Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11402 del 11/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 11/05/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 11/05/2010), n.11402

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO N.

25/B, presso lo studio dell’Avvocato PESSI ROBERTO, che la

rappresenta e difende come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.M.C., R.M., B.B.P.,

S.B., S.S., elettivamente domiciliate in

ROMA, piazza TARQUIMA n. 5/D, presso lo studio dell’avvocato FALLA

TRELLA FRANCO, rappresentate e difese dall’Avvocato RIOMMI MAURIZIO

per procura a margine del contro ricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 860/2007 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 4/07/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/03/2010 dal Consigliere Dott. MAMMONE Giovanni;

uditi gli Avvocati GENTILE per delega PESSI, GALLEANO per delega

RIOMMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha chiesto l’estinzione del giudizio per S.

S. e B.B.P. ed il rigetto del ricorso nei confronti delle

altre.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al giudice del lavoro di Arezzo, S.M.C., R.M., B.B.P., S.B. e S.S. chiedevano che fosse dichiarata la nullita’ del termine apposto ai contratti di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. da loro stipulati in periodi ricadenti negli anni 1999 e 2000.

Rigettata la domanda e proposto appello dalle predette, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 4.7.07, accoglieva l’impugnazione e per tutte dichiarava l’instaurazione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato dalle date sopra indicate, con condanna del datore al pagamento delle retribuzioni arretrate.

Per quanto riguarda le posizioni di S.M.C., R. e S.B., che qui interessano, il giudice rilevava che – nell’ambito del sistema creato dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 che aveva delegato le oo.ss. a individuare in sede di contrattazione collettiva nuove ipotesi di assunzione a termine – il contratto era stato stipulato in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97 per fare fronte ad “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

Ritenuto che lo stesso accordo fissava alla data del 31.1.98 l’esistenza della situazione di esigenza eccezionale aziendale e che con un ulteriore accordo del 16.1.98 tale termine era stato spostato al 30.4.98, la Corte di merito riteneva che la clausola apposta ai due contratti fosse nulla, in quanto intervenuta in un momento in cui era cessata la legittimazione conferita dalla contrattazione collettiva per quel tipo di clausola.

Quanto alle conseguenze economiche, la Corte di merito statuiva che il datore corrispondesse le retribuzioni arretrate dalla data di comparizione di fronte alla Commissione costituita presso la Direzione provinciale del lavoro per l’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione.

Avverso questa sentenza Poste Italiane s.p.a. propone ricorso per Cassazione nei confronti di tutte le lavoratrici, le quali si difendono con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Poste Italiane s.p.a. ha depositato una dichiarazione, debitamente sottoscritta dal procuratore della societa’ ricorrente e dal suo difensore, ai sensi dell’art. 390 c.p.c., comma 2, con la quale la societa’ ha rinunciato al ricorso nei confronti di S.S. per intervenuta transazione in sede sindacale. Essendo stata la dichiarazione ritualmente notificata alla controparte ai sensi del citato art. 390 c.p.c., comma 3 il giudizio deve essere dichiarato estinto ai sensi del successivo art. 391 c.p.c..

Tenuto conto del contenuto dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti, costituente il presupposto della rinuncia al ricorso, e’ conforme a giustizia compensare integralmente tra le suddette parti le spese del giudizio di cassazione.

Agli atti e’ depositato anche un verbale di conciliazione in sede sindacale del 25.11.08, dal quale risulta che B.B.P. ha raggiunto con la controparte un accordo transattivo concernente la controversia de qua e che le parti si danno atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.

L’accordo comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo. Alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui e’ proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.u. 29.11.06 n. 25278).

Anche in questo caso, in ragione del contenuto transattivo dell’accordo, e’ conforme a giustizia procedere alla compensazione delle spese del giudizio di cassazione tra le parti interessate.

Passando alle posizioni di S.M.C., R. e S.B., il ricorso di Poste Italiane puo’ essere sintetizzato come segue.

Con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 in quanto il giudice di merito assegnerebbe indebitamente natura eccezionale all’ipotesi di contratto a termine prevista della contrattazione collettiva applicativa di detta norma di legge, tanto da ravvisare l’esigenza di limitarne temporalmente l’efficacia.

Con il secondo motivo e’ dedotta violazione dell’art. 1362 c.c. e carenza di motivazione in quanto lo stesso giudice avrebbe ritenuto non rilevante l’accordo collettivo 18.1.01, avendone limitato la portata a mera funzione di legittimazione a posteriori dei contratti a termine stipulati successivamente alla scadenza del limite temporale del 30.4.98, dopo il quale era venuta meno la legittimazione autorizzatoria della contrattazione collettiva.

Con il terzo motivo Poste Italiane deduce omessa motivazione a proposito dell’eccezione di aliunde perceptum da essa formulata in sede di merito, non avendo il giudice proceduto alla sua valutazione in termini concreti.

Con il quarto motivo si contesta la sentenza in quanto, nonostante la natura sinallagmatica del rapporto di lavoro, ha previsto l’erogazione della retribuzione pur in mancanza della corrispettiva prestazione.

