Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11416 del 30/04/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/04/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 30/04/2019), n.11416

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25857-2016 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CESARE

PAVESE 60, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE FORELLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO PIZZUTO, giusta

procura in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE LODI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3622/2016 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 20/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2019 dal Consigliere Dott. MARINA CIRESE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIOVANNI GIACALONE, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e

in subordine questioni di legittimità costituzionale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso in data 13 ottobre 2014 il signor P.G. impugnava il silenzio-rifiuto del Comune di Lodi sull’istanza di rimborso ai fini IMU per il 2013 fondata sull’assenza del presupposto soggettivo dell’imposta.

A sostegno della domanda deduceva che l’immobile sito in (OMISSIS), acquistato in comproprietà con la convivente M.G. e destinato ad abitazione familiare, a seguito della cessazione della convivenza e della presentazione del ricorso con cui le parti avevano regolato i propri rapporti giuridico-patrimoniali, era stato assegnato con provvedimento datato 22.10.2013 del Tribunale di Lodi alla ex convivente quale genitore collocatario della figlia minore.

La CTP di Lodi con sentenza del 23.3.2015 rigettava il ricorso confermando la legittimità del diniego del rimborso richiesto.

Proposto appello avverso detta pronuncia, la CTR della Lombardia con sentenza in data 20.6.2016 rigettava il gravame ritenendo non applicabile per interpretazione estensiva il D.L. n. 16 del 2012, art. 4, comma 12 quinquies, “..atteso che la soggettività passiva tributaria deve essere stabilita ex lege e non può essere attribuita attraverso interpretazioni estensive..”

Avverso detta pronuncia il contribuente proponeva ricorso per cassazione articolato in un motivo. La parte intimata non si costituiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 Cost., e del D.L. n. 16 del 2012, art. 4 comma 12 quinquies, – Mezzo di cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 3,” parte ricorrente censurava la statuizione della CTR che non aveva ritenuto applicabile all’ex convivente il D.L. n. 16 del 2012, art. 4 comma 12 quinquies, assumendo che la norma tributaria de qua non può essere considerata quale norma speciale in quanto si limita a specificare il presupposto dell’imposta. Aggiungeva altresì che sulla base della normativa civilistica (artt. 337 bis e 337 sexies c.c.), analogamente a quanto avviene per la famiglia fondata sul matrimonio, nel caso di cessazione di una famiglia di fatto, ove vi siano figli minori, la casa può essere assegnata al genitore collocatario degli stessi con costituzione del diritto di abitazione in capo al medesimo. Concludeva, pertanto, che il D.L. n. 16 del 2012, art. 4, comma 12 quinquies, deve trovare applicazione anche nel caso di cessazione della convivenza more uxorio ove la casa familiare sia assegnata all’ex convivente collocatario dei figli.

Il motivo è fondato.

Occorre premettere che il presupposto per l’applicazione dell’IMU è il medesimo di quello previsto dall’ICI.

Il D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 2, prevede, infatti, che “l’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2”.

Perchè sorga l’obbligo di pagare l’imposta in esame, è necessario che il rapporto che lega il soggetto all’immobile sia “qualificato”, riconducibile, quindi, alla proprietà, all’usufrutto o ad altro reale di godimento, o ad un’altra situazione giuridica specificatamente stabilita dalla legge come nel caso di locazione finanziarie o concessione di beni demaniali.

Il legislatore ha specificamente disciplinato il presupposto impositivo nell’ipotesi di scioglimento del vincolo matrimoniale, prevedendo che, ai soli fini dell’applicazione dell’imposta municipale sugli immobili, è soggetto passivo del tributo, il coniuge a cui viene assegnata la casa coniugale con provvedimento giurisdizionale.

Segnatamente, il D.L. n. 16 del 2012, art. 4, comma 12-quinquies, “Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento” prevede espressamente che: “Ai soli fini dell’applicazione dell’imposta municipale propria di cui al D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 8, e successive modificazioni, nonchè al D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni, l’assegnazione della casa coniugale al coniuge, disposta a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione”.

A seguito di tale intervento normativo, pertanto, il legislatore ha sancito la traslazione della soggettività passiva dell’IMU dal proprietario all’assegnatario dell’alloggio, cosicchè l’imposizione ricade in capo all’utilizzatore con liberazione dal pagamento del coniuge non assegnatario anche se quest’ultimo è proprietario dell’intero immobile.

Tale norma non disciplina, invece, l’ipotesi dei conviventi “more uxorio” che decidano di sciogliere il proprio vincolo con assegnazione della abitazione a colui presso il quale siano collocati i figli minori, così ponendosi il problema dell’opzione ermeneutica da adottare dinanzi ad una lacuna normativa che all’evidenza deriva dalla limitata previsione di una disposizione di legge a fronte dei recenti interventi legislativi e giurisprudenziali tendenti ad una sempre maggiore equiparazione tra la famiglia tradizionale e la famiglia di fatto.

A riguardo giova premettere che la “famiglia di fatto” o “convivenza more uxorio” si identifica con una “formazione sociale” ai sensi dell’art. 2 Cost., secondo cui “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, essendo pertanto giuridicamente meritevole di riconoscimento e di tutela.

La sorte della casa familiare in presenza di una famiglia di fatto con figli è stata espressamente regolata dal combinato disposto dell’art. 337 bis c.c., (il quale dispone che “In caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio si applicano le disposizioni del presente capo” e dal successivo art. 337 sexies c.c., il quale rubricato come “Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza” afferma che “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà.

Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’art. 2643. In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l’avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto”.

Con riferimento all’assegnazione della casa familiare deve in particolare essere richiamata la sentenza della Corte Cost. n. 166 del 1998 che costituisce il sostegno primario dell’ermeneusi costituzionalmente orientata, successivamente consolidatasi nella materia.

