Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11401 del 24/05/2011

Cassazione civile sez. II, 24/05/2011, (ud. 16/03/2011, dep. 24/05/2011), n.11401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COOP PRODUZIONE LAV BRUNO BUOZZI SCRL P.I. (OMISSIS) IN PERSONA

DEL SUO LEGALE RAPPRESENTANTE IN CARICA GEOM. B.M.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 12, presso lo studio

dell’avvocato COLARIZI MASSIMO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato COFFRINI ERMES;

– ricorrente –

contro

B.P., F.M. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE DELLE GIOIE 13, presso

lo studio dell’avvocato VALENSISE CAROLINA, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LORI MARA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 829/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 20/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2011 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito l’Avvocato Colarizzi Massimo difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Valensise Carolina difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.M. e B.P. con atto notificato il 17.11.95, citavano in giudizio la Cooperativa di produzione e Lavoro Bruno Buozzi a r.L, e premesso di avere acquistato dalla convenuta con rogito del 16.11.1985, un’abitazione facente parte di un più ampio complesso immobiliare di proprietà della stessa cooperativa in (OMISSIS), deducevano che nel muro nord della loro casa si aprivano una porta (che dava accesso ad un cortile) e due finestre, da cui si esercitavano le servitù di veduta e di passaggio costituite in forza dell’art. 1062 c.c. Tali aperture erano state successivamente chiuse dagli stessi attori senza però che essi avessero rinunziato ai loro diritti di servitù. Aggiungevano inoltre chela cooperativa aveva iniziato i lavori di costruzione di un fabbricato in violazione di tali diritti in quanto esso presentava un muro alto più dell’edificio preesistente e dell’edificio degli attori, costruito in aderenza per tutto il confine tra le due proprietà. Chiedevano quindi che l’adito tribunale di Parma, previo accertamento delle menzionate servitù di veduta e passaggio, vietasse alla convenuta la realizzazione di opere in violazione dei loro diritti e la condannasse al demolizione di quelle già eseguite in spregio dei diritti stessi. Radicatosi il contraddittorio la cooperativa convenuta contestava la domanda attrice di cui chiedeva il rigetto, rilevando che nessuna servitù potevano vantare gli attori, atteso che la vendita era avvenuta nel periodo in cui era in corso di approvazione un piano particolareggiato – ben noto agli stessi attori – che prevedeva, tra l’altro, proprio la chiusura della aperture in discorso e la costruzione di un muro in aderenza. I coniugi F. – B. avevano infatti presentato al Comune una domanda di concessione edilizia per la ristrutturazione del loro immobile, che conteneva un espresso rinvio al piano particolareggiato ed alla prevista chiusura delle aperture in esame, al fine di consentire la costruzione del confinante edificio previsto nel progetto di piano. L’adito tribunale di Parma, all’esito dell’espletata istruttoria, con la sentenza n. 1243/01 accoglieva la domanda di accertamento delle servitù in questione, che riteneva costituite ai sensi dell’art. 1062 c.c. e condannava la cooperativa alla demolizione delle costruzioni eseguite in violazioni delle servitù stesse ovvero che ne impedivano il libero e completo esercizio, compensando le spese del giudizio. Riteneva invero che l’adesione degli attori al piano particolareggiato non rilevava ai fine della perdita della servitù; nè la disposizione contraria alla servitù in relazione all’art. 1062 c.c. era desumibile per facta concludentia; quanto all’intervenuta chiusura delle tre aperture ad opera degli stessi attori, tale circostanza aveva rilievo solo a fini della compensazione delle spese, considerato che l’impossibilità di fatto di godere di una servitù comporta solo la quiescenza del relativo diritto fino a quando non sia maturato il termine di prescrizione previsto.

L’adita Corte d’Appello di Bologna, con la decisione n. 829/05 depos.

in data 2.07.05, rigettava l’appello principale proposto dalla Cooperativa e quello incidentale formulato dalla controparte.

Avverso la predetta pronuncia, ricorre per cassazione la Cooperativa sulla base di 3 mezzi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.;

resistono gli intimati con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 1062 c.c. nonchè la carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Si sostiene l’inesistenza di alcuna servitù in favore del fondo di proprietà dei F. – B.. I beni originariamente appartenevano tutti alla cooperativa e non c’era stata nessuna espressa manifestazione di volontà di fa sorgere alcuna servitù nè essa era rinvenibile nel rogito di compravendita in favore dei F.; peraltro all’atto della cessione dell’immobile sussistevano fatti concludenti incompatibili con il sorgere delle servitù vantate, ravvisabili nell’approvazione e conoscenza del piano particolareggiato da parte degli stessi attori.