Va precisato che le tre ricorrenti furono assunte a termine per i periodi 6.10.00 – 31.1.01 ( S.M.C.), 9.12.99 – 29.2.00 ( R.) e 4.10.00 – 31.1.01 ( S.B.), ai sensi dell’art. 8 del ccnl 26,11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’Ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

Partendo dalla disamina dei primi due motivi di ricorso, da trattare in unico contesto in ragione del loro evidente collegamento, e’ necessario premettere un richiamo alla giurisprudenza di questa Corte in punto di rapporti tra la L. n. 56 del 1987, art. 23 e la contrattazione collettiva regolatrice del rapporto di lavoro dei dipendenti postali.

La costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., in particolare, Cass. 26.7.04 n. 14011, 7.3.05 n. 4862), specificamente riferita ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, ritiene che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 36 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962 discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessita’ del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessita’ di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato.

Questa Corte (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378), ha confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto dopo il 30 aprile 1998 a contratti stipulati in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che ha consentito l’apposizione del termine, oltre che alle fattispecie gia’ previste dall’art. 8 del ccnl 26.11.94, anche nella evenienza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione ecc…. Si e’ ritenuto, infatti, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilita’ di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonche’ del D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v.

S.u. 2.3.06 n. 4588).

Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data (OMISSIS), ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato. Da cio’ deriva che deve escludersi la legittimita’ dei contratti a termine stipulati per il soddisfacimento di esigenze eccezionali ecc. stipulati dopo il 30 aprile 1998, in quanto privi di presupposto normativo.

La giurisprudenza ha, altresi’, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volonta’ delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioe’ quando il diritto del soggetto si era gia’ perfezionato.

Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione e’ comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilita’ dei diritti dei lavoratori gia’ perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non piu’ legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

Il giudice di merito ha fatto applicazione dei suddetti principi e, considerato che il contratto in considerazione era motivato dal soddisfacimento di esigenze eccezionali ecc. ed era riferito a periodo successivo al 30.4.98, ha ritenuto nullo il termine ad esso apposto ed ha dichiarato che dall’inizio dello stesso decorre il rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Essendo al riguardo la pronunzia conforme alla giurisprudenza di questa Corte, i primi due motivi debbono essere rigettati.

Quanto al terzo motivo di ricorso, non sussiste la carenza di motivazione dedotta dalla ricorrente.

Il giudice di merito, infatti, ha rilevato che sarebbe stato onere del datore di lavoro allegare dati di fatto e circostanze a fondamento dell’eccezione in punto di percezione di reddito da parte delle lavoratrici successivamente alla cessazione del rapporto, in modo tale da attivare -ove ritenuto necessario – i poteri istruttori di ufficio riconosciuti dall’ordinamento.

Tale motivazione appare non solo congruamente articolata, ma anche conforme alla giurisprudenza di questa Corte, per la quale lo svolgimento di altra attivita’ lavorativa e’ rilevabile dal giudice anche in assenza di un’eccezione di parte in tal senso, ovvero in presenza di un’eccezione intempestiva, sempre che la rioccupazione del lavoratore costituisca allegazione in fatto ritualmente acquisita al processo (sentenza 21.4.09 n. 9464).

E’, infine, infondato il quarto motivo con cui si contesta il momento da cui il giudice di merito ha fatto decorrere l’obbligo di corresponsione delle retribuzioni.

La Corte d’appello ha condannato Poste Italiane a pagare alle ricorrenti “le retribuzioni maturate dalle date di convocazione davanti alla D.P.L. di Arezzo”, nella sostanza affermando che le lavoratrici con la richiesta di espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione avevano messo a disposizione di controparte la propria prestazione, cosi’ costituendola in mora.

Tale pronunzia e’ conforme alla giurisprudenza di questa Corte (cfr.

Cass. S.u. 8.10.02 n. 14381 nonche’, da ultimo, Cass. 13.4.07 n. 8903) che, con riferimento all’ipotesi della trasformazione in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di piu’ contratti a termine succedutisi tra le stesse parti, per effetto dell’illegittimita’ dell’apposizione dei termini, o comunque dell’elusione delle disposizioni imperative della L. n. 230 del 1962 ha affermato che il dipendente che cessa l’esecuzione delle prestazioni alla scadenza del termine previsto puo’ ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’impossibilita’ della prestazione derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla – in linea generale in misura corrispondente a quella della retribuzione – qualora provveda a costituire in mora lo stesso datore di lavoro ai sensi dell’art. 1217 c.c..

L’affermazione del giudice di merito nasce da un accertamento di fatto circa l’effettiva esistenza dell’offerta e da giudizio di merito circa la sua congruita’, non contestati e, comunque, incensurabili in sede di legittimita’.

Infondato anche l’ultimo motivo, il ricorso contro S.M.C., R. e S.B. deve essere rigettato.

Per queste ultime posizioni, le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE cosi’ provvede:

– rigetta il ricorso nei confronti di S.M.C., R. e S.B., con condanna della ricorrente alle spese, che liquida in Euro 31,00 per esborsi ed in Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa;

– dichiara inammissibile il ricorso nel confronti di B. B.P. con compensazione di spese;

– dichiara estinto il giudizio nei confronti di S.S. con compensazione di spese.

Cosi’ deciso in Roma, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2010

 

 

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