Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11402 del 24/05/2011

Cassazione civile sez. II, 24/05/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 24/05/2011), n.11402

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

IMMOBILIARE ALPINA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a

margine del ricorso, dagli Avv. Palmieri Luigi e Simonetta De Sanctis

Mangelli, elettivamente domiciliata nello studio di quest’ultima in

Roma, via Pasubio, n. 4;

– ricorrente –

contro

REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente della Giunta regionale

pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a

margine del controricorso, dall’Avv. Legnani Stefano, elettivamente

domiciliata nello studio dell’Avv. Marco Antonucci in Roma, via

Oslavia, n. 30;

– controricorrente –

e nei confronti di DIAMANTE s.a.s., di Aldo Graziano & C, in

persona

del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 1302 del 25

maggio 2006.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 6

aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito l’Avv. Luigi Palmieri;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – La Regione Lombardia, con atto di citazione notificato il 28-31 maggio 1993, convenne in giudizio davanti al Tribunale di Corno la Immobiliare Alpina s.r.l. e la Diamante s.a.s., chiedendone la condanna, previa declaratoria di proprietà in capo ad essa attrice , alla riconsegna, per scadenza della concessione, degli immobili e strutture costituenti esercizio della funicolare Lanzo d’Intelvi- Santa Margherita, oltre al risarcimento del danno.

Si costituirono la società Immobiliare Alpina e la società Diamante, resistendo.

Quest’ultima società chiese, in via riconvenzionale, la condanna della Regione al rimborso delle spese per la manutenzione degli immobili.

L’atto di citazione indicò tra i convenuti anche la Sisma Santa Margherita s.r.l., alla quale però il libello introduttivo non venne notificato.

Il Tribunale di Corno, con sentenza in data 2 6 novembre 2001, accolse la domanda, dichiarando appartenenti al demanio regionale gli immobili rivendicati e condannando le convenute alla restituzione in favore della Regione, oltre al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio.

2. – La Corte d’appello di Milano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 25 maggio 2006, ha rigettato il gravame principale della Immobiliare Alpina ed accolto in parte quello incidentale della Regione; in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato le società Immobiliare Alpina e Diamante, in solido tra loro, al pagamento della complessiva somma di Euro 18.641,73, a titolo di spese di custodia dei beni sottoposti a sequestro giudiziario, confermando nel resto la pronuncia del primo giudice.

Per quanto qui ancora interessa, la Corte territoriale ha rigettato l’eccezione di nullità del giudizio di primo grado per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della Sisma Santa Margherita, sul rilievo che nell’azione di rivendica legittimato passivamente è il possessore del bene e non i precedenti danti causa, tra cui la Sisma, e che non è di pregiudizio per alcuna delle parti la rinuncia, da parte della Regione, a coltivare l’azione nei confronti di quest’ultima. Un’eventuale manleva – ha aggiunto la Corte di Milano – avrebbe potuto essere richiesta con causa autonoma dalla Immobiliare Alpina, e comunque era onere di quest’ultima instaurare il contraddittorio nei confronti della Sisma Santa Margherita.

Quanto al merito, la Corte d’appello ha osservato che l’obbligo di consegna trae la propria fonte dal trasferimento di proprietà dei beni, appartenenti al demanio accidentale, dallo Stato alla Regione, ipso iure, al termine del rapporto di concessione, senza necessità di alcuna trascrizione del disciplinare, non vertendosi in fattispecie di conflitto tra due acquirenti del medesimo proprietario nè di accertare l’opponibilità a terzi di vincoli gravanti sui beni immobili.

L’acquisto degli immobili di pertinenza della funicolare da parte della Immobiliare Alpina e della Diamante – ha proseguito la Corte d’appello – è invalido, trattandosi di acquisto a non domino effettuato da chi non era legittimato a disporre, ed essendo nulla la vendita di un bene demaniale tra privati anche nel caso in cui si tratti di beni del demanio accidentale.

Il giudice del gravame ha escluso la configurabilità dell’acquisto per usucapione decennale ai sensi dell’art. 1159 cod. civ., per difetto di buona fede dell’acquirente della funicolare.

