laddove, poi, si presenta altrettanto inammissibile l’evocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento non già ad un “fatto storico”, come sopra inteso, bensì a questioni o argomentazioni giuridiche (Cass. n. 22507 del 2015; cfr. Cass. n. 21152 del 2014); ciò in quanto nel paradigma ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è inquadrabile il vizio di omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 26305 del 2018).

2.5. – Ciò detto, va altresì posto in evidenza che i motivi, nei termini in cui sono stati formulati, risultano caratterizzati dal medesimo vizio di assoluta assenza di specificità, in quanto non si confrontano in alcun modo con l’apparato argomentativo della sentenza, limitandosi ad affermazioni meramente di carattere generale, quanto all’interpretazione delle norme pertinenti, e della giurisprudenza anche di merito, accompagnate da mere asserzioni riferite alla specifica situazione della Nigeria (cfr. Cass. n. 18564 del 2020; cfr. Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 22980 del 2020; Cass. n. 2125 del 2020).

Viceversa, il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato possa rientrare con chiarezza nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; essendo, pertanto, inammissibile la critica generale (e inevitabilmente generica) della sentenza impugnata, formulata con una articolazione di doglianze non riferibili al provvedimento impugnato, e quindi non chiaramente individuabili (Cass. n. 11603 del 2018).

Laddove, con riguardo alla COI riportata dal Tribunale a sostegno (specifico ed aggiornato) della ratio decidendi sottesa al secondo motivo, se ne ravvisa il dato specifico e aggiornato (come tale non comparabile rispetto a fonti magari più recenti, ma meno precise quanto al contenuto: v. ricorso pagg. 9-15) riguardo al fatto che “l’area di provenienza del ricorrente non risulta direttamente coinvolta dagli incidenti che di frequente interessano altre parti del paese, legati prevalentemente ai conflitti relativi alla produzione del petrolio ed ai miliziani di (OMISSIS), presenti, in particolare, nelle regioni nord-orientali del paese” (v. Report EASO del giugno 2017, che non risulta significativamente contestato in parte qua).

2.6. – Resta, in conclusione, da porre in evidenza come le censure, nel loro complesso, si risolvano nella evidente sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018).

Invero, compito della Cassazione non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 9275 del 2018); la qual cosa, nella specie, è ampiamente dato riscontrare.

3. – Il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021

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