Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11399 del 30/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/04/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 30/04/2021), n.11399

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina M. – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al numero 24234 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

A.M., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in

calce al ricorso, dall’Avv.to Giuseppe Tenchini e dall’avv.to Fabio

Franco, elettivamente domiciliato presso lo studio dei difensori in

Roma, Via F. de Sanctis n. 4;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– resistente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana, n. 400/01/2014, depositata in data 26

febbraio 2014, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

novembre 2020 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale De

Augustinis Umberto che ha concluso per il rigetto della causa;

udito per l’Agenzia delle entrate l’Avv.to dello Stato Davide

Giovanni Pintus.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 400/01/2014, depositata in data 26 febbraio 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Toscana accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di A.M. avverso la sentenza n. 326/02/11 della Commissione tributaria provinciale di Massa Carrara che aveva accolto il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio di (OMISSIS), ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, aveva ripreso a tassazione nei confronti di quest’ultimo, titolare di un esercizio di pizzeria, per l’anno 2004, maggiori ricavi non dichiarati, ai fini Irpef, Irap e Iva, sulla base di uno scostamento di Euro 71.854,00 rispetto ai ricavi desumibili dall’applicazione dello studio di settore di riferimento.

2.In punto di fatto, il giudice di appello ha premesso che: 1) avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate aveva contestato nei confronti di A.M., titolare di un esercizio di pizzeria, un maggiore reddito imponibile, ai fini Irpef, Irap e Iva, per l’anno 2004, sulla base dell’applicazione degli studi di settore, quest’ultimo aveva proposto ricorso alla CTP di Massa Carrara, deducendo il difetto di motivazione dell’atto impositivo e l’erronea applicazione del cluster di appartenenza (il n. 22 per le pizzerie in luogo del n. 18 per ristoranti-pizzerie); 2) l’Ufficio aveva controdedotto chiedendo la conferma dell’avviso di accertamento basato sulla incongruenza tra ricavi, compensi e corrispettivi, sulla percentuale di ricavo del 35,2 e sulla esiguità del reddito dichiarato a fronte delle spese sostenute per il lavoro dipendente; 3) la CTP di Massa Carrara, con la sentenza n. 326/2/11, aveva accolto il ricorso, avuto riguardo, come ragione giustificativa dello scostamento, alla non positività della gestione del ristorante; 4) aveva proposto appello l’Ufficio deducendo la antieconomicità dell’attività di impresa aggravata dalle perdite registrate nel triennio 2003-2005; 5) aveva controdedotto il contribuente chiedendo la conferma della sentenza di primo grado ed evidenziando come, a fronte della presunzione semplice costituita dall’applicazione degli studi di settore, l’attività di impresa si era chiusa sempre in positivo negli anni successivi a quello preso in esame.

2. In punto di diritto, la CTR ha osservato che: 1) l’Ufficio aveva correttamente proceduto all’accertamento di maggiori ricavi sulla base di una percentuale di ricarico (35,21%) inadeguata rispetto a quelle mediamente praticate nello specifico settore, di un grave scostamento risultante dall’applicazione dello studio di settore, della constatazione che detta attività di impresa fosse l’unica fonte di sostentamento del contribuente e di sua moglie, della antieconomicità di gestione dell’attività consistente in costanti perdite di esercizio per il triennio 2003-2005; 2) era stato utilizzato correttamente lo strumento del contraddittorio ma il contribuente aveva addotto giustificazioni del riscontrato scostamento (stagionalità dell’attività, erroneità cluster di pertinenza, gratuità del coperto e del pane) inappropriate e inidonee a chiarire la propria posizione; 3) era legittimo l’accertamento presuntivo fondato unicamente sulla antieconomicità dell’attività di impresa.

3. Avverso la sentenza della CTR, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi; ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, per avere la CTR, con una motivazione apparente, genericamente affermato la irrilevanza delle specifiche circostanze (la stagionalità dell’attività, l’erroneità del cluster applicato per essere stata l’attività svolta nel periodo considerato prevalentemente di ristorazione e non di pizzeria, la gratuità del coperto e del pane, non efficiente gestione degli acquisti della materia prima nel 2004, gli utili conseguiti nei periodi successivi a quello in esame) dedotte dal contribuente, sin dal primo grado di giudizio e non oggetto di contestazione da parte dell’Agenzia, a giustificazione dell’assunto scostamento, senza indicare l’iter logico e le ragioni sottese a tale decisione.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, per avere la CTR affermato la irrilevanza delle specifiche circostanze dedotte dal contribuente sin dal primo grado di giudizio a giustificazione del riscontrato scostamento, ancorchè queste ultime fossero pacifiche, con evidente violazione del principio di c.d. non contestazione.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciare sulle eccezioni sollevate dal contribuente, nell’atto di controdeduzioni in appello, di illegittimità dell’avviso di accertamento, per vizio di motivazione, circa la sussistenza dei requisiti fissati dalla L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 2, applicabile per l’annualità 2004, e per la mancanza dei requisiti fissati da tale disposizione (incongruenza dei ricavi dichiarati, rispetto a quelli stimati, in almeno due esercizi su tre).

