Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11412 del 30/04/2021

Cassazione civile sez. II, 30/04/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 30/04/2021), n.11412

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana (da remoto) – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26815/2019 proposto da:

S.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato FILIPPO

BELLINZONI, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in

ROMA, VIA A.MORDINI 14;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 14902/2019 del TRIBUNALE di ROMA, emesso il

16/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.G. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria.

Ascoltato dalla Commissione, il richiedente aveva dichiarato di essere cittadino del Gambia ((OMISSIS)); di essere di fede musulmana e di etnia (OMISSIS); di aver lasciato il Paese nell'(OMISSIS) a causa del timore del procedimento penale pendente a suo carico per avere, nel mese precedente, colpito alla testa con un bastone un arbitro di calcio che, nell’arbitraggio di una partita, aveva preso decisioni in contrasto con l’interesse della squadra nella quale giocava; che raggiungeva l’Italia nel giugno 2017, dopo essere transitato in Libia.

Con decreto n. 14902/2019, depositato in data 16.4.2019, il Tribunale di Roma rigettava il ricorso.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione S.G. sulla base di quattro motivi. L’intimato Ministero non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 11, lett. e) ed f), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Illogica, contraddittoria e apparente motivazione per avere il Tribunale rigettato la richiesta dello status di rifugiato “non riuscendo ad individuare persecuzioni per tendenze o stili di vita””. Secondo il Tribunale, la motivazione dell’espatrio appariva correlata a una vicenda rientrante nell’ambito della giustizia ordinaria, per cui non poteva essere accolta la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato non risultando dimostrata, nè allegata, la correlazione dell’espatrio con persecuzioni riconducibili a situazioni politiche o religiose o altri aspetti previsti dalla Convenzione di Ginevra. Osserva il ricorrente di aver spiegato con precisione e coerenza i motivi della fuga; e che il suo racconto sarebbe credibile, giacchè il Tribunale, con motivazione apparente, non avrebbe spiegato le ragioni per cui aveva ritenuto il racconto non credibile e vago.

1.1. – Il motivo non è ammissibile.

1.2. – La censura cumula frammentarie denunce di omesso esame di un fatto decisivo e controverso e una violazione e/o falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 (cfr. Cass. n. 24002 del 2020).

Al riguardo questa Corte ha affermato che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi di fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. n. 7628 del 2020; Cass. n. 11222 del 2018; Cass. n. 27458 del 2017); o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro (cfr. Cass. sez. un., n. 23745 del 2020).

Nel caso in esame, il ricorrente sottopone all’esame di questa Corte una serie di aspetti diversi, alcuni prospettati in diritto, altri in fatto, alcuni riguardanti la protezione sussidiaria, altri la protezione umanitaria con riferimento a profili differenti; con la inevitabile conseguenza di riversare nel ricorso l’intero contenuto delle fasi di merito, devolvendo al sindacato della Corte di cassazione l’individuazione degli eventuali vizi invalidanti la decisione impugnata.

Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa, mira (del tutto inevitabilmente ed impropriamente) a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inevitabilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 26874 del 2018).

1.3. – Giova inoltre ricordare che (in ragione del loro espresso richiamo in tutti gli spiegati motivi) che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

Va dunque ribadito (pertanto sempre in termini generali) che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

1.4. – Sotto altro profilo, questa Corte (Cass. sez. un. 8053 del 2014) ha affermato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella novellata formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle pronunce impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 29.3.2019) consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

1.5. – La motivazione del decreto impugnato è tale da integrare pienamente il c.d. “minimo costituzionale della motivazione” – che solo consente di ritenere il provvedimento giurisdizionale legittimo ai sensi del combinato disposto dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass., S.U., n. 8053/2014) -, giacchè presenta un apparato argomentativo sufficiente, adeguato e coerente, mettendo in evidenza le ragioni della ritenuta non credibilità della vicenda narrata dal richiedente e, quindi, l’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente censura la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) e art. 3, comma 3, lett. a), artt. 2, 3, 5, 8 e 9 CEDU, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dal momento che il rigetto della protezione sussidiaria è stato emesso senza alcuna valutazione sulla sussistenza del danno grave. Difetto di istruttoria. Si sottolinea che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), prevede l’ipotesi del riconoscimento della protezione sussidiaria in favore del cittadino di paese terzo o apolide che, in caso di rimpatrio, possa incorrere nel rischio effettivo di subire tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante. Il Tribunale non considerava che i maltrattamenti e le torture in cui poteva incorrere il ricorrente, se posto nelle carceri gambiane, potessero rientrare nel rischio effettivo di cui alle suddette norme. Inoltre, il Tribunale sarebbe venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria officiosa al fine di verificare la situazione del Paese d’origine del richiedente. Il Giudice, pur riconoscendo che in Gambia vi fosse una situazione di disordini e di violenza, escludeva che essa fosse generalizzata essendo circoscritta ad alcune categorie di persone (politici, giornalisti e attivisti).

