Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11404 del 11/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 11/05/2010, (ud. 07/04/2010, dep. 11/05/2010), n.11404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 62,

presso lo studio dell’avvocato GRISANTI FRANCESCO, rappresentato e

difeso dall’avvocato BALLETTI EMILIO, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

ROSSI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL PARADISO 55, presso lo

studio dell’avvocato DELLA CHIESA D’ISASCA FLAMINIA, rappresentato e

difeso dall’avvocato RIZZO NUNZIO, giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1878/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/05/2006 R.G.N. 7228/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2010 dal Consigliere Dott. NAPOLETANO Giuseppe;

udito l’Avvocato BALLETTI EMILIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Napoli, pronunciando in sede di rinvio, respingeva l’impugnazione proposta da N.N. avverso la sentenza del Pretore di Napoli che aveva rigettato la domanda avanzata dalla N., nei confronti della societa’ Rossi, avente ad oggetto l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con conseguente declaratoria d’illegittimita’, L. n. 300 del 1970, ex art. 18 del licenziamento intimato dalla societa’.

I giudici di appello, premesso che la sentenza rescindente n. 8307 del 2005 della Cassazione aveva annullato la sentenza di appello “soprattutto per vizio di carente motivazione” e che “nessun definitivo e vincolante accertamento in punto di fatto era possibile desumere” dalla predetta sentenza, ritenevano non ricorrere, in base alle stesse allegazioni e dichiarazioni della N. nonche’ alle emergenze istruttorie, gli estremi di un rapporto di lavoro subordinato.

Avverso questa sentenza la N. ricorre in Cassazione sulla base di tre censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso la societa’ intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deducendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, violazione degli artt. 383 e 384 c.p.c. e dell’art. 1362 c.c. e segg., nonche’ vizio di motivazione, formula ex art. 366 bis c.p.c., cosi’ come introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 i relativi quesiti di diritto.

La N. allega che la Corte del merito si e’ discostata da quanto stabilito dalla sentenza rescindente circa la valenza concreta degli individuati indici del lavoro subordinato ricorrenti nella fattispecie de qua.

Con la seconda censura la N. denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 violazione dell’art. 2094 c.c., agli artt. 383 e 384 c.p.c. nonche’ inesatta e contraddittoria motivazione, pone, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il connesso quesito di diritto.

Assume la ricorrente che la Corte territoriale ha escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato sulla base della valutazione di elementi del tutto diversi e contrastanti da quelli individuati dalla sentenza rescindente. In particolare prospetta che la Corte del merito non ha considerato, contrariamente a quanto statuito nella sentenza di annullamento, la specificita’ della realta’ lavorativa e, dunque, del contesto organizzativo – produttivo nel quale ha operato essa lavoratrice.

Con il terzo motivo la N., prospettando, all’art. 360 c.p.c., ex nn. 3 e 5 violazione degli artt. 2094, 2222 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonche’ vizio di motivazione, formula il quesito di diritto di cui al richiamato art. 366 bis c.p.c..

Lamenta la ricorrente la valutazione delle risultanze istruttorie e, tra l’altro, dell’accertamento della volonta’ delle parti limitato alla fase genetica del rapporto.

I motivi, che in quanto logicamente e giuridicamente collegati vanno trattati congiuntamente, non sono fondati.

E’ necessario premettere, ai fini dello scrutinio delle censure in esame, che i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio e’ tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilita’ di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda ipotesi, il giudice non solo puo’ valutare liberamente i fatti gia’ accertati, ma puo’ anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze gia’ verificatesi;

nella terza ipotesi, la “potestas iudicandi” del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, puo’ comportare la valutazione “ex novo” dei fatti gia’ acquisiti, nonche’ la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di Cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (Cass. 6707/0419305/05).