4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7, 19 e 57, della L. n. 212 del 2000, art. 7, degli artt. 99 e 112 c.p.c., per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento avuto riguardo alla emersa antieconomicità dell’attività di impresa non solo per il 2004 ma anche per gli anni 2003 e 2005, ancorchè la antieconomicità dell’attività di impresa nel triennio 2003-2005 fosse stata dedotta dall’Ufficio quale ulteriore fatto costitutivo della pretesa tributaria solo in sede di gravame, essendo l’atto impositivo – come si evinceva dalla relativa motivazione – fondato solo sul rilevato scostamento, per il 2004, dei ricavi dichiarati da quelli desumibili dall’applicazione dello studio di settore; con ciò violando il c.d. principio dell’onere di allegazione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, agli artt. 99 e 112 c.p.c., e, al contempo, il divieto di nova in appello ex art. 57 cit..

5. Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatti decisivi e controversi per il giudizio per avere la CTR pretermesso l’esame delle circostanze pacifiche e decisive addotte dal contribuente a giustificazione dell’assunto scostamento.

6. Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione alla L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 1, oltre che di tale ultima disposizione, per avere il giudice di appello ritenuto legittimo l’avviso di accertamento in questione, ancorchè la motivazione dello stesso non enunciasse la sussistenza della condizione legittimante la rettifica ai sensi del citato art. 10, comma 2 (incongruenza dei ricavi dichiarati, rispetto a quelli stimati dallo studio di settore, per almeno due esercizi su tre considerati) e comunque, tale condizione neppure sussistesse.

7. Con il settimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), dell’art. 2697 c.c., per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento in questione, ancorchè – a fronte della rettifica basata sull’applicazione degli studi di settore e sulla asserita antieconomicità dell’attività di impresa – il contribuente avesse addotto analitiche circostanze a giustificazione del preteso scostamento dei ricavi dichiarati rispetto a quelli stimati dallo strumento parametrico nonchè provato la costante positività dei risultati dell’impresa negli anni successivi a quello accertato.

7. Assume carattere pregiudiziale e assorbente l’esame del quarto motivo che è fondato nei termini di seguito indicati.

7.1. In punto di fatto, dalla sentenza impugnata, si evince che il giudice di appello, a fronte della iniziale contestazione dell’Ufficio, nell’avviso di accertamento in questione, di un maggiore reddito di impresa, per l’anno 2004, sulla base dello scostamento per Euro 71.854,00 dei ricavi dichiarati rispetto a quelli desumibili dall’applicazione dello studio di settore di riferimento (n. 22 – pizzerie), ha fondato l’accoglimento del gravame sulla riscontrata sussistenza non solo dell’assunto grave ingiustificato scostamento dallo studio di settore, ma anche della circostanza – dedotta dall’Ufficio ex novo nell’atto di appello – della antieconomicità della gestione dell’attività di impresa per perdite costanti di esercizio nel triennio 2003-2005.