La doglianza è infondata, non essendo ravvisabile alcuna violazione di legge nè un vizio di motivazione. La corte bolognese ha invero correttamente risposto alla censura, già formulata in quella sede, sottolineando che per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia (art. 1062 c.c.) è soltanto necessaria la presenza di opere visibili che dimostrino l’asservimento di un fondo rispetto ad un altro, senza che vi sia necessità di una particolare manifestazione di volontà negoziale da parte dell’originario unico proprietario, essendo sufficiente che costui abbia posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta un comportamento volontario che ovviamente non è un atto negoziale ma un atto giuridico strictu sensu. Ha precisato altresì questa S.C. che “il requisito essenziale della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, non è una manifestazione di volontà negoziale diretta alla sua costituzione, ma la valorizzazione direttamente operata dalla legge della sua apparenza, dell’esistenza di segni visibili che si concretino in opere permanenti necessarie all’esercizio della servitù, al momento della separazione della titolarità dominicale dei fondi o dell’unico fondo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10309 del 22/11/1996). Con il secondo motivo l’esponente denuncia la violazione di legge (artt. 1073, 1074 c.c. 833 c.c.), nonchè dell’art. 100 c.p.c.. Insiste sul fatto che la servitù in esame costituitasi in favore degli odierni intimati doveva comunque considerarsi venuta meno a seguito di rinuncia da parte dei medesimi inequivocabilmente espressa da fatto che costoro avevano chiuso volontariamente le finestre e la porta e che essi erano ben a conoscenza dell’avvenuta approvazione del piano particolareggiato di cui si è detto in precedenza. Nella fattispecie lo stato dei luoghi era stato modificato spontaneamente dagli intimati per adeguarsi alle previsioni dello strumento urbanistico in parola, “con il risultato di non poter più tornare indietro, essendo siffatta scelta sbarrata ed impedita proprio dallo strumento urbanistico. Anche sotto il profilo…esce confermata l’irreversibilità dello stato dei luoghi, che da un lato impedisce di parlare di servitù quiescente, non potendo più essere recuperata; dall’altro lato evidenzia la carenza di un interesse meritevole di tutela e supporto dell’azione proposta, che…è, largamente emulativa”.

La doglianza è infondata. Intanto l’estinzione della servitù per rinuncia del titolare dovrebbe risultare da atto scritto, ai sensi dell’art. 1350 c.c., nn. 4 e 5, e non potrebbe essere desunta indirettamente da fatti concludenti. (Cass. n. 835 del 05/02/1980).

Quanto alla cessazione del concreto utilizzo della servitù, questa S.C. ha inoltre precisato che, “ai sensi dell’art. 1074 c.c. quando venga a cessare l’utilitas” della servitù o la concreta possibilità di usarne, il vincolo rimane allo stato di quiescenza, ma non si estingue se non per effetto della prescrizione nel termine di cui all’art. 1073 c.c. Pertanto fino al momento in cui è possibile il ripristino del suo esercizio la servitù deve essere tutelata, poichè l’esercizio effettivo della stessa non è condizione della sua esistenza, permanendo il potere sul fondo servente anche se l’esercizio della servitù non sia materialmente possibile (Cass. n. 10018 del 14/10/1997).

La Corte di merito in sostanza si è pronunciata in conformità a tale indirizzo giurisprudenziale, che non può non essere condiviso.

Ha ancora precisato al riguardo, il S.C. che, “quando, ai sensi dell’art. 1074 c.c. venga a cessare l’utilitas della servitù o la concreta possibilità di usarne, il vincolo rimane allo stato di quiescenza, ma non si estingue se non per effetto della prescrizione nel termine di cui all’art. 1073 c.c. Pertanto, fino al momento in cui sia possibile il ripristino, la servitù deve essere tutelata al fine di impedire un mutamento irreversibile dello stato dei luoghi che ne impedisca definitivamente l’esercizio (Cass. n. 1854 del 30/01/2006).

Infine con il 3 motivo l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1353 c.c. (contratto condizionale con riferimento all’istituto della presupposizione), nonchè l’omessa motivazione su un punto decisivo. Sostiene che ” la situazione di fatto comune a tutte le parti, nella fattispecie è riassumibile nel mantenimento della situazione quo ante, essendo palese – ed inequivocabilmente condivisa – la volontà di tutti di immutarla radicalmente. Il che, ancora una volta impedisce che possano essere insorte servitù, che nessuno voleva, per la semplice ragione che avrebbero impedito la valorizzazione immobiliare del comparto, affidata al piano particolareggiato presentato per l’approvazione al comune”. La doglianza è infondata oltre che nuova. La c.d.

presupposizione (o condizione inespressa), trattandosi di un presupposto di fatto che interviene nella formazione del consenso dei contraenti, può avere rilievo solo in materia contrattuale (Cass. n. 20245 del 18/09/2009), come nel caso di costituzione di servitù volontarie, ma non certo nell’ipotesi di costituzione della servitù del padre di famiglia, che come , si è sopra precisato, non si ricollega ad una manifestazione di volontà delle parti, ma solo ad uno specifico stato di fatto.

In conclusione il riscorso in esame dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 1.400,00, di cui Euro 1.200,00 per onorario, oltre spese ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2011

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