Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11407 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. I, 12/06/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 12/06/2020), n.11407

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4532/2019 proposto da:

D.V., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico

38, presso lo studio dell’avvocato Roberto Maiorana che lo

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato ope legis in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza n. 550/2018 della Corte di appello di Perugia

depositata il 24/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/01/2020 dal Cons. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. D.V., cittadino della Costa d’Avorio, ricorre in cassazione con cinque motivi avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Perugia, su impugnazione proposta D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35-bis ratione temporis vigente, aveva confermato il diniego di protezione internazionale ed umanitaria pronunciato in primo grado dal Tribunale di Perugia con ordinanza in data 23.9.2017.

2. La Corte territoriale aveva disatteso la domanda di protezione internazionale primaria e sussidiaria e di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ritenendo che la situazione narrata dal richiedente non rientrasse in alcuna delle ipotesi previste.

3. L’Amministrazione intimata non ha articolato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione o motivazione apparente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per mancanza di ogni esposizione dei fatti e di ogni riferimento ai motivi di appello.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il processo oggetto di discussione tra le parti, ovverosia la condizione politico/economica/sociale del Paese di provenienza, la Costa d’Avorio, avendo la corte di merito mancato di consultare fonti informative attualizzate.

La protezione sussidiaria per la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) avrebbe definito, per vero, una ipotesi di rischio oggettivo e di danno generale non collegata alla persona del richiedente, come ritenuto dalla Corte di Giustizia nel caso Elgafaji. La situazione di instabilità e violenza generalizzata accertate avrebbero integrato il richiesto estremo consentendo di riconoscere al richiedente la protezione internazionale sussidiaria o umanitaria.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione per omesso/erroneo esame delle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate e tanto per la valutazione della sua condizione personale di vulnerabilità.

Le dichiarazioni rese in commissione non sarebbero state apprezzate dal giudice di primo grado e di appello in merito alla condizione socio-politica della Costa d’Avorio, al conflitto armato ed ai rischi generalizzati per la popolazione civile. Il giudice avrebbe dovuto approfondire la situazione generale del Paese al fine di accertare quel sistema di violenza generalizzato richiesto dalla norma per la protezione sussidiaria ed umanitaria. Sarebbe mancata nella valutazione della Corte di merito l’integrazione sociale raggiunta dal richiedente in Italia e tanto, almeno, ai fini della protezione umanitaria.

Il richiedente non avrebbe potuto ricorrere alle autorità locali per riceverne protezione.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 6, per la mancata concessione della protezione sussidiaria a cui il primo aveva diritto in ragione delle condizioni socio-politiche del paese di provenienza ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); l’omesso esame di fonti normative e l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost..

La Corte di appello aveva omesso di valutare la condizione del Bangladesh e non avrebbe citato alcuna fonte informativa là dove la norma ne prevede la consultazione per valutare la condizione del Paese attualizzata al momento della decisione.

Ai fini della concessione di una delle forme di protezione internazionale ed umanitaria viene in rilievo non solo una situazione di persecuzione individuale ma anche una situazione generalizzata di violenza e persecuzione e quindi che venga impedito al richiedente nel suo Paese l’effettivo esercizio di libertà democratiche garantite dalla Costituzione.

Fonti accreditate quali quelle del Ministero degli Esteri e di Amnesty International avrebbe denunciato, tra l’altro, l’esistenza in Costa d’Avorio di centinaia di detenuti in attesa di giudizio, di arresti e detenzioni illegali, di condizioni carcerarie inaccettabili, che avrebbero attestato la mancanza di condizioni minime di sicurezza come ritenuto da taluni giudici di merito che avevano apprezzato l’esistenza in Costa d’Avorio di un conflitto armato perenne.

5. Con il quinto motivo si fa valere la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendosi rifiutare un permesso di soggiorno allo straniero in caso di seri motivi di carattere umanitario, ed all’art. 19 D.Lgs. cit. che vieta l’espulsione, per il principio di non refoulement, dello straniero che possa essere perseguitato nel paese d’origine o ivi correre gravi rischi, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. 14 luglio 2017, n. 110 che ha introdotto il reato di tortura ed ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. ed all’art. 3 CEDU, risultando accertato che il ricorrente ove avesse fatto rientro nel Paese di origine avrebbe potuto essere ingiustamente processato condannato e posto in carcere.