La giurisprudenza di questa Corte, ha inoltre precisato, che allorquando la S.C. annulli la sentenza impugnata per insufficienza di motivazione su un punto decisivo della controversia, non viene emesso alcun principio di diritto vincolante per il giudice di rinvio, il quale e’ tenuto unicamente a riesaminare i fatti oggetto di discussione ai fini di un nuovo apprezzamento complessivo adeguato ai rilievi contenuti nella sentenza di cassazione, sicche’ le prescrizioni dettate al riguardo dal giudice di legittimita’ hanno valore meramente orientativo e non valgono a circoscrivere in un ambito invalicabile i poteri del giudice di rinvio, il quale resta libero di accertare nuovi fatti e decidere la controversia anche in base a nuovi presupposti oggettivi. I limiti all’ammissione delle prove nel giudizio di rinvio riguardano infatti l’attivita’ delle parti, e non si estendono ai poteri del giudice, il quale, pertanto, dovendo riesaminare la causa nel senso indicato dalla sentenza di annullamento, puo’ ben avvertire la necessita’ di disporre, secondo le circostanze, una consulenza tecnica d’ufficio, salva la sola ipotesi in cui la consulenza si ponga, piuttosto che come elemento di valutazione, come mezzo di acquisizione delle prove (Cass. 2605/06, 17686/04 e 4644/89).

Tanto precisato e passando al controllo dell’uniformazione del giudice di rinvio al dictum enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza rescindente, nell’ambito del quale il giudice di legittimita’ deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa (Cfr. Cass. 9395/06), rileva il Collegio che nella sentenza di rinvio questa Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata sostanzialmente per vizio di motivazione rinviando alla Corte di Appello di Napoli al fine di procedere al riesame della controversia e tanto sul presupposto che “alcuni” degli elementi rilevatori della subordinazione “non sono stati in alcun modo valutati dal giudice d’appello, altri, invece, sono stati considerati singolarmente, risultando del tutto omessa la necessaria valutazione complessiva e globale dei suddetti elementi indiziari”.

Alla stregua della su riportata argomentazione, adottata dal giudice di legittimita’ nella pronuncia rescindente, non puo’ in alcun modo dubitarsi che la sentenza impugnata e’ stata annullata essenzialmente per vizio di motivazione in ragione della mancata valutazione di alcune risultanze istruttorie. Conseguentemente non essendo stato enunciato nella sentenza alcun principio di diritto, cui il giudice di rinvio aveva il dovere di conformarsi, e’ rimasto integro il potere di detto giudice di un nuovo apprezzamento complessivo della vicenda.

Ne’ puo’ ritenersi che il giudice del rinvio, cui sia demandato il riesame della controversia in ragione del vizio di motivazione della sentenza impugnata, nell’ambito della sua discrezionalita’ di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti possa considerarsi vincolato da eventuali indicazioni circa il significato da attribuire ad alcuni elementi di prova avendo siffatte indicazioni valore meramente orientativo che non valgono a circoscrivere in una sfera invalicabile i poteri del giudice di rinvio, rimanendo egli libero nella valutazione delle risultanze processuali competendo allo stesso gli stessi poteri del giudice di merito che ha pronunciato la sentenza cassata con l’unica limitazione consistente nell’evitare di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessita’, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati (Cass. 5316/2009).

Diversamente opinando si finirebbe, invero, con l’ammettere che al giudice di legittimita’ e’ consentito un apprezzamento dei fatti che, invece, gli e’ precluso in quanto la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce al giudice di legittimita’ non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi’ la sola facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad esse sottesi, dando, cosi’, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) (ex plurimis Cass., sez. un., n. 13045/97). In caso contrario, invero, il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., n. 5 si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, percio’, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalita’ del giudizio di cassazione (Cass. 9233/06).

E’, pertanto, corretta ed adeguatamente motivata la sentenza della Corte di Appello di Napoli, in questa sede impugnata, che procedendo ad una nuova valutazione dei fatti di causa perviene ad una soluzione diversa da quella auspicata, oggi, dalla parte ricorrente sulla base d’indicazioni fornite dal giudice di legittimita’ aventi valore meramente orientativo (Cass. 5316/09 cit.). Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimita’ in considerazione delle peculiarita’ dei profili processuali e sostanziali della controversia vanno compensate.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimita’.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2010

 

 

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