Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11405 del 30/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/04/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 30/04/2021), n.11405

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

SILVER BASSANO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa per procura a margine del ricorso

dall’Avv. Roberto Roberti.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 preso gli

Uffici dell’Avvocatura Generale di Stato dalla quale è

rappresentata e difesa.

– resistente –

per la cassazione della sentenza n. 378/31/15 della Commissione

tributaria regionale del Veneto/Venezia-Mestre, depositata il 17

febbraio 2015;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27 gennaio 2021 dal relatore Cons. Roberta Crucitti.

 

Fatto

RILEVATO

che:

nella controversia originata dall’impugnazione da parte della Silver Bassano s.r.l. dell’avviso di accertamento, relativo a Ires, Iva e Irap dell’anno di imposta 2007, la Commissione tributaria provinciale di Vicenza annullava l’atto impositivo perchè emesso prima che fosse decorso il termine previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per dare modo al contribuente di rispondere agli inviti e/o questionari inviati dall’Amministrazione finanziaria.

La decisione, appellata dall’Agenzia delle entrate, è stata riformata dalla Commissione tributaria regionale del Veneto (d’ora in poi per brevità C.T.R.), con la sentenza indicata in epigrafe.

In particolare, la C.T.R. riteneva che la suddetta norma prevedesse in capo all’Amministrazione finanziaria una mera facoltà (dell’invito al contribuente) la cui omissione non comportava la nullità dell’avviso di accertamento. Ne conseguiva, secondo il Giudice di appello, che, a maggior ragione, il mancato rispetto del termine per consentire al contribuente di rispondere all’invito ovvero al questionario, anche ove effettuato, non inficiava di nullità il successivo avviso di accertamento.

Nel merito, la C.T.R. confermava la legittimità dell’accertamento effettuato ai sensi del D.Lgs. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c), e la fondatezza della pretesa impositiva attesa la carenza di idonea prova contraria da parte della contribuente.

Avverso la sentenza la Società ha proposto ricorso affidato a quattro motivi.

L’Agenzia delle entrate ha depositato atto al fine dell’eventuale partecipazione alla pubblica udienza.

Il ricorso è stato avviato, ai sensi dell’art. 380 bis-1 c.p.c., alla trattazione in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e del D.P.R. n. 632 del 1972, art. 51, laddove la C.T.R. aveva ritenuto che l’inosservanza da parte dell’Amministrazione del termine dilatorio, concesso al contribuente al fine di rispondere al questionario ovvero esibire i documenti richiesti, non ridondasse in nullità dell’atto impositivo. La ricorrente -premesso in fatto di avere inviato all’Amministrazione i documenti richiesti entro il termine di quindici giorni anche rispetto alla data di ricevimento della prima comunicazione, avvenuta a mezzo PEC – rileva come, nella specie, l’Amministrazione abbia violato i diritti di contraddittorio e di difesa del contribuente, e conseguentemente sia errata, in diritto, la sentenza impugnata la quale non aveva ritenuto di sanzionare tale comportamento con l’invalidità dell’atto impositivo.

2. Con il secondo motivo di ricorso -rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, errata interpretazione e applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, alla luce dei principi di diritto comunitario- si censura lo stesso capo di sentenza evidenziando come lo stesso sia errato anche alla luce del generale principio di illegittimità di ogni atto impositivo emesso dalla pubblica amministrazione in violazione del principio del contraddittorio procedimentale, affermato dalla Corte di Giustizia Europea e fatto proprio anche dalla giurisprudenza di legittimità.

3. I motivi, vertenti sulla stessa questione, possono trattarsi congiuntamente.

3.1. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 3, prevede che: Gli inviti e le richieste di cui al presente articolo devono essere notificati ai sensi dell’art. 60. Dalla data di notifica decorre il termine fissato dall’ufficio per l’adempimento che non può essere inferiore a quindici giorni…

Il successivo comma 4, dispone: Le notizie e i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri e i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’Ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’Ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta.

3.2. La giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 22126 del 2013 ribadita, di recente, da Cass. n. 26646 del 24/11/2020) è ferma nel ritenere che: “in tema di accertamento fiscale, l’invio del questionario da parte dell’Amministrazione finanziaria, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 5, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, essendo necessario che l’Ufficio fissi un termine minimo per l’adempimento degli inviti o delle richieste, avvertendo il contribuente delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall’inottemperanza alle stesse senza che, in caso di mancato rispetto della suddetta sequenza procedimentale (la prova della cui compiuta realizzazione incombe sull’Amministrazione), sia invocabile la sanzione dell’inutilizzabilità della documentazione esibita dal contribuente solo con l’introduzione del processo tributario, trattandosi di obblighi di informativa espressione del medesimo principio di lealtà, il quale deve connotare, ai sensi dello Statuto del contribuente, artt. 6 e 10 – l’azione dell’ufficio”.

Appare, pertanto, chiaro dal dettato della norma, come costantemente interpretato da questa Corte che trattandosi di potere discrezionale l’Amministrazione finanziaria abbia, sempre, il potere discrezionale di ritirare ovvero modificare l’ordine impartito e che il mancato e compiuto rispetto dell’ordine procedimentale fissato a carico dell’Amministrazione non venga a inficiare di nullità l’atto impositivo egualmente emesso ma comporti unicamente l’impossibilità di invocare la sanzione di inutilizzabilità della documentazione esibita dal contribuente nella fase amministrativa ovvero contenziosa.

