Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11406 del 11/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 11/05/2010, (ud. 14/04/2010, dep. 11/05/2010), n.11406

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ISTITUTO GIANNINA GASLINI in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

14A/4, presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MANIGLIO ALESSANDRA,

COCCHI LUIGI, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.F., + ALTRI OMESSI

;

– intimati –

sul ricorso 23765-2006 proposto da:

D.A., + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 288, presso lo studio dell’avvocato ROSSI

GUIDO, che li rappresenta e difende, giusta mandato a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

ISTITUTO GIANNINA GASLINI in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

14A/4, presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MANIGLIO ALESSANDRA,

COCCHI LUIGI, giusta mandato a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 400/2006 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 05/06/2006 r.g.n. 690/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2010 dal Consigliere Dott. ZAPPIA Pietro;

udito l’Avvocato MANIGLIO ALESSANDRA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Genova, depositato in data 4.10.2002, M.F. ed altri venti dipendenti dell’Istituto Giannina Gaslini, premesso di svolgere la loro attività presso il Pronto Soccorso del detto nosocomio in qualità di infermieri professionali, e premesso che in tale loro qualità svolgevano anche quotidianamente, in via d’urgenza, “attività rianimatoria e di terapia intensiva” su bambini giunti in condizioni critiche e che venivano tenuti in osservazione anche per ventiquattr’ore, chiedevano che venisse accertato il loro diritto a conseguire l’indennità di terapia sub – intensiva prevista dall’art. 44 del CCNL del Comparto Sanità relativo al periodo 1994 – 1997, con condanna dell’Istituto convenuto alla corresponsione delle relative indennità.

Il Tribunale adito, in parziale accoglimento della domanda proposta, accertava il diritto dei ricorrenti a percepire l’indennità in questione per ogni giorno di effettivo servizio nelle terapie intensive e, con pronuncia generica, condannava l’Istituto convenuto al pagamento delle relative differenze retributive, oltre rivalutazione ed interessi legali, con decorrenza dal 10.6.1994.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’Istituto Giannina Gaslini lamentandone la erroneità sotto diversi profili, deducendo in particolare, nel merito, che l’indennità in questione spettava solo al personale operante in reparti specificamente dedicati, e non anche agli infermieri operanti nel Pronto Soccorso, e dolendosi della mancata attivazione da parte del primo giudice della procedura prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64 per la interpretazione autentica della norma collettiva.

La Corte di Appello di Genova, disposta l’attivazione di tale procedura conclusasi peraltro senza il raggiungimento di alcun accordo, con sentenza in data 7.4.2006, decidendo ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64, comma 3, dichiarava la spettanza dell’indennità in questione al personale infermieristico che avesse comunque svolto le attività previste, e non solo a quello impiegato in servizi a ciò specificamente dedicati, rinviando ad altra udienza per la prosecuzione del giudizio.

In particolare la Corte territoriale rilevava che l’art. 44 del CCNL in questione non limitava l’indennità per terapia intensiva e sub – intensiva solo al personale operante in reparti specificamente dedicati, ma riconosceva il diritto a tale indennità indipendentemente dalla struttura in cui detta attività era stata effettuata, in considerazione dello svolgimento del servizio suddetto.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione l’Istituto Giannina Gaslini con due motivi di impugnazione.

Resistono con controricorso i lavoratori intimati, che propongono a loro volta ricorso incidentale affidato ad un motivo di gravame.

L’Istituto resiste al ricorso incidentale con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Preliminarmente va disposta la riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c. dei due ricorsi perchè proposti avverso la medesima sentenza.

Col primo motivo di gravame l’Istituto ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 44 CCNL Comparto Sanità 1994 – 1997; violazione dei canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. (interpretazione letterale della norma), all’art. 1363 c.c. (criterio logico sistematico), e all’art. 1369 c.c. (interpretazione più conveniente alla natura ed all’oggetto del contratto laddove le parole abbiano più significati); violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia;

violazione e falsa applicazione D.P.R. 14 gennaio 1997 e dell’accordo Stato – Regioni 25.10.2001.