In tale sentenza la Corte ha evidenziato che: “l’interpretazione sistematica dell’art. 30 Cost., in correlazione agli artt. 261,146 e 148 c.c., impone che l’assegnazione della casa famiglia nell’ipotesi di cessazione di un rapporto di convivenza “more uxorio”, allorchè vi siano figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, deve regolarsi mediante l’applicazione del principio di responsabilità genitoriale, il quale postula che sia data tempestiva ed efficace soddisfazione alle esigenze di mantenimento del figlio, a prescindere dalla qualificazione dello “status”.

Il diritto dei figli minori nati fuori del matrimonio alla conservazione dell’habitat familiare costituisce quindi, secondo tale pronuncia, una soluzione interpretativa costituzionalmente necessitata.

Tale indicazione ha trovato puntuale e costante conferma nella giurisprudenza di legittimità. Al riguardo secondo Cass. n. 10102 del 2004 “In tema di famiglia di fatto e nella ipotesi di cessazione della convivenza “more uxorio”, l’attribuzione giudiziale del diritto di (continuare ad) abitare nella casa familiare al convivente cui sono affidati i figli minorenni o che conviva con figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti per motivi indipendenti dalla loro volontà è da ritenersi possibile per effetto della sentenza n. 166 del 1998 della Corte Cost., che fa leva sul principio di responsabilità genitoriale, immanente nell’ordinamento e ricavabile dall’interpretazione sistematica degli artt. 261,147 e 148 c.c., (che parifica doveri e diritti del genitore nei confronti dei figli legittimi e di quelli naturali riconosciuti), (comprendenti il dovere di apprestare un’idonea abitazione per la prole, secondo le proprie sostanze e capacità), in correlazione all’art. 30 Cost.. Tale diritto è attribuito dal giudice al coniuge (o al convivente), qualora ne sussistano i presupposti di legge, (…) ed è tale da comprimere temporaneamente, fino al raggiungimento della maggiore età o dell’indipendenza economica dei figli, il diritto di proprietà o di godimento di cui sia titolare o contitolare l’altro genitore, in vista dell’esclusivo interesse della prole alla conservazione, per quanto possibile, dell’habitat domestico anche dopo la separazione dei genitori…”

Pertanto, alla luce dei principi sopra illustrati, può affermarsi che anche nelle convivenze di fatto, in presenza di figli minori nati dai due conviventi, l’immobile adibito a casa familiare è assegnato al genitore collocatario dei predetti minori, anche se non proprietario dell’immobile o conduttore in virtù di rapporto di locazione o comunque autonomo titolare di una posizione giuridica qualificata rispetto all’immobile. Egli, peraltro in virtù dell’affectio che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto (ex art. 2 Cost.) della relazione di convivenza è comunque detentore qualificato dell’immobile ed esercita il diritto di godimento su di esso in posizione del tutto assimilabile al comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia l’altro convivente.

Alla stregua di tali norme, si può quindi affermare che, in presenza di figli nati da una convivenza, al genitore collocatario dei figli minori deve essere assegnata la casa familiare (come avviene per la famiglia tradizionale basata sul matrimonio); pertanto ai fini dell’assegnazione della casa familiare i figli nati da un matrimonio o da una famiglia di fatto sono totalmente equiparati.

E’ opportuno sottolineare inoltre che il diritto di abitazione è creato a favore dei figli (anche se ne beneficia uno dei genitori) quindi, in assenza di figli il diritto di abitazione ex art. 337 sexies c.c., non può essere creato se non su base volontaria.

Con riguardo alla situazione dell’ex convivente, Cass., Sez. I, n. 17971/2015 ha precisato che “In presenza di figli minori nati da una relazione di convivenza “more uxorio”, l’immobile adibito a casa familiare è assegnato al genitore collocatario dei predetti minori, anche se non proprietario dell’immobile, o conduttore in virtù di rapporto di locazione o comunque autonomo titolare di una situazione giuridica qualificata rispetto all’immobile, la cui posizione, peraltro, è comunque di detentore qualificato, assimilabile al comodatario (anche quando proprietario esclusivo sia l’altro convivente), attesa la pregressa “affectio familiaris” che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto (ex art. 2 Cost.), della relazione di convivenza”.

Pertanto, alla luce dei recenti interventi legislativi (vedi legge Cirinnà) e giurisprudenziali, che mirano ad una sempre maggiore equiparazione tra coniugi e conviventi “more uxorio” e considerati i principi che orientano l’assegnazione della casa familiare sia in caso di separazione che di cessazione della convivenza, deve optarsi per una interpretazione estensiva del D.L. n. 16 del 2012, art. 4, comma 12 quinquies, cui peraltro non osta la natura della norma de qua.

Ed invero, non trattandosi di norma tributaria disciplinante un’ipotesi di agevolazione o di esenzione, ovvero di norma speciale, non vale per la stessa il divieto di interpretazione analogica nonchè di interpretazione estensiva ai sensi dell’art. 14 preleggi.

Deve quindi affermarsi, conclusivamente, che la costituzione con sentenza del diritto di abitazione in capo al genitore affidatario dei figli ed assegnatario della casa familiare comporta che, anche nel caso di cessazione della convivenza more uxorio, il soggetto passivo diventi il genitore assegnatario, anche se quest’ultimo non fosse comproprietario, con conseguente liberazione del genitore proprietario ma non assegnatario dell’immobile.

In accoglimento del motivo di ricorso, la sentenza impugnata va, pertanto, cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto ex art. 384 c.p.c., comma 2, il ricorso del contribuente va accolto.

Le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità vanno compensate in considerazione della novità del principio affermato.

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso proposto dal contribuente.

Compensa le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2019

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