Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11392 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. I, 12/06/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 12/06/2020), n.11392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Presidente di Sez. –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26764/2018 proposto da:

A.N., rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Tartini

ed elettivamente domiciliato in Roma Via Del Casale Strozzi, 31

presso lo studio dell’avvocato Laura Barberio;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno ((OMISSIS));

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

16/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/10/2019 dal Rel. Pres. di Sez. RAFFAELE FRASCA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. A.N., cittadino pakistano, ha proposto ricorso per cassazione contro il Ministero dell’Interno avverso il decreto del 19 luglio 2018, con cui il Tribunale di Venezia, Sezione Specializzata in Materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’UE, ha respinto il suo ricorso contro il provvedimento della competente commissione territoriale notificatogli il 2 novembre 2017 che aveva respinto la sua domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato, quella subordinata di riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e quella ulteriormente subordinata relativa al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari si sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

2. Il Ministero non ha notificato controricorso, ma si è limitato a depositare atto di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il ricorso, dopo una lunga esposizione dei fatti, che si dipana dalla pagina 2 sino al primo rigo della pagina 21, prospetta in via pregiudiziale due questioni di legittimità costituzionale, indicandole nei punti A) e B) e nel contempo ne fa motivi di ricorso.

La prima questione concerne “illegittimità costituzionale del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13 – art. 6, comma 1, lett. g) che introduce il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis e segnatamente il nuovo comma 13 che esclude la reclamabilità in appello del decreto che definisce il giudizio di primo grado”, nonchè “violazione del principio di ragionevolezza e del divieto di discriminazione – violazione dell’art. 14 CEDU, dell’art. 21 della carta di Nizza e degli artt. 3 e 117 Cost.”.

La seconda questione concerne “illegittimità costituzionale del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13 – art. 6, comma 1, lett. g) che introduce il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis e segnatamente il nuovo comma 13 che esclude la reclamabilità in appello del decreto che definisce il giudizio di primo grado”, nonchè “assenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza e conseguente violazione dell’art. 77 Cost.”.

1.1. La prima questione di costituzionalità è stata già ritenuta priva del requisito della non manifesta infondatezza da questa Corte con l’ord. n. 27700 del 2018, seguita da numerose conformi (allo stato della stesura della motivazione vi sono 140 decisioni che richiamano tale precedente).

1.2. La seconda questione di legittimità costituzionale è stata già esaminata da questa Corte e ritenuta carente del requisito della non manifesta infondatezza con la sentenza n. 17717 del 2018, le cui ragioni, peraltro, più volte ribadite da decisioni successive, fra cui, ex multis, Cass. (ord.) n. 28119 del 2019.

Nell’archivio Italgiureweb la sentenza del 2018 è richiamata alla data della stesura della presente da 104 decisioni.

2. Con il primo motivo di ricorso, con cui si deduce “nullità del provvedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su domanda o eccezione formulata dal ricorrente e segnatamente per la mancata pronuncia sulle questioni di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2007 sollevate nel ricorso di primo grado – error in procedendo”.

Tali questioni concernevano la stessa normativa sopra indicata, cioè l’art. 35-bis sopra citato, ma con riferimento all’applicazione del rito camerate ai ricorsi in materia di protezione internazionale.

L’omesso esame delle questioni di costituzionalità, secondo parte ricorrente, avrebbe integrato omissione di pronuncia con conseguente nullità del decreto impugnato.

2.2. Il motivo è inammissibile, in quanto la doglianza è inidonea ad evidenziare in astratto un’omissione di pronuncia ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ..

E’ stato, infatti, condivisibilmente e reiteratamente affermato che “La questione di legittimità costituzionale di una norma, in quanto strumentale rispetto alla domanda che implichi l’applicazione della norma medesima, non può costituire oggetto di un’autonoma istanza rispetto alla quale, in difetto di esame, sia configurabile un vizio di omessa pronuncia, ovvero (nel caso di censure concernenti le argomentazioni svolte dal giudice di merito) un vizio di motivazione, denunciabile con il ricorso per cassazione: la relativa questione è infatti deducibile e rilevabile nei successivi stati e gradi del giudizio che sia validamente instaurato, ove rilevante ai fini della decisione” (Cass. n. 26319 del 2006, ex multis).

E’, poi, appena il caso di rilevare che, se il motivo si volesse apprezzare come ripropositivo della questione di costituzionalità non esaminata, dovrebbe rilevarsi che sempre la citata Cass. n. 17717 del 2018 ebbe a ritenere che essa non sia assistita dal requisito della non manifesta infondatezza.

3. Con il secondo motivo, il terzo ed il quarto motivo, che sono illustrati congiuntamente e che lo stesso ricorrente sostiene “tra loro strettamente correlati”, si denuncia, rispettivamente:

a) “Illegittimità del decreto impugnato per violazione, falsa ed erronea interpretazione e/o applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs., art. 27, comma 1-bis (25/2008: manca l’indicazione) violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3”;

b) “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione alle COI relative alla problematica dei matrimoni combinati”;

c) “motivazione apparente e conseguente nullità del provvedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione alla dedotta credibilità del racconto”.