6. Il primo motivo è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.

Questa Corte di legittimità ha per vero affermato con costante indirizzo, che in tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame (tra le altre: Cass. n. 27112 del 25/10/2018).

In applicazione dell’indicato principio, si ha che la deduzione difensiva, non allegando in sede di legittimità quali siano stati i motivi dedotti dalla parte in appello per contestare l’illegittimità della sentenza di primo grado, è inammissibile perchè, generica, non consentendo a questa Corte nel raffronto tra i contenuti del motivo di impugnazione e la sentenza impugnata di valutare del motivo, la decisività.

7. Può darsi, nel resto, congiunta trattazione ai motivi dal secondo al quarto del ricorso, ponendosi per gli stessi questione sulla configurabilità del diritto alla protezione internazionale sub specie di quella sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 51 del 2007, art. 14, lett. c) in caso di una situazione di violenza generalizzata nel Paese di provenienza del richiedente la protezione internazionale e sulla prevalenza giocata dall’estremo indicato, nella valutazione delle situazioni individuali di pericolo sofferte dal singolo in caso di suo rientro.

7.1. L’affermazione di principio, pure operata da questa Corte di legittimità, per la quale “in tema di protezione internazionale sussidiaria, il requisito della individualità della minaccia grave alla vita o alla persona di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non è subordinato, in conformità alle indicazioni della Corte di Giustizia UE (sentenza 17 febbraio 2009, in C-465/07), vincolante per il giudice di merito, alla condizione che il richiedente “fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale”, in quanto la sua esistenza può desumersi anche dal grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, da cui dedurre che il rientro nel Paese d’origine determinerebbe un rischio concreto per la vita del richiedente (Cass. 30/07/2015 n. 16202; Cass. 31/05/2018 n. 13858), va preliminarmente coniugata nella sua applicazione con altre e strumentali regole, di cui pure è portatore il complesso sistema normativo di introduzione e disciplina della protezione internazionale.

Tanto è destinato a valere, segnatamente, per i principi affermati da questa stessa Corte sull’onere della prova in una materia che, pur connotata da espresse deroghe all’applicazione del principio dispositivo, chiama comunque il giudice del merito ad attivarsi ufficiosamente là dove, e quando, il cittadino straniero, che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto.

Come ancora rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la “cooperazione istruttoria” è destinata da inserirsi, non opera sul versante dell’allegazione, ma, esclusivamente, da quello della prova.

Resta pertanto fermo il correlato principio che l’allegazione difensiva debba essere adeguatamente circostanziata, dovendo il richiedente presentare tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, ivi compresi i motivi della sua domanda di protezione internazionale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), nella precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della Fondatezza della domanda medesima sul piano probatorio.

7.2. Ciò posto, il carattere del ricorso, in cui articolato è il richiamo a norme nazionali e convenzionali, ai principi affermati da questa Corte di legittimità e ad una pluralità di fonti (report Amnesty International e sito “viaggiare Sicuri” del Ministero degli Affari Esteri), sullo stato di violenza e di violazione de diritti che si registra in Costa d’Avorio per sostenere l’esistenza di uno stato di violenza generalizzato di pervasività tale da prescindere dal rischio individualizzato ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) si presta ad una valutazione di inammissibilità per la non specificità dei motivi nel giudizio di cassazione, nei termini di seguito indicati.

I motivi proposti non si fanno carico invero di segnalare quali siano stati i contenuti di allegazione curati in appello e diretti a sollecitare l’esercizio ufficioso, in materia di prova, dei poteri integrativi nel giudizio di impugnazione.

Ritiene questo Collegio che il principio destinato a valere nella fattispecie in esame possa compendiarsi nelle seguenti affermazioni di diritto.