L’acquisto di una funicolare – ha affermato la Corte territoriale – è atto di per sè idoneo ad ingenerare il grave dubbio o il sospetto sul diritto dell’alienante.

In ogni caso – ha precisato la sentenza impugnata – all’acquisto tra privati di beni demaniali non è applicabile l’usucapione abbreviata decennale, ma solo quella ventennale; e nel caso di specie non sussistono i presupposti per ritenere configurata la tacita sdemanializzazione dei beni in questione.

La Corte di Milano ha anche escluso l’erronea individuazione, da parte del Tribunale, dei terreni da consegnare alla Regione, ritenendo compresi in essi l’edificio concernente la stazione funicolare di Santa Margherita e l’edificio contenente la stazione di Lanzo d’Intelvi, nonchè i terreni boschivi su cui insiste la funicolare e quelli ad essa adiacenti.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ha proposto ricorso l’Immobiliare Alpina, con atto notificato alla sola Regione il 5 luglio 2007, sulla base di sei motivi.

La Regione ha resistito con controricorso.

Con ordinanza in data 23 giugno 2008, questa Corte ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti della s.a.s Diamante; avendovi la ricorrente provveduto, ma con una notifica nulla, con successiva ordinanza in data 31 marzo 2010 è stata disposta la rinnovazione della notificazione del ricorso al legale rappresentante della s.a.s. Diamante di Aldo Graziano & C. La rinnovazione della notificazione è stata effettuata in data 19 maggio e 28 maggio 2010.

In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato una memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Con il primo mezzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 164, comma 2, e art. 291 cod. proc. civ., per la non integrità del contraddittorio nei confronti della s.r.l. Sisma Santa Margherita) si chiede che sia affermato il principio per cui, là dove siano stati convenuti più soggetti e la notificazione ad uno di questi non sia andata a buon fine, il giudice ha il dovere di rilevarne la nullità ed ordinare la rinnovazione della notifica ai sensi dell’art. 164 cod. proc. civ. e di non dichiarare la contumacia del convenuto medesimo senza, ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ., aver prima ordinato la rinnovazione della notifica nulla; nonchè quello per cui viola l’art. 24 Cost. il precludere ad uno dei convenuti di contraddire con gli altri , per effetto di una notifica nulla.

1.1. – Il motivo è infondato.

Quando – come ritenuto nella specie dal giudice d’appello, con statuizione sulla quale non v’è censura della ricorrente – non si versi in ipotesi di litisconsorzio necessario, la mancanza della notificazione della citazione ad uno dei convenuti, in relazione al rapporto con il quale il giudice non abbia pronunciato in difetto di instaurazione del contraddittorio, non impedisce che la domanda possa essere accolta nei confronti delle altre parti ritualmente citate in giudizio.

Nè è configurabile la dedotta violazione dell’art. 24 Cost., giacchè – di fronte alla rinuncia della Regione a coltivare il giudizio nei confronti della Sisma Santa Margherita – l’Immobiliare Alpina ben avrebbe potuto esercitare autonomamente l’azione di garanzia nei confronti della stessa Sisma, propria dante causa.

2. – Il secondo motivo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in relazione all’art. 948 cod. civ., all’art. 12 preleggi e al R.D. 9 maggio 1912, n. 1447, artt. 186 e 187) si duole che la Corte d’appello abbia riconosciuto la legittimazione attiva della Regione pur in difetto in capo alla stessa del presupposto della proprietà dei beni rivendicati.

Ad avviso della ricorrente, gli artt. 186 e 187 del testo unico del 1912 non costituiscono la P.A. proprietaria per successione ex lege del patrimonio della concessionaria, ma mera subentrante nell’esercizio dell’azienda di questa, con conseguente inutilizzabilità del disposto dell’art. 948 cod. civ. a fondamento dell’azione proposta.

2.1. – Il motivo è infondato.

A norma dell’art. 186 del testo unico in materia di concessioni ed esercizio delle ferrovie, approvato con regio decreto 9 maggio 1912, n. 1447, gli immobili di proprietà del concessionario, dal medesimo impiegati nella costruzione e nell’esercizio della ferrovia, passano in proprietà dello Stato al momento e per il solo fatto della scadenza della concessione e rientrano nel demanio pubblico ferroviario, ai sensi dell’art. 822, secondo comma, cod. civ. (Cass., Sez. 1^, 8 marzo 1951, n. 568; Cass., Sez. Un., 9 novembre 1974, n. 3487).