Nell’esplicitazione del motivo l’Istituto predetto rileva che la Corte di merito avrebbe violato gli artt. 1362, 1363 e 1369 c.c., disattendendo non solo la lettera ma anche lo spirito della regolamentazione contrattuale, che faceva riferimento ad un concetto di “servizio” di terapia intensiva e sub – intensiva inteso non in senso funzionale bensì in senso strutturale. Ed aveva altresì disatteso l’interpretazione autentica fornita dall’Aran e dalle 00.SS. intervenute, evidenziando che non si era pervenuti ad una esaustiva conclusione del procedimento solo per la indisponibilità di una sigla sindacale.

Col secondo motivo di gravame l’Istituto ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 44 CCNL Comparto Sanità;

violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia; violazione e falsa applicazione del D.P.R. 14 gennaio 1997 e dell’accordo Stato – Regioni 25.10.2001.

In particolare rileva la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che l’attività prestata presso reparti diversi da quelli dedicati potesse dar luogo al pagamento dell’indennità in questione, avendo omesso di accertare e motivare su quali fossero le attività che si svolgevano presso il pronto soccorso (secondo la normativa regionale e nazionale), e quali fossero sul piano normativo le attività di terapia intensiva (secondo il D.P.R. 14 gennaio 1997 e l’accordo Stato – Regioni 25.10.2001) e le attività di terapia sub – intensiva.

Col ricorso incidentale proposto i lavoratori lamentano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 44, comma 6, del CCNL Comparto Sanità (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 5); violazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362, 1363, 1367 c.c. e art. 1368 c.p.c..

Rilevano in particolare che erroneamente la Corte territoriale aveva interpretato l’espressione “per ogni giornata di effettivo servizio prestato” utilizzata dalle parti sociali, attribuendo a tale espressione il significato di “ogni giornata di terapia intensiva effettivamente prestata”, mentre per contro la comune intenzione delle parti contraenti era quella di dar rilievo, per come emergeva dal chiaro significato dell’espressione usata, ad “ogni giornata di servizio”, e cioè ad “ogni giornata di presenza sul lavoro” nell’espletamento di una attività che comprendeva anche l’effettuazione di terapie intensive.

Osserva il Collegio che entrambi i ricorsi, principale ed incidentale, sono inammissibili.

In proposito occorre innanzi tutto evidenziare, ai fini di un inquadramento sistematico della presente vicenda giudiziale, che l’impugnata sentenza è stata pronunciata ai sensi della L. n. 165 del 2001, art. 64, comma 3, concernente “l’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi”; deve pertanto trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 420 bis c.p.c..

Si pone pertanto in via pregiudiziale la questione, rilevabile d’ufficio, se l’accertamento suddetto, secondo il procedimento di cui all’art. 420 bis c.p.c., sia possibile anche nel giudizio di appello, ovvero se esso riguardi esclusivamente il giudizio di primo grado.

Questa seconda opzione interpretativa trova un argomento di conferma, oltre che nel contenuto testuale dell’art. 420 bis c.p.c., comma 2, laddove prevede, quale rimedio avverso la sentenza che reca l’accertamento pregiudiziale, “soltanto” il ricorso immediato per cassazione, mostrando in tal modo l’intento del legislatore di far riferimento esclusivamente alla sentenza di primo grado e di escludere ogni altra impugnazione ordinaria e quindi l’appello, mentre la sentenza pronunciata in grado d’appello è già di per se soltanto ricorribile, nel canone costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost., comma 2), posto in relazione con quello della immediatezza della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.). Ed invero l’accertamento pregiudiziale di cui all’art. 420 bis c.p.c. introduce una fase incidentale nel processo che, in caso di ricorso per Cassazione, inevitabilmente comporta un ritardo nella definitiva delibazione della domanda stante la sospensione necessaria del giudizio di merito nella pendenza del giudizio di cassazione;

ritardo che le parti in qualche misura subiscono non essendo previsto, come presupposto per l’applicazione dell’istituto, l’accordo delle parti.

