Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11411 del 10/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 10/05/2017, (ud. 05/04/2017, dep.10/05/2017),  n. 11411

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1203/2014 proposto da:

L.P.A., (OMISSIS), L.P.M. (OMISSIS), P.G.

(OMISSIS), tutte nella qualità di eredi di L.P.V.,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA D. CUCCHIARI 57, presso lo

studio dell’avvocato CAMILLO TOSCANO, rappresentate e difese

dall’avvocato ERNESTO BIONDO;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati CLEMENTINA PULLI,

EMANUELA CAPANNOLO e MAURO RICCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1696/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 27/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 5/04/2017 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. la Corte di Appello di Catanzaro, in parziale accoglimento del gravame svolto dall’INPS, rideterminava la decorrenza dei benefici (assegno ordinario di invalidità e pensione di inabilità) pretesi da L.P.V. (e per lui, deceduto nel corso del giudizio di primo grado, dagli eredi, attuali ricorrenti), con condanna dell’INPS al pagamento in favore degli eredi;

2. per la Cassazione della sentenza ricorrono L.P.A. ed altri eredi, in epigrafe indicati, articolando sei motivi ulteriormente illustrati con memoria;

3. resiste con controricorso l’INPS;

4. il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

5. la dedotta inammissibilità dell’appello, perchè notificato impersonalmente e collettivamente agli eredi, oltre l’anno dal decesso, sulla quale è incentrato il primo motivo di ricorso, è infondata giacchè nel giudizio in esame il decesso della parte è stato dichiarato dinnanzi al giudice di primo grado, con contestuale costituzione degli eredi a mezzo del medesimo procuratore e, pertanto, non risultano pertinenti la sollevata questione di adeguata tutela dell’esigenza che gli eredi vengano a conoscenza della proposta impugnazione e neanche i principi enunciati dalle Sezioni unite della Corte (v. Cass., Sez. U., n. 14699 del 2010), secondo cui l’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa (o parzialmente vittoriosa), deve essere rivolto agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia dall’eventuale ignoranza – anche se incolpevole – dell’evento da parte del soccombente, altresì precisando che detta notifica (che può sempre essere effettuata personalmente ai singoli eredi) può anche essere rivolta agli eredi in forma collettiva ed impersonale, purchè entro l’anno dalla pubblicazione, nell’ultimo domicilio della parte defunta;

6. l’ulteriore profilo di censura enunciato nella memoria illustrativa – violazione dell’art. 303 c.p.c., comma 2, perchè l’INPS avrebbe dovuto notificare ad ognuna delle parti l’atto di appello mentre ha notificato una sola copia agli eredi impersonalmente presso il procuratore – è inammissibile dovendo, al riguardo, ribadirsi che nel giudizio di legittimità non è consentito, con le memorie di cui all’art. 378 c.p.c. e con quelle omologhe di cui all’art. 380-bis c.p.c., specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni e dedurre nuove eccezioni o sollevare questioni nuove, violandosi, altrimenti, il diritto di difesa della controparte (v., fra le altre, Cass. sez. sesta-L 22 febbraio 2016, n. 3471);

7. quanto al lamentato difetto di pronuncia in ordine all’eccezione di inammissibilità del gravame, per carenza di specificità, va rilevata l’inadeguata deduzione dell’ error in procedendo non svelando neanche l’illustrazione del mezzo la censura di nullità della sentenza;

8. come già ritenuto in altri precedenti di questa Corte (si veda, in particolare, Cass. sez. sesta-L n. 17866 del 2015), si ha nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, esclusivamente nelle ipotesi di radicale mancanza della motivazione, formale (nel caso in cui la motivazione manca anche dal punto di vista materiale) e sostanziale – altrimenti detta motivazione apparente – nel caso in cui non manca materialmente un testo della motivazione, ma tale testo non contiene una effettiva esposizione delle ragioni poste a base della decisione, (cfr. Cass. Cass. S.U. n. 26825 del 2009 e, fra le più recenti, Cass. n. 5960 del 2015);

9. qualora, poi, ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa o della deduzione difensiva, ovvero di un loro assorbimento in altre declaratorie, non è configurabile il vizio di omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.) che si riscontra soltanto allorchè manchi una decisione in ordine a una domanda a o a un assunto che renda necessaria una statuizione di accoglimento o di rigetto (fra le tante, v. Cass. Sez. 2, 24 giugno 2003, n. 10001; in senso conforme v. anche Cass. Sez. 3 23 settembre 2004, n. 19131);

10. nel ricorso all’esame, a fronte di una eccezione di inammissibilità del gravame in relazione alla mancata specificazione delle censure formulate nell’atto di appello, la Corte territoriale ha implicitamente rigettato l’eccezione, procedendo all’esame delle stesse, ritenute, evidentemente, ammissibili;

11. quanto agli ulteriori mezzi d’impugnazione, svolti peraltro contestualmente per violazione di legge e omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, essi non sono riconducibili al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo vigente a seguito della sua riformulazione ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile, ratione temporis, come nella specie, alle sentenze pubblicate dopo il giorno 11 settembre 2012, secondo l’interpretazione resane dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014 n. 8053);

12. quanto detto vale anche per il mezzo che investe, per vizio motivazionale, la disposta regolazione delle spese;

13. la dedotta violazione di legge nella regolazione delle spese – per avere la Corte di merito disposto la compensazione nonostante la soccombenza dell’INPS nel giudizio di appello – non coglie nel segno giacchè l’INPS, in sede di gravame, è risultato parzialmente soccombente, stante l’accoglimento parziale del gravarne delle parti private;

14. ai fini del regolamento delle spese del processo civile, la “soccombenza” costituisce un’applicazione del principio di causalità, che vuole non esente da onere delle spese la parte che, col suo comportamento antigiuridico (per la trasgressione delle norme di diritto sostanziale) abbia provocato) la necessità del processo;

15. con riferimento alle controversie in materia di assistenza e previdenza obbligatoria, sussiste parziale soccombenza della parte privata, idonea a giustificare la compensazione delle spese, sia nell’ipotesi in cui il requisito sanitario sia sopravvenuto alla domanda giudiziale, sia nell’ipotesi in cui, ancorchè esso sia risultato sussistente da epoca anteriore a tale domanda, questa abbia avuto ad oggetto il conseguimento della prestazione da data anteriore a quella in cui l’anzidetto requisito risulta essersi perfezionato (ai sensi dell’art. 149 disp. att. c.p.c.) per effetto di aggravamento) successivo alla domanda amministrativa, ma anteriore al procedimento giudiziale (così Cass. n. 7716/2003; Cass. n. 19343/2004; Cass. n. 7307/2011);

16. nella specie il requisito) sanitario è sopravvenuto alla domanda giudiziale e tanto basta per riaffermare il predetto principio;

17. il ricorso va rigettato;

18. le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo non sussistendo le condizioni per beneficiare dell’esonero a norma dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo applicabile ratione tempotis;

19. pur essendo il ricorso notificato dopo l’entrata in vigore della novella al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, che apporta innovazioni al regime delle spese di giustizia per il caso di rigetto dell’impugnazione, i ricorrenti, risultando ammessi al gratuito patrocinio, non devono essere onerati delle conseguenze ivi previste, vale a dire del pagamento aggiuntivo collegato al rigetto integrale o alla definizione in rito dell’impugnazione (cfr., ex multis, Cass. n. 2023/2015; 18523/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara insussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2017

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