Poichè a seguito dell’attuazione dell’art. 117 Cost. tutte le funzioni relative alle tranvie di interesse regionale, comprese le funicolari, sono state trasferite alle Regioni a statuto ordinario con il D.P.R. 14 gennaio 1972, n. 5, art. 1 – come è confermato dal D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 84, il quale individua espressamente anche le funicolari tra i servizi pubblici di trasporto per i quali opera la devoluzione di funzioni amministrative -, la Regione è succeduta nella titolarità di tutti i rapporti giuridici derivanti dalla concessione, e quindi anche dei relativi diritti, tra cui il diritto all’acquisto della proprietà per devoluzione alla scadenza della concessione.

Da tanto discende che i beni immobili della funicolare Lanzo d’Intelvi-Santa Margherita, di proprietà privata fino alla data di scadenza della concessione, essendo divenuti Ipso iure in tale data di proprietà della Regione Lombardia, sono entrati a far parte automaticamente del demanio accidentale, anche la Regione essendo, ai sensi della L. 16 maggio 1970, n. 281, art. 11, titolare di un proprio demanio.

Nè a diversa soluzione conduce il D.L. 4 marzo 1989, n. 77, art. 3 (Disposizioni urgenti in materia di trasporti e di concessioni marittime) , con-vertito, con modificazioni, dalla L. 5 maggio 1989, n. 160, disposizione alla quale ha fatto riferimento la difesa della Immobiliare nella memoria illustrativa.

Infatti, la norma richiamata – nel prevedere che immobili, opere ed impianti di linee ferroviarie, acquisiti dall’azienda esercente a proprie spese, per qualunque ragione dimessi e non utilizzati e non più utilizzabili per l’esercizio del servizio ferroviario, restano nella piena disponibilità dell’azienda proprietaria per estinzione del vincolo di reversibilità sugli stessi – oltre a non avere portata retroattiva, non ha una valenza generale, ma riguarda – come si ricava dall’incipit del comma 1 – il diverso caso di realizzazione di progetti adottati in attuazione dei piani regionali dei trasporti miranti al recupero di aree attraverso ristrutturazioni organizzative e tecnologiche comportanti specifiche soluzioni tecniche, per favorire anche la intermodalità tra mezzi ferroviari e mezzi stradali.

Ciò posto, poichè la Regione, ai sensi dell’art. 823 cod. civ., comma 2, può avvalersi, per la tutela dei beni che fanno parte del proprio demanio, anche dei mezzi ordinari a difesa della proprietà regolati dal codice civile, sussiste la piena legittimazione dell’ente territoriale a rivendicare la proprietà dei suoi beni demaniali ex art. 948 cod. civ..

3. – Con il terzo motivo (omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della domanda e violazione dell’art. 2945 cod. civ.) la società ricorrente deduce che l’omessa trascrizione del disciplinare di concessione renderebbe ad essa, terza acquirente a domino, inopponibile il relativo contenuto; e chiede, conclusivamente, l’affermazione del principio di diritto secondo cui “là dove non si verta in punto di demanio, e tanto meno di demanio necessario, ma solo accidentale, quale è l’onere propter rem gravante sui beni immobili di un privato, l’atto impositivo di tale onere è soggetto a trascrizione nei registri immobiliari per la sua opponibilità a terzi”.

3.1. – La censura è priva di fondamento.

Occorre premettere che, benchè la ricorrente (a pag. 16, rigo 7, del ricorso) sostenga, apoditticamente, di avere acquistato a domino in quanto “la concessione non era ancora scaduta”, tale affermazione non solo è contraddetta dalla resistente Regione (che, a pag. 15 del controricorso, rileva come il contratto di compravendita fu stipulato dalla Immobiliare Alpina in data 8 aprile 1976, successivamente alla scadenza, nel settembre 1974, della concessione), ma neppure risulta convalidata dalla sentenza impugnata, la quale – con una statuizione in relazione alla quale manca una idonea censu-ra della ricorrente articolata con il necessario richiamo a risultanze probatorie in grado di palesare, anche in sede di quesito di sintesi ex art. 366 bis cod. proc. civ., l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione del giudice del merito – sottolinea come nella specie l’acquisto della Immobiliare sia avvenuto a non domino, e quindi – si deve desumere – successivamente alla scadenza della concessione.