In materia di protezione internazionale, quando se ne invochi l’applicazione nella forma sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) – là dove riferita all’esistenza di uno stato di diffusa ed indiscriminata violenza, di grado tale da attingere colui che richieda protezione per il solo fatto che egli faccia rientro nel suo paese di origine senza necessità di deduzione di un rischio individualizzato – gli oneri di allegazione gravanti sul richiedente che impugni in appello devono, in quella fase, conformarsi a natura e struttura del giudizio, destinato a veicolare attraverso i motivi la censura alla decisione di primo grado.

La specificità della critica difensiva in appello, imposta dall’art. 342 c.p.c. a cui deve correlarsi la risposta del giudice, non consente al ricorrente, che della decisione di secondo grado censuri l’illegittimità, di far valere per la prima volta nel giudizio di cassazione deduzioni ed allegazioni mancate nella fase impugnatoria di merito.

Colui che impugni in cassazione la decisione del giudice di appello in materia di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) non può mancare di allegare il motivo che, coltivato in appello, abbia in tesi ricevuto risposta erronea nella sentenza, diversamente restando precluso l’esercizio del controllo demandato al giudice di legittimità sulla correttezza dell’interpretazione e dell’applicazione della norma e sulla rispondenza della motivazione a canoni di logica e di valutazione dei fatti decisivi per la decisione del giudizio, come operata dal precedente giudice di merito, anche in ordine alla mancata sua attivazione dei poteri istruttori ufficiosi.

7.3. Le censure del ricorso che più direttamente toccano la portata del racconto reso dinanzi alla Commissione territoriale del richiedente sono del pari del tutto generiche non segnalando neppure, il ricorrente, le circostanze in fatto che oggetto dell’intervista resa dinanzi alla competente Commissione sarebbero poi mancate nella valutazione della Corte di merito quanto al formulato giudizio di non ascrivibilità del dedotto alle invocate fattispecie di protezione.

Anche in tal caso la critica portata in ricorso manca di specificità e come tale è inammissibile dovendo il motivo del ricorso per cassazione veicolare quei contenuti del racconto mancati all’esame della Corte di merito alla cui attenzione erano stati portati a mezzo dei motivi di appello.

Nè, d’altro, canto, il fatto omesso nella valutazione della Corte di merito può consistere nel vaglio della situazione di generale insicurezza del paese di provenienza che invece integra il diverso dovere di collaborazione che non si attiva se il richiedente non abbia reso un racconto credibile.

In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova e la deroga al principio dispositivo che connota,a materia – e che si ha soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione e che si esprime da parte del giudice del merito attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare -, è destinata ad operare soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (Cass. n. 15794 del 12/06/2019).

8. In ordine al quinto motivo di ricorso sulla protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, si osserva.

Il motivo nei suoi articolati contenuti si presta ad una valutazione di inammissibilità per una pluralità di ragioni.

Il motivo per la prima volta introduce questioni non altrimenti oggetto del dibattito processuale nelle precedenti fasi; non si confronta con la sentenza impugnata e genericamente invoca situazioni in diritto fondative della richiesta misura di protezione che non vengono declinate in relazione al caso concreto, attraverso una meditata critica della decisione impugnata; non riesce, in via conclusiva, all’esito della rilevate mancanze, a guidare, secondo i dovuti canali, l’apprezzamento di legittimità a cui richiede una non consentita, diretta, rivalutazione del merito.

Il profilo del motivo di ricorso relativo al riconoscimento della protezione umanitaria in applicazione del principio di non respingimento resta anch’esso genericamente articolato in difetto di una perspicua indicazione in ordine alla illegittimità, sul punto, dell’impugnata sentenza quanto all’estremo del “danno grave” corso dal richiedente là dove si valorizza che il richiedente nulla ha dedotto sulla violazione dei diritti fondamentali della persona integrativa della protezione umanitaria, per fattispecie segnate da una prefissata graduazione di interessi e valoriale.

Il richiamo ad una situazione generale del paese di provenienza che si vorrebbe integrativa di una condizione di vulnerabilità legittimante il riconoscimento della protezione umanitaria è poi infondato.

La protezione umanitaria trova infatti fondamento in una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (Cass. n. 9304 del 03/04/2019).

9. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese non avendo l’Amministrazione intimata articolato difese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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