Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11395 del 01/06/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 11395 Anno 2016
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: CRISTIANO MAGDA

SENTENZA

sul ricorso 18403-2014 proposto da:
COSTRUZIONI

NAPOLETANE

S.R.L.

IN

LIQUIDAZIONE

(c.f./p.i. 05538560631), in persona del Liquidatore
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CARLO FEA 4, presso l’avvocato ADELELMO COLESANTI,

Data pubblicazione: 01/06/2016

rappresentata e difesa dall’avvocato CARLO DE MAIO,
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

FALLIMENTO DELLA COSTRUZIONI NAPOLETANE S.R.L., in
persona dei Curatori avv. prof. STEFANO AMBROSINI,

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dott. VINCENZO PEZZULLO e dott. VITTORIO MARONE,
elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DELLE
BELLE ARTI 8, presso l’avvocato STEFANIA TODARO,
rappresentato e difeso dall’avvocato LIVIO PERSICO,
giusta procura a margine del controricorso;
controricorrente

contro

BANCA POPOLARE DI ANCONA S.P.A., MBM S.P.A., GENERALE
PREFABBRICATI S.P.A., BONO DIEGO, GARCIA ALBERTO
DANIEL, LUNARDI ARMANDO, LUNADI BRUNO, MOLOMAN ANDREI,
SAFIR SAID, STETS VIKTOR, EDILTECNICA S.R.L.,
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI
NAPOLI;

intimati

avverso la sentenza n. 105/2014 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 11/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/01/2016 dal Consigliere Dott. MAGDA
CRISTIANO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato C. DE MAIO che si

riporta;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato L. PERSICO
che si riporta per l’inammissibilità in subordine
rigetto;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANNA MARIA SOLDI che ha concluso per il

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rigetto del ricorso.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Napoli, su ricorso del Commissario Giudiziale, annullò il concordato
preventivo omologato della Costruzioni Napoletane (in seguito C.N.) s.r.l. in
liquidazione e, con contestuale, separata sentenza, dichiarò il fallimento della
società.

Il reclamo proposto da C.N. contro le due decisioni, fondato sulla dedotta
insussistenza dei presupposti per l’annullamento del concordato, è stato respinto
dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza dell’11.6.014.
La corte del merito ha condiviso l’assunto del primo giudice, secondo cui nella
proposta di concordato erano stati taciuti fatti che avrebbero potuto determinare la
proposizione di un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di CN.,
per aver adottato decisioni contrarie agli interessi della società, cagionandole un
danno valutabile quantomeno nella misura di 5 milioni di euro, ed ha escluso che il
credito derivante dall’esercizio di tale azione fosse compreso fra quelli ceduti ai
creditori concordatari; ha pertanto ritenuto ricorrente la fattispecie della dolosa
dissimulazione di parte rilevante dell’attivo, contemplata dall’art. 138 I. fall. quale
causa di annullamento del concordato.
La sentenza è stata impugnata da C.N. con ricorso per cassazione affidato a tre
motivi, cui il Fallimento ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
Non hanno svolto difese la Banca Popolare di Ancona, creditrice ad istanza della
quale è stato dichiarato il fallimento, né Ediltecna s.r.I., intervenuta nel procedimento
di merito in adesione alla posizione della reclamante.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 160, 172, 173,
184, 186 I. fall., 2697, 2740, 2910 c.c., oltre che vizio di motivazione, sostiene che,
contrariamente a quanto ritenuto dalla corte d’appello, la proposta concordataria
contemplava anche la cessione dei crediti eventuali nascenti dall’azione di
responsabilità. Osserva al riguardo che l’offerta di cessione dei propri beni e dei
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propri crediti, che non ne escludeva alcuno, doveva necessariamente intendersi
come onnicomprensiva, tanto più che, secondo il prevalente orientamento dottrinario
e giurisprudenziale, un concordato avente natura esclusivamente liquidatoria che
preveda una cessione solo parziale dei beni sarebbe inammissibile. Contesta
l’assunto del giudice a quo,