3.1. L’illustrazione dei tre motivi si articola dalla pagina 28 del ricorso sino alle prime sette righe della pagina 32 e parrebbe concernere il diniego dello status di rifugiato, anche se evoca pure affermazioni a pagina 4 del decreto impugnato, che concernono le altre due forme di protezione negate.

3.2. In essa non si coglie alcuna enunciazione che sia riconducibile al concetto di violazione o falsa applicazione della norma di diritto evocata nella intestazione del secondo motivo in punto di apprezzamento della credibilità, ma solo l’enunciazione di una violazione di esse come conseguenza dell’auspicato accoglimento del terzo e quarto motivo.

Infatti, l’illustrazione inizia assumendo che il decreto impugnato avrebbe espresso un giudizio di non credibilità per genericità e contraddittorietà delle dichiarazione del ricorrente, “formulando valutazioni assolutamente assertive che ripropongono pedissequamente il giudizio della Commissione (…) e che travisano le stesse dichiarazioni rese in sede amministrativa e giudiziaria, e quindi le risultanze istruttorie”, evocando sotto il primo profilo un’affermazione della Commissione che il decreto ha riportato fra virgolette e, quindi, due affermazioni del decreto, la prima inerenti alla valutazione della stessa in ordine allo status di rifugiato, la seconda concernente la valutazione della medesima a proposito della protezione c.d. umanitaria.

La motivazione viene definita dapprima – volendosi sostenere la censua svolta con il quarto motivo – come apparente “perchè si limita a denunciare, senza esplicitarle, presunte contraddizioni o genericità del racconto, mentre l’ulteriore giudizio di non credibilità o inattendibilità del racconto è formulato in modo meramente assertivo, e quindi non spiega perchè non sarebbe credibile che il promesso sposo della moglie ed i suoi complici abbiano rintracciato il ricorrente nella sua nuova residenza di V.T. (cittadina di soli 45.000 abitanti che si trova nel medesimo distretto di Hafizabad – vedi pag. 18 del ricorso introduttivo e pag. 7 del verbale di audizione amministrativa, ove ha precisato che V.T. si trovava a soli 12/14 chilometri dal mio paese).”.

3.3. La censura di motivazione apparente, per come articolata, non appare fondata. Per farne risultare l’apparenza, per così dire “derivata” per essersi adagiato il Tribunale di Venezia sulla valutazione della Commissione, sarebbe stato necessario far constare il contenuto e le ragioni di quest’ultima, fornendone l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, che invece il ricorrente no fornisce, non avendone riprodotto nè direttamente nè indirettamente, con precisazione della parte corrispondente, il contenuto e nemmeno avendola localizzata i questo giudizio di legittimità (e ciò nemmeno indicando la presenza del provvedimento della Commissione nel fascicolo d’ufficio, come ammette Cass. Sez. Un., n. 22726 del 2011).

Analoga considerazione deve farsi per quanto attiene al verbale dell’audizione del ricorrente in sede amministrativa.

Inoltre, la pretesa apparenza di motivazione per essere apprezzata imponeva l’indicazione del contenuto del ricorso giudiziale, che, parimenti, non rispetta l’art. 366 c.p.c., n. 6.

3.4. L’illustrazione del motivo si muove, poi, espressamente evocando la figura del travisamento delle risultanze probatorie, così ponendosi al di fuori dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

In fine, l’illustrazione addebita al decreto di avere ignorato la produzione delle fonti COI sulla gravità e diffusione del fenomeno dei matrimoni forzati o combinati in Pakistana e sulle violenze che reprimono i tentativi di sottrarsi a questa consuetudine, ma tale addebito, in disparte che non risulterebbe assistito dal requisito della decisività in ragione dell’esito delle altre censure, nuovamente si scontra con la mancata indicazione specifica della detta produzione.

3.5. Da ultimo, la censura di violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1-bis risulta priva di fondamento, in quanto il ricorrente omette di precisare se nel suo ricorso aveva sollecitato l’esercizio del potere officioso di istruzione: tale indicazione, essendo il dovere di cui alla norma già imposto alla Commissione, sarebbe stata necessaria per rendere quell’esercizio rilevante ai fini del decidere davanti al Tribunale, volta che esso ha condiviso le ragioni indicate dalla Commissione in punto di non credibilità del racconto.

3.6. I tre motivi non meritano, pertanto, accoglimento.

4. Con il quinto motivo si denuncia “violazione, falsa applicazione ed erronea r e/o applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5 e 14 violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Ci si duole che il Tribunale, oltre a non ritenere credibile il racconto del ricorrente, l’abbia “comunque “declassato” a vicenda meramente privata, come tale estranea ai presupposti per la protezione internazionale”.

4.1. Il motivo, in disparte la mancata identificazione della motivazione criticanda, sconta comunque il consolidarsi della motivazione sulla non credibilità: la pretesa e non meglio identificata motivazione del Tribunale sarebbe gradata rispetto alla non credibilità e, dunque, la censura resterebbe assorbita.

Inoltre, lo si rileva ad abundantiam, il motivo evoca documento non meglio identificati e in modo irrispettoso dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

5. Il sesto ed il settimo motivo sono illustrati congiuntamente sull’assunto che si prestino ad esserlo e prospettano:

aa) violazione, falsa ed erronea interpretazione e/o applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1-bis – violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3″;

bb) “nullità del provvedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c)”.

5.2. E’ logicamente preliminare il settimo motivo, quello concernente l’omesso esame della domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Il motivo è privo di fondamento: la decisione impugnata dà atto espressamente a pagina 3 che la domanda era stata proposta anche ai sensi di detta norma ed espressamente di essa si occupa a partire dal passo, di cui alla pagina 3, che inizia con la seguente affermazione: “con riguardo all’ipotesi di cui alla lett. c) occorre osservare quanto segue”, cui fa appunto seguire considerazioni, come, del resto, la stessa illustrazione svolta dal ricorrente evidenzia.

Dunque, il Tribunale ha pronunciato sul capo di domanda.

5.3. Il sesto motivo – dedotto nel presupposto che su quel capo vi sia stata pronuncia – si fonda sull’addebitare al Tribunale la violazione del D.L. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1-bis per “no aver assolto al dovere di collaborazione”, che “impone all’organo amministrativo e giudiziario di rilevare comunque ogni possibile presupposto di protezione, indipendentemente dal modo in cui la domanda è stata formulata”.

Successivamente a tale assunto il ricorrente evoca i criteri interpretativi dell’art. 14, lett. c) forniti dalla sentenza n. 6053 del 2007 di questa Corte e, quindi, riproduce quella che chiama analisi giuridica dell’istituto di cui a detta norma fatta dall’EASO nel 2015, per poi affermare che: “ritiene pertanto chi scrive che” l’attuale situazione interna del Pakistan quale documentata dalle COI allegate al ricorso di primo grado, sarebbe riconducibile ad una situazione di conflitto interno secondo la definizione resa dalla sentenza C.G.U.E del 30 gennaio 2014 (Dia kite).

5.2.1. La doglianza sulla mancata attività istruttoria è priva di pregio alla luce delle stesse considerazioni svolte sopra nel paragrafo 3.5.

Le ulteriori considerazioni restano meramente assertorie, considerando che il Tribunale, dopo avere assunto che le condizioni di sicurezza del Pakistan sarebbero precarie ed avere anche fatto riferimento ad un rapporto di Amnesty Internationale del 2016 in tal senso, sottolineando una criticità relativa alla mancata tutela delle minoranze religiose, ha imputato al ricorrente di non avere dedotto, tuttavia, “elementi valutabili al fine di considerare che in caso di rientro nel Paese di origine sia esposto al rischio di “danno grave”” così volendo dire che per quanto emergeva dalla fonte evocata questo danno, in relazione alla vicenda narrata dal ricorrente che era personale, non esisteva. Tale esegesi della motivazione è giustificata dalle ultime dai righi dal quarto al settimo della pagina 4 del decreto impugnato.

Il riferimento alla natura personale della vicenda narrata, pur ritenuta inattendibile, correttamente è stato ritenuto estraneo al contesto di criticità della situazione pakistana per come desunto dal Tribunale.

6. L’ottavo motivo denuncia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione alla pronuncia sulla domanda di protezione umanitaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 5, comma 6”.

Il motivo è inammissibile, in quanto ignora la motivazione resa dal decreto nel punto 3 della pagina 4 e ciò particolarmente per quanto attiene alle sue prime sette righe e, quindi, alla successiva considerazione svolta sulla situazione di integrazione lavorativa del ricorrente in Italia.

Il motivo evoca invece l’allegazione di una situazione di alluvione nel 2014 che avrebbe determinato il venir meno della possibilità del ricorrente di continuare a permanere i Pakistan ed addebita al decreto di averla ignorata ma nemmeno indica come e perchè lessa sarebbe stata rilevante come causa sconsigliante il rimpatrio: l’evento concerneva il momento in cui il ricorrente lasciò il suo paese di origine.

7. Il ricorso è rigettato.

Non è luogo a statuizione sulle spese, dato che la difesa erariale ha depositato solo un atto di costituzione che l’avrebbe abilitata a presenziare solo ad un’udienza pubblica che non si è tenuta.

Stante il tenore della pronuncia (di rigetto del ricorso), andrebbe dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto”. Senonchè il ricorrente risulta ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, dato che è stata fatta constare dall’Ufficio l’ammissione del medesimo al patrocinio a spese dello Stato.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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