Orbene, i principi costituzionali suddetti implicano un bilanciamento tra il vantaggio di un più rapido intervento della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione ed il ritardo nella completa definizione della lite. Questo bilanciamento, nel caso dell’art. 420 bis c.p.c. in esame, non è lo stesso nel giudizio di primo grado ed in quello di appello. L’accertamento pregiudiziale in limine litis del giudizio di primo grado vede il ritardo della completa definizione della lite compensato dal più rapido intervento della Corte di Cassazione, perchè realizzato omisso medio, nella verifica che l’interpretazione da cui muove il giudice di primo grado sia corretta. Invece nel giudizio di appello la pronuncia definitiva che renderebbe il giudice in quel grado è già di per se soltanto ricorribile per Cassazione e quindi il ritardo conseguente allo sdoppiamento del processo tra accertamento incidentale e pronuncia definitiva sulla domanda non ha di norma un’apprezzabile contropartita e non trova analoga compensazione, nell’accelerazione data dalla possibilità dell’intervento della Corte di Cassazione omisso medio, sicchè il pregiudizio delle parti per il conseguente ritardo nella tutela giurisdizionale potrebbe non essere “ragionevole”.

Sulla questione ha già avuto di pronunciarsi questa Sezione della Corte Suprema la quale ha evidenziato che “in sintesi ed in conclusione il canone costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost., comma 2), coniugato a quello dell’immediatezza della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), orienta l’interpretazione dell’art. 420 bis c.p.c., già coonestata dagli argomenti di interpretazione letterale sopra esposti, nel senso di ritenere che tale disposizione trovi applicazione solo nel giudizio di primo grado e non anche in quello d’appello; questa opzione interpretativa è poi in sintonia con le scelte del legislatore delegato (D.Lgs. n. 40 del 2006) che più in generale ha limitato la possibilità di ricorso immediato per Cassazione avverso sentenze non definitive rese in grado d’appello, lasciando invece inalterata la disciplina dell’impugnazione immediata delle sentenze non definitive rese in primo grado” (Cass. sez. lav., 19.2.2007 n. 3770).

Da ciò deriva che la sentenza di accertamento pregiudiziale sull’interpretazione di un contratto collettivo, ove resa in grado di appello, non è sussumibile nella fattispecie dell’art. 420 bis c.p.c. e la conseguenza di tale non riconducibilità nel paradigma di tale norma va identificata non già in un vizio che inficia la pronuncia, bensì nel regime processuale dell’impugnazione della stessa, nel senso che non trova applicazione (neppure) il comma 2 della medesima disposizione sul particolare regime dell’impugnazione della sentenza mediante “ricorso immediato per cassazione” il quale, ove proposto, deve essere dichiarato inammissibile.

Per contro, trattandosi di sentenza che non definisce, neppure parzialmente, il giudizio, troverà applicazione il rimedio risultante dal combinato disposto dall’art. 360 c.p.c., comma 3 (come novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2), e art. 361 c.p.c., comma 1, in base al quale avverso le sentenze che non definiscono il giudizio e non sono impugnabili con ricorso immediato per Cassazione, può essere successivamente proposto il suddetto ricorso per Cassazione, senza necessità di riserva, allorchè sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio; rimanendo in tal modo salvaguardato l’interesse delle parti ad un giudizio di impugnazione sulla sentenza resa dal giudice di appello.

Alla stregua di quanto sopra vanno dichiarati inammissibili sia il ricorso principale che il ricorso incidentale proposti avverso la predetta sentenza.

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie, per l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

PQM

LA CORTE Riunisce i ricorsi e li dichiara entrambi inammissibili. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2010

 

 

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