dell’irrilevanza della predetta questione di diritto una

volta che il concordato sia stato omologato. Deduce, inoltre, che l’affermazione della
corte del merito secondo cui essa, in sede di integrazione della domanda, aveva
modificato l’originaria proposta che prevedeva la cessione di tutti i crediti,
limitandola a quelli relativi alla “gestione caratteristica” dell’impresa, deriverebbe
dall’omesso esame sia dell’atto integrativo, cui era allegato il riepilogo delle poste
attive (comprendente anche i crediti verso controllate e collegate, i crediti verso altri
e i crediti tributari) ed in cui si specificava che l’offerta era”… garantita dalla

cessione pro soluto di tutti i crediti…”, sia del provvedimento di omologazione, nel
quale, analogamente, era precisato che il piano concordatario sarebbe stato attuato,
fra l’altro, attraverso “…la cessione pro soluto ai creditori di tutti i crediti vantati…”.
2) Il motivo non merita accoglimento.
2.1)Va innanzitutto rilevato che l’accertamento dell’effettivo contenuto della proposta
concordataria è questione implicante una tipica valutazione in fatto, che va compiuta
dal giudice del merito sulla scorta delle norme che presiedono all’interpretazione dei
contratti.
La volontà del proponente di includere determinate attività fra i beni oggetto di
cessione ai creditori non può dunque desumersi, a contrario ed ex post, dalla
(pretesa) inammissibilità di un concordato liquidatorio che preveda una cessi°

bonorum non integrale. Peraltro, al di là della dubbia condivisibilità dell’assunto di
diritto, l’argomento è del tutto fuorviante, in quanto C.N. non ha esplicitamente
prospettato ai creditori una cessione parziale dei propri beni (il che avrebbe, in tesi,
giustificato l’immediata declaratoria di inammissibilità della proposta). In questa
sede è invece in discussione se la società, pur avendo affermato di voler offrire ai
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creditori l’intero suo patrimonio, abbia in realtà intenzionalmente sottratto alla
cessione l’azione di responsabilità verso amministratori e sindaci e,
conseguentemente, le liquidità realizzabili attraverso il suo esercizio: ciò che
certamente non può escludersi solo perché C.N. è stata ammessa alla procedura o
perché il concordato è stato omologato, atteso che, come si desume chiaramente

proprio dal disposto degli artt. 173 e 186/138 I. fall., né il provvedimento di
ammissione né quello di omologazione presuppongono l’interpretazione “autentica”
e definitiva dei termini della proposta né, tantomeno, comportano l’implicita
integrazione della manifestazione di volontà in essa contenuta.
2.2)Parimenti infondate, se non inammissibili, sono le ulteriori censure illustrate nel
mezzo sotto il profilo del vizio di motivazione.
La ricorrente muove, in primo luogo, da una personale ed errata lettura della
sentenza impugnata, che si è limitata a stabilire che l’indagine andava condotta a
partire dal contenuto della proposta concordataria omologata, ovvero di quella
integrata presentata il 28.5.2010, ma non ha mai accertato che, a differenza di
quest’ultima, l’originaria proposta contemplava la generalizzata cessione di tutti i
crediti.
La sentenza richiama poi espressamente le previsioni della proposta integrativa
(riportate anche nel provvedimento di omologazione), ivi compresa quella della
“cessione pro-soluto ai creditori di tutti i crediti vantati’:

è dunque palese

l’inconsistenza della doglianza che denuncia l’omesso esame di detta previsione e
che appare, piuttosto, volta a richiederne una diversa interpretazione.
Va esclusa, da ultimo, la decisività, al fine di una diversa soluzione della questione
qui controversa, del documento riepilogativo delle poste attive di cui la corte del
merito non ha tenuto conto, atteso che fra i crediti in esso elencati (ancorché di varia
natura e non solo relativi ai corrispettivi maturati da C.N. per gli appalti) certamente
non sono compresi quelli futuri derivanti dall’esercizio dell’azione di responsabilità.
Poco importa, pertanto, se il giudice a quo, nell’affermare che i crediti ceduti erano
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tutti inerenti alla “gestione caratteristica” dell’impresa, abbia inteso riferirsi ai soli
crediti per SAL e per SIL e non anche ai crediti tributari e/o a quelli verso imprese
controllate e collegate e verso terzi: al contrario, proprio il fatto che il riepilogo di cui
si è detto contemplasse anche questi ultimi ma non contenesse neppure un
accenno a quelli risarcitori vantati da C.N. nei confronti di amministratori e sindaci,

conferma l’assunto secondo cui – in mancanza di una clausola generale volta a
chiarire che la cessione comprendeva anche “ogni altra azione, diritto o credito della
società non specificamente individuato”, che sarebbe bastata ad assegnare al
trasferimento un contenuto onnicomprensivo — tale puntuale elencazione conduceva
ad escludere che la società avesse inteso cedere anche i crediti non menzionati.
3) Col secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 160, 172, 173,
138, 184, 186 I. fall., 1439, 2697, 2740, 2910 c.c. ed ulteriore vizio di motivazione,
lamenta che la corte territoriale abbia ritenuto applicabili, in materia di annullamento
del concordato omologato, principi giurisprudenziali enunciati in tema di revoca ex
art. 173 I. fall. del provvedimento di ammissione alla procedura e sostiene che tale
errore avrebbe condotto il giudice a ritenere sufficiente all’annullamento il mero
scarto — ” la differenza quantitativa e qualitative” — fra le informazioni da essa fornite
nella proposta di concordato e quanto successivamente emerso a seguito degli
accertamenti compiuti dal Commissario giudiziale.
Sostiene inoltre, quanto alla doglianza prospettata ai sensi del n. 5 dell’art. 360 I
comma c.p.c., che tale scarto neppure ricorreva, atteso che le vicende che, a dire
della corte napoletana, non erano state rappresentate nella domanda di concordato
avevano interessato soggetti terzi e, comunque, erano state comunicate all’esperto
(nominato dal tribunale per la valutazione delle partecipazioni offerte ai creditori) in
data anteriore al deposito della proposta integrativa omologata, sicché doveva
escludersi che si trattasse di vicende non note, “scoperte” dal Commissario
giudiziale dopo l’omologazione.
4)Le censure qui sintetizzate (di non facile enucleazione, stante la continua
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sovrapposizione, all’interno del motivo, fra l’una e l’altra delle ragioni di annullamento
prospettate, la cui esposizione, è per di più, intervallata dal richiamo di interi passi
dell’atto di reclamo e della sentenza) vanno dichiarate inammissibili.
Le vicende sottese alla domanda di annullamento sono state puntualmente
riepilogate dal giudice del merito: i) C.N. (all’epoca De Lieto Costruzioni) vendeva a