7.2. Merita rammentare che è regola fondamentale del diritto tributario quella secondo cui le ragioni poste a base dell’atto impositivo definiscono i confini del giudizio tributario, che è giudizio d’impugnazione dell’atto, sicchè l’ufficio finanziario, dovendo le contestazioni adducibili in sede contenziosa rimanere circoscritte alla motivazione dell’avviso di accertamento, non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse o, comunque, modificare, nel corso del giudizio, quelle individuate dalla suddetta motivazione (Cass. n. 34407 del 2019; Cass. n. 9810 del 7/5/2014; Cass. n. 13305 del 9/6/2009; Cass. n. 26458 del 4/11/2008; Cass. n. 17762 del 12/12/2002). La motivazione dell’atto tributario costituisce, in tale prospettiva, uno strumento essenziale di garanzia del contribuente, soggetto inciso nella propria sfera giuridica dall’amministrazione finanziaria nell’esercizio del suo potere di imposizione fiscale, e si inserisce nell’ambito di quei presidi di legalità che, anche in forza delle norme dello statuto dei diritti del contribuente (v. l’art. 7), assolvono l’essenziale funzione di garantire la conoscenza e l’informazione dello stesso contribuente in ordine ai fatti posti a fondamento della pretesa fiscale e ai presupposti giuridici della stessa, nel quadro dei principi generali di collaborazione, trasparenza e buona fede che devono improntare, in quanto espressivi di civiltà giuridica, i rapporti tra esso e l’amministrazione. Ne derivano due conseguenze: da un lato, che nell’avviso di accertamento, al fine di realizzarne in pieno l’anzidetta finalità informativa, devono confluire tutte le conoscenze dell’ufficio tributario e deve essere esternato con chiarezza, sia pur sinteticamente, l’iter logico-giuridico seguito per giungere alla conclusione prospettata (v. Cass. n. 1905-07); dall’altro, che le ragioni poste a base dell’atto impositivo segnano i confini del processo tributario, che è comunque un giudizio d’impugnazione dell’atto, sì che l’ufficio finanziario non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse e/o modificare, nel corso del giudizio, quelle emergenti dalla motivazione dell’atto (v. già Cass. n. 17762-02). Ciò non esclude, ovviamente, il potere del giudice di qualificare autonomamente la fattispecie posta a fondamento della pretesa fiscale, nè di esercitare d’ufficio alcuni poteri cognitori. Ma sempre che non ne resti alterata la sostanza dell’accertamento in ordine agli elementi da cui esso risulti esser stato informato (v. tra le tante Cass. n. 2572609; n. 20398-05; n. 22932-05).

7.3. Da tale premessa discende che il giudizio tributario è limitato alla verifica della legittimità della pretesa avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e in diritto in esso indicati, ed ha un oggetto delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado, sicchè le parti non possono proporre nuove domande e eccezioni, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57.

7.4. Per quanto dal divieto di domande nuove di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, sia generalmente e per la più gran parte dei casi interessato il contribuente, non è dubitabile che allo stesso divieto soggiace anche l’ufficio finanziario, al quale non è consentito, dinanzi al giudice d’appello, avanzare pretese diverse, sul piano del fondamento giustificativo, e dunque in definitiva sul piano della causa petendi, da quelle recepite nell’atto impositivo. Non gli è consentito invero porre a base della pretesa norme non invocate nella fase dell’imposizione, da cui derivi la necessità di svolgere distinti apprezzamenti in punto di fatto, giacchè altrimenti ne verrebbe vulnerata la concreta possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di difesa a mezzo della esternazione dei motivi di ricorso, i quali necessariamente vanno rapportati a ciò che nell’atto risulta esternato.

8. Nella specie, la CTR non si è attenuto ai suddetti principi, avendo ritenuto legittimo l’accertamento in quanto fondato non solo sullo scostamento per Euro 71.854,00 relativamente all’anno 2004 tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dall’applicazione dello studio di settore ma anche sulla antieconomicità di gestione dell’attività consistente in costanti perdite di esercizio per il triennio 2003-2005, circostanza quest’ultima dedotta ex novo dall’Ufficio in sede di gravame e che – per quel che dalla stessa sentenza si apprende – non aveva caratterizzato la pretesa fiscale.

Donde il tema dovevasi ritenere nuovo, poichè nel giudizio tributario la pretesa dell’amministrazione era quella risultante dall’atto impugnato, che la aveva delimitata quanto a petitum e a causa petendi. E invero, nella specie, l’ulteriore circostanza della antieconomicità di gestione dell’attività per il triennio 2003-2005, dedotta dall’Agenzia, in sede di appello, ha alterato il titolo giuridico della pretesa – da accertamento basato sull’applicazione degli studi di settore D.P.R. n. 600 del 1973, ex artt. 39, comma 1, lett. d) e D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, ad accertamento di tipo analitico-induttivo “misto” ex art. 39, comma 1, lett. d) cit., nel quale lo scostamento dai parametri è divenuto solo uno degli elementi fondanti la rettifica – comportando conseguentemente il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato.

9. L’accoglimento del quarto motivo, rende inutile la trattazione dei restanti motivi, con assorbimento degli stessi.

10. In conclusione, va accolto il quarto motivo di appello, assorbiti i restanti, con cassazione della sentenza impugnata – in relazione al motivo accolto – e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, la quale rinnoverà l’esame della controversia uniformandosi ai principi di diritto enunciati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo; assorbiti i restanti; cassa l’impugnata sentenza- in relazione al motivo accolto- e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021

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