Tanto premesso, in punto di diritto va rilevato che in tema di linee funicolari in concessione, la devoluzione al demanio della Regione dei beni immobili già di proprietà del concessionario e dal medesimo impiegati nella costruzione e nell’esercizio del pubblico servizio, avviene, alla scadenza della concessione, in forza di legge (art. 186 del testo unico approvato con il regio decreto n. 1447 del 1912) , ed in relazione a beni per i quali vi è un vincolo di destinazione oggettivamente rilevante e normativamente impresso;

detto passaggio è – indipendentemente da qualsiasi trascrizione del disciplinare (non richiesta da alcuna norma di legge, atteso che il disciplinare non produce, di per sè, effetti similari a quelli dei contratti menzionati nell’art. 2643 cod. civ.) – opponibile a chi abbia acquistato tali immobili da parte del concessionario successivamente alla scadenza della concessione.

4. – Il quarto mezzo (violazione dell’art. 163 cod. proc. civ. e art. 823 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. civ., nn. 3 e 5) pone il seguente quesito: “posto che, sino alla scadenza della concessione, i beni restano in proprietà della concessionaria, i relativi contratti dispositivi si sottraggono al disposto dell’art. 823 cod. civ. e conseguentemente l’accertamento della eventuale nullità dell’atto di trasferimento è soggetto al principio dispositivo della domanda con le preclusioni ex art. 163 – recte art. 183 – cod. proc. civ.”.

4.1. – La censura è inammissibile.

La ricorrente formula un rilievo in punto di rito, lamentando che il giudice di secondo grado non avrebbe preso in considerazione l'”eccezione di inammissibilità per tardività della domanda formulata dalla Regione sulla quale … il contraddittorio” non era stato accettato.

In realtà nel motivo non si trascrive, in difetto del principio di autosufficienza, la pertinente parte dell’atto di appello con la quale sarebbe stata dedotta la nullità della sentenza di primo grado per avere pronunciato su una domanda nuova dell’attrice, volta specificamente a dichiarare la nullità degli atti di trasferimento .

A ciò aggiungasi – de trattasi di rilievo assorbente – che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare la decisione del giudice di secondo grado per non avere esaminato nè deciso il motivo di censura della sentenza del primo giudice, non già – come avvenuto nella specie – con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 cod. proc. civ., n. 30 del vizio di motivazione ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5 giacchè siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, (Cass., Sez. 3^, 4 giugno 2007, n. 12952;

Cass., Sez. 3^, 10 dicembre 2009, n. 25825).

L’altra censura veicolata con il motivo, con la quale si fa valere un error in iudicando della sentenza impugnata, è inammissibile, perchè non spiega affatto – nè indica nel quesito di sintesi ex art. 366 bis cod. proc. civ. – quali circostanze, non considerate dal giudice del merito, starebbero a dimostrare l’intervenuto acquisto dei beni immobili da parte dell’odierna ricorrente prima della scadenza della concessione.

5. – Con il quinto motivo (violazione degli artt. 825, 826, comma 3, artt. 1158 e 1159 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. civ., nn. 3 e 5) si sostiene – ed in questo senso è il conclusivo principio di diritto che si chiede di affermare – che la cessazione del pubblico servizio fa venir meno l’indisponibilità del bene patrimoniale della Regione, e che tale indisponibilità rivive solo con la riattivazione del pubblico servizio; sicchè, nelle more tra la devoluzione ex lege e la riattivazione del pubblico servizio, i beni oggetto della concessione appartengono al patrimonio disponibile della P.A., e quindi sono passibili di usucapione.

5.1. – La censura è infondata.