Locafit, nel giugno 2003 e nel marzo 2004, una serie di immobili di sua proprietà, siti
in Napoli ed in Roma, al prezzo di 10 milioni di euro; il) contestualmente Locafit
concedeva gli immobili in locazione finanziaria ad ICIA, società controllata da C.N.
(che ne possedeva il 92,16% del capitale) sino al novembre del 2003, allorché il 90%
delle quote era stato ceduto a Maurizio e Giovambattista De Lieto (quest’ultimo A.U.
di C.N.) ; iii) ICIA concedeva a sua volta gli immobili in locazione ordinaria a C.N.,
che le versava 1.500.000 euro in deposito cauzionale (in tal modo fornendole la
provvista finanziaria per il versamento del cd. maxicanone) e canoni annui per
complessivi 550.000 euro; iv) i contratti di locazione finanziaria venivano risolti da
BNP(incorporante Locafit) nel novembre del 2009 per l’inadempimento di ICIA; v)
nello stesso mese BNP vendeva gli immobili ad HTC, società le cui quote erano
detenute dalla fiduciaria Cordusio, al prezzo di 6.680.000 euro; vi) il liquidatore di
C.N., in fase di apertura del bilancio di liquidazione, stornava dal conto la somma di
€ 1.000.000 riferita al finanziamento in favore di ICIA in quanto la società,
sostanzialmente priva di qualsiasi attività, non era in grado di restituirla.
Il giudice a quo ha quindi rilevato che nella proposta di concordato C.N. non aveva
fatto alcun cenno alle vendite eseguite nel 2004, alla cessione delle quote della ICIA
ai De Lieto, alla risoluzione dei contratti di leasing in epoca prossima alla
presentazione della domanda di concordato, né, infine, all’immediata ricollocazione
degli immobili sul mercato a favore di HTC ed ha osservato che le circostanze
taciute, e successivamente scoperte dal Commissario giudiziale, inerivano ad una
rilevantissima operazione di spin off immobiliare che – a prescindere dalla ritenuta
simulazione assoluta della risoluzione dei leasing e dalla rivendita degli immobili ad
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una società presumibilmente riconducibile ai De Lieto – non trovava giustificazione,
atteso che C.N. aveva ceduto le quote di ICIA e che, ciò nonostante, l’aveva
finanziata, senza avere più neppure la possibilità di recuperare il finanziamento; ha
pertanto affermato che, pur in mancanza dei necessari approfondimenti della
vicenda (non essendo stato ancora chiarito se sin dall’inizio fosse stata progettata

un’operazione distrattiva degli immobili), tale irragionevole scelta degli
amministratori, contraria ad ogni criterio ispirato al c.d. business judgement rule,
bastava ad integrare una loro responsabilità risarcitoria verso la società ed a
quantificare il pregiudizio risarcibile, nell’ipotesi loro più favorevole, nella misura di
circa 5 milioni di euro (pari all’importo dei canoni versati, del maxicanone e del
finanziamento non recuperabile, nonché della rinuncia ai crediti verso ICIA)
costituente posta attiva sottratta o dissimulata di notevole rilevanza rispetto a quanto
offerto col concordato.
Da quanto sin qui esposto, e pur nell’indubbia sovrabbondanza della motivazione, la
decisione

risulta

in definitiva sorretta dal fondamentale rilievo dell’omessa

enunciazione, nella proposta di concordato, di una circostanza di fatto (la cessione,
avvenuta nel novembre 2003, delle quote di ICIA ai De Lieto) sufficiente al
promovimento dell’azione di responsabilità verso gli amministratori di C.N., che
avevano inspiegabilmente continuato a finanziare per anni una società non più
controllata da quella da loro gestita, cagionando a quest’ultima un danno
quantificabile nella misura corrispondente ai finanziamenti erogati e sicuramente non
più recuperabili, atteso che ICIA non solo aveva definitivamente perso la possibilità
di riscattare gli immobili, ma era totalmente incapiente.
Il motivo in esame (che sembra trascurare che secondo la corte del merito l’attivo

dissimulato non era costituito dagli immobili, ma dal credito risarcitorio), sorvola
totalmente sulla predetta circostanza, ancorché ritenuta determinante dal giudice a
quo ai fini dell’individuazione della condotta pregiudizievole degli amministratori
(atteso che, come lo stesso giudice non ha mancato di sottolineare, in assenza del
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trasferimento della pressoché integrale titolarità del capitale di ICIA da C.N. ai De
Lieto, l’operazione di dismissione degli immobili, siccome compiuta in favore di una
controllata, avrebbe potuto ricevere giustificazione) e non pone in discussione
quanto accertato in sentenza in ordine alla sua mancata enunciazione nella proposta
di concordato ed alla sua scoperta da parte del Commissario Giudiziale solo in data