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Otre alla formale evocazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), si sostanzia esclusivamente per la denuncia di violazione del medesimo art. 14, lett. a) e b). Con esso, infatti, non è affatto attinta da alcuna censura la ratio decidendi del decreto impugnato – autonoma e idonea a sorreggere di per sè la statuizione di rigetto della richiesta protezione sussidiaria – con cui si evidenzia che “non risulta nemmeno allegata in ricorso la richiesta di protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b)”.

3. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, art. 3, comma 3, lett. a) e b), artt. 3 e 7 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dal momento che il rigetto del riconoscimento della protezione sussidiaria è stato emesso (anche) sulla base di un giudizio prognostico, futuro e (incerto) e non “sullo stato effettivo ed attuale del Paese d’origine”, ritenendo che in Gambia non vi fosse un pericolo generalizzato. Osserva il ricorrente che il Gambia sia un Paese con diffusa violazione dei diritti umani, specie per l’impossibilità concreta di difesa giudiziaria e per le disumane condizioni carcerarie.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – Lo è, anzitutto, in relazione alle censure che si riferiscono alla domanda di protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), per le medesime ragioni evidenziate (sub p. 2). Lo è, altresì, ove si ritenga che proponga anche una denuncia di violazione della lett. e) dello stesso art. 14, in quanto le doglianze, affatto generiche e riferite alla discriminazione/persecuzione in Gambia, non sono pertinenti rispetto alla fattispecie di riferimento, in base alla quale la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858 del 2018).

4. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione del combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Illogica, contraddittoria e apparente motivazione per aver il Tribunale rigettato la richiesta di protezione umanitaria senza operare un esame specifico e attuale della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente, con riferimento al Paese d’origine ed erronea valutazione delle domande avanzate dal richiedente”. Nella fattispecie, a detta del ricorrente, sussistono motivi di carattere umanitario atteso che il medesimo è fuggito dal proprio Paese per il timore di subire un ingiusto processo e una detenzione disumana e degradante. Si evidenzia che il Tribunale non effettuava alcuna comparazione, così come previsto dalla nota sentenza della Suprema Corte n. 4455 del 2018, anche se il ricorrente, a riprova della sua integrazione sociale, produceva il suo tesseramento presso una squadra di calcio e il superamento di un corso di lingua italiana. Nè il Tribunale considerava la situazione oggettiva del Paese d’origine in termini di povertà, opportunità di sopravvivenza e pericolo di rimpatrio per carcerazione in un contesto disumano. Inoltre, il Tribunale non teneva conto della giovane età del ricorrente che al momento della fuga aveva solo 18 anni, nè del trattamento subito nei tre mesi di carcere nel periodo trascorso in Libia.

4.1. – Il motivo è inammissibile.

4.2. – Il Tribunale (premesso il giudizio sulla non credibilità della vicenda narrata dal richiedente, che è apprezzamento (operato alla luce del principio di procedimentalizzazione legale della decisione in base ai criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5), integrante quaestio facti, non censurato alla luce del paradigma di cui al vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e alla stregua del principio enunciato da Cass., sez. un., n. 8053 del 2014, ha valutato sia la situazione di vulnerabilità del richiedente, anche in relazione al dedotto e documentato stato di salute, e quella di integrazione nel Paese di accoglienza (rilevando, peraltro, lo stato di occupazione solo transitoria del richiedente), rendendo una motivazione in armonia con il principio per cui, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass., sez. un., n. 29459 del 2019).

5. – Il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in ragione del fatto che l’intimato non ha svolto difese. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021

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