3.2. In ordine all’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale sono, invece, intervenute le Sezioni Unite di questa Corte le quali, con la sentenza n. 24823 del 9/12/2015 hanno statuito il seguente principio “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

3.3. Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, come interpretato da questa Corte, appare utile, per una migliore intelligenza della questione, riassumere brevemente gli elementi fattuali della vicenda processuale, quali risultano pacificamente in atti. E’ incontestato che l’Ufficio, con comunicazione, notificata per compiuta giacenza il (OMISSIS) e anticipata a mezzo PEC il precedente (OMISSIS), richiese alla contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, della documentazione invitandola, altresì, a restituire il questionario allegato, compilato e firmato in ogni sua parte entro 15 giorni dalla data di accertamento, fatto avvertimento che in mancanza l’Ufficio avrebbe potuto procedere all’accertamento induttivo del reddito D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2.

E’, altresì, pacifico che la Società ebbe a produrre all’Ufficio a mezzo PEC, tutta la documentazione richiesta. Nelle more, in data 14 dicembre 2012, l’Ufficio emise l’avviso di accertamento, oggi impugnato, sull’assunto che il questionario ad oggi è rimasto disatteso. Egualmente l’Agenzia delle entrate rigettò, in data 18 aprile 2013, la successiva istanza, presentata dal contribuente, di accertamento con adesione adducendo di non potere prendere visione della documentazione in quanto la stessa era stata prodotta tardivamente.

La C.T.R., inoltre, nella sentenza impugnata, dà per accertato che l’avviso di accertamento, per cui è causa, venne emesso prima che il termine assegnato alla contribuente per produrre i documenti fosse spirato.

4. Ciò posto, in base ai principi elaborati, anche alla luce della giurisprudenza Eurounitaria, dalla giurisprudenza di questa Corte, nel caso in esame, afferente ad avviso di accertamento avente ad oggetto anche un tributo armonizzato, andrà valutato dal giudice di merito se l’atto impositivo, emesso ante tempus, possa ritenersi affetto da nullità per ciò che concerne l’IVA, risultando altresì che la contribuente ebbe a svolgere, sul punto, eccezioni non manifestamente pretestuose.

Egualmente non può dirsi per i tributi non armonizzati alla luce dei principi fissati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 24823 del 9/12/2015 citata la quale, come già detto, ha sancito l’assenza, nel diritto nazionale, in assenza di specifica disposizione, di un generalizzato obbligo di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale sanzionato, in caso di violazione, con la nullità dell’atto impositivo.

Appare, infatti, chiaro dal dettato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, come costantemente interpretato da questa Corte, che la norma prevede per l’Amministrazione finanziaria una mera facoltà di interlocuzione con il contribuente e che tale discrezionalità consenta il potere altrettanto discrezionale di modificare ovvero di ritirare l’ordine impartito. D’altro canto, il mancato e compiuto rispetto dell’ordine procedimentale fissato a carico dell’Amministrazione nell’esercizio di tale potere discrezionale non viene a inficiare di nullità l’atto impositivo egualmente emesso ma comporta l’impossibilità di invocare la sanzione di inutilizzabilità della documentazione egualmente esibita dal contribuente nella fase amministrativa ovvero in quella, successiva, contenziosa.

5. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, nel testo antecedente al D.L. n. 241 del 1997, e censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza impugnata di motivazione perplessa e/o contraddittoria laddove la C.T.R. aveva ritenuto applicabile alla fattispecie una norma abrogata.

6. Con il quarto motivo si deduce l’errata applicazione del D.L. n. 331 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexties, laddove la C.T.R. nell’accogliere l’appello dell’Agenzia delle entrate aveva fatto riferimento a tali norme che, in realtà, erano estranee all’atto tributario impugnato che non era stato fondato sull’applicazione degli studi di settore ma unicamente sulla circostanza che la contribuente non avesse risposto al questionario esibendo i documenti richiesti e sul raffronto tra le operazioni attive e quelle passive risultanti dall’elenco clienti-fornitori.

7. Le censure, per la loro connessione, possono trattarsi congiuntamente e sono fondate. La C.T.R. ha dichiarato la legittimità dell’avviso di accertamento fondando la sua decisione su una massima di una decisione di questa Corte (n. 8670/2011) in tema di accertamento induttivo emesso ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 39, comma 2, lett. b). Tale lettera, legittimante il ricorso al metodo induttivo quando alla dichiarazione non sia stato allegato il bilancio con il conto dei profitti e delle perdite, come si legge, nella stessa massima riportata nella sentenza impugnata, è stata, però, abrogata, con effetto per le dichiarazioni presentate a decorrere dal l’gennaio 1998, a norma del D.P.R. 23 luglio 1998, n. 322, art. 9, comma 3, mentre nel caso in esame la dichiarazione, oggetto di esame, era quella relativa al modello unico 2008 e l’accertamento era stato emesso nel 2012.

7.1 Così come del tutto avulsa dalla fattispecie sottoposta all’esame del Giudice di appello è l’ulteriore argomentazione svolta dalla C.T.R. laddove la stessa ha ritenuto che fosse legittimo da parte dell’amministrazione finanziaria il ricorso agli studi di settore giacchè l’accertamento impugnato non si fondava su tali parametri ma dal raffronto tra la dichiarazione presentata e il volume di affari emergente dagli elenchi clienti e fornitori.

8. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso va accolto, nei termini di cui in motivazione, con rinvio alla C.T.R. del Veneto, in diversa composizione, la quale provvederà al riesame, adeguandosi ai superiori principi, e regolerà le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione;

cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021

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