successiva all’omologazione.
La ricorrente non ha contestato neppure la quantificazione in circa 5 milioni di euro
del danno presumibilmente cagionato dagli amministratori con la loro condotta, né
ha mosso critiche all’affermazione della rilevanza di tale posta rispetto all’ammontare
complessivo delle attività offerte col concordato.
Tali considerazioni sarebbero già sufficienti a dimostrare la sostanziale estraneità al
decisum delle censure in esame: esse, infatti, per un verso, non tengono conto che

la corte napoletana, pur avendo (inutilmente) richiamato principi enunciati in tema di
revoca ex art. 173 I. fall. dell’ammissione al concordato e che attengono,
specificamente, all’espressione del consenso informato dei creditori, non ha
mancato, in concreto, di verificare che l’omessa informazione ineriva a fatti che, ove
resi noti nella proposta, avrebbero rivelato l’esistenza di un’ulteriore, rilevante attività
di C.N., costituita dal credito risarcitorio; per l’altro, non investono in via diretta gli
elementi probatori sui quali la corte ha fondato il proprio convincimento.
Giova peraltro aggiungere come, nel dedurre l’erroneità dell’ulteriore affermazione
del giudice secondo cui la proposta avrebbe dovuto dar conto anche dell’avvenuta
risoluzione dei contratti di leasing, che era stata invece anch’essa scoperta dal
Commissario solo dopo l’omologazione, la ricorrente abbia omesso di considerare
che tale informazione rivestiva particolare importanza (ed avrebbe dovuto pertanto
ricevere ampia illustrazione) proprio in ragione della condotta tenuta dagli
amministratori e della quantificazione del danno da essi cagionato una volta
raggiunta la certezza dell’irrecuperabilità dei finanziamenti erogati ad ICIA.
In tale ottica risulta del tutto coerente l’assunto della corte territoriale, secondo cui
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l’intervenuta comunicazione della circostanza all’esperto non comportava il venir
meno della dolosa dissimulazione di una parte dell’attivo, atteso che solo in data
posteriore all’omologa era emerso il fatto che disvelava la condotta pregiudizievole
degli amministratori (owero la cessione delle quote di ICIA) e che pertanto (pur
nell’ipotesi meno grave considerata, in cui la responsabilità degli stessi sarebbe

derivata solo dall’aver finanziato una società non più controllata da CN.) non
sarebbe stato possibile, in precedenza, cogliere il nesso che collegava sussistenza
ed entità del credito risarcitorio dissimulato alla risoluzione.
5) In buona misura inammissibile è anche il terzo motivo del ricorso, che investe in
via principale quella parte della sentenza in cui la corte del merito ha,

ad

abundantiam, affrontato la questione dell’omessa informazione in ordine alla vendita

degli immobili intervenuta fra PNB ed HTC, che per il resto ribadisce gli argomenti
già ampiamente illustrati nel secondo motivo e che solo incidentalmente, e peraltro
in via palesemente generica ed assertiva, deduce che l’aspettativa derivante dal
credito risarcitorio sarebbe del tutto vaga, sia in termini di an che in termini di
quantum.

Palesemente infondato, infine, è l’assunto della ricorrente secondo cui il concordato
non avrebbe potuto essere annullato essendo, comunque, residuata in capo a
ciascun creditore la legittimazione ad agire nei confronti degli amministratori ai sensi
dell’art. 2394 c.c.: presupposto dell’annullamento, ai sensi dell’art. 138 I. fall., è infatti
unicamente l’accertata sottrazione o dissimulazione di una parte rilevante dell’attivo,
che ha indotto i creditori a votare nell’erroneo convincimento della sua insussistenza,
mentre a nulla rileva che l’attività sottratta o dissimulata possa eventualmente essere
recuperata al di fuori della procedura concordataria.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese processuali, che si liquidano in dispositivo.
P. Q.M.

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La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali, che liquida in € 8.200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario
ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.P.R. n. 115/2002, introdotto dall’art. 1, 17°
comma, della I. n. 228 del 24.12.2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti

unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
Roma, 26 gennaio 2016.

per il versamento da parte del ricorrenttdi un ulteriore importo a titolo di contributo

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