L’appartenenza al demanio accidentale dei beni acquistati dalla Regione per devoluzione alla scadenza della concessione del servizio funicolare, determina l’effetto della non usucapibilità di tali beni.

Nè – contrariamente a quanto ritiene la ricorrente – la sdemanializzazione tacita può desumersi dalla sola circostanza che i beni non siano più adibiti da lungo tempo ad uso pubblico, occorrendo invece a tal fine la presenza di atti o di fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà della P.A. di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino (Cass., Sez. Un., 26 luglio 2002, n. 11101; Cass., Sez. 2^, 19 febbraio 2007, n. 3742).

Con la memoria depositata in prossimità dell’udienza, la ricorrente ha depositato una deliberazione della Giunta regionale del 5 novembre 2008 (n. 8^/008349), con la quale la Regione Lombardia – in attuazione della misura di stabilizzazione della finanza pubblica imposta dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 58, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133 – ha inserito i beni dell’ex funicolare tra quelli sottratti alle funzioni istituzionali, come tali rientranti nel patrimonio disponibile e soggetti a dimissione.

Si tratta di una deliberazione non rilevante ai fini del decidere, in quanto si colloca temporalmente in un’epoca successiva all’introduzione della domanda di revindica da parte della Regione.

6. – Il sesto mezzo denuncia la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5. Nel lamentare che la sentenza impugnata abbia confermato l’obbligo di restituire alla Regione tutto il compendio acquistato, e cioè stazioni, boschi e persino l’albergo, la ricorrente chiede di affermare (a) il principio di diritto per il quale “viola il disposto dell’art. 115 cod. proc. civ. il giudice che pone a fondamento della propria decisione fatti non provati dalla parte interessata, facendo ricorso a sue supposizioni in punto di fatto sulle quali basi la decisione del punto controverso”, nonchè (b) il principio secondo il quale “il R.D. n. 1447 del 1912, art. 186 va interpretato nel senso che l’obbligo di consegna abbia riguardo ai soli beni aventi una specifica, sia pure indiretta, funzione correlata all’esercizio della attività di funicolare”.

6.1. – La censura è infondata.

La Corte territoriale non ha affermato un principio di diritto diverso da quello che la ricorrente vorrebbe vedere statuito sub (b).

La sentenza impugnata, infatti, ha correttamente rilevato che oggetto dell’obbligo di riconsegna alla Regione sono le sole porzioni immobiliari strettamente inerenti all’esercizio dei servizio di trasporto, unitariamente destinate a tale servizio e costituenti un unico complesso aziendale, indipendentemente dalla destinazione finale dei beni al termine della concessione.

Il resto è accertamento di fatto, perchè riguarda la valutazione di quali beni fossero in concreto connessi con l’esercizio ed il funzionamento della funicolare; e tale accertamento la Corte territoriale ha compiuto con logico e motivato apprezzamento delle risultanze di causa, in particolare della c.t.u., rilevando che fanno parte del compendio immobiliare della funicolare e sono funzionali all’esercizio della stessa: il tracciato della funicolare; l’edificio concernente la stazione funicolare in Santa Margherita e l’edificio contenente la stazione di Lanzo d’Intelvi (a nulla rilevando che all’interno fosse ubicato un albergo-ristorante, giacchè ciò non fa venir meno la funzione di alloggio per il custode e di locali e servizi accessori); i terreni boschivi adiacenti alla funicolare (necessari anche per la gestione manutentiva del tracciato).

Sotto questo profilo, la doglianza svolta dalla ricorrente – anche là dove richiama l’art. 115 cod. proc. civ. – si risolve nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito;

laddove il sindacato di legittimità ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, è limitato al riscontro e-strinseco della presenza di una congrua ed esaustiva motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata.

A ciò aggiungasi che il motivo – là dove prospetta il vizio di motivazione – non reca un quesito di sintesi, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, idoneo ad evidenziare, nel rispetto dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il fatto controverso e le ragioni per le quali la motivazione si assume viziata.

Sotto tale profilo va ricordato che questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) – è ferma nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata (in termini, Cass., Sez. 3^, 30 dicembre 2009, n. 27680).

7. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 3.700, di cui Euro 3.500 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Secondo Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2011

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