Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11391 del 24/05/2011

Cassazione civile sez. II, 24/05/2011, (ud. 21/01/2011, dep. 24/05/2011), n.11391

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.F. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, V. DESSIE’ 7, presso lo studio dell’avvocato MARONGIU MARIA

ELENA, rappresentato e difeso dall’avvocato CLEMENTE GIOVANNI, come

da procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

O.G. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato DELLA VENTURA FRANCESCO, come da procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 437/2007 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 29/06/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/01/2011 dal Consigliere Dott. IPPOLISTO PARZIALE;

udito l’Avvocato Clemente Giovanni, difensore del ricorrente che si

riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Il ricorrente, M.F., il 31 maggio 1995 proponeva domanda ex art. 2932 c.c., chiedendo pronunciarsi sentenza di trasferimento in relazione ad un immobile promesso in vendita dall’intimato O. con scrittura del 18 gennaio 92. Chiedeva, altresì, i danni. Il convenuto si costituiva ed eccepiva l’inammissibilità della domanda, dovendosi qualificare la scrittura come definitivo; in via subordinata deduceva la nullità del preliminare per violazione dell’art. 2744 c.c., nonchè la rescissione dello stesso ex art. 1448 c.c., deducendone anche la nullità per illiceità della causa ex art. 2744 c.c..

2. – Il Tribunale accoglieva la domanda ex art. 2932 c.c. e disponeva il trasferimento della proprietà. Rigettava la pretesa risarcitoria dell’attore, nonchè le riconvenzionali.

3. – L’ O. proponeva appello, deducendo: a) nullità della sentenza perchè inutiliter data in difetto del deposito della certificazione urbanistica dell’immobile; b) l’inammissibilità della domanda per la mancanza dei “presupposti e dei parametri” di cui all’art. 2932 c.c.; chiedeva, inoltre, c) dichiararsi la nullità o l’inefficacia della scrittura in questione in relazione all’art. 2744 c.c.. Il M. eccepiva: l’inammissibilità dell’appello per mancata riproposizione in maniera – esplicita e precisa delle eccezioni e delle domande proposte in primo grado; ne deduceva comunque l’infondatezza nel merito e proponeva appello incidentale quanto al risarcimento dei danni.

4. – La Corte di appello, dopo aver premesso che l’eccezione nuova di nullità del contratto per violazione della normativa urbanistica era ammissibile trattandosi di questione rilevabile d’ufficio, riteneva di poter decidere sulla questione di nullità per inottemperanza alle disposizioni urbanistiche. A tal fine richiamava la L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40 e rilevava che, ove si fosse trattato d’immobile costruito anteriormente al 1967, la nullità si sarebbe potuta evitare con una dichiarazione sostitutiva d’atto notorio, inserita nello stesso atto attetante l’inizio dei lavori in data anteriore al 2 settembre 1967. Nè successivamente si era proceduto alla relativa integrazione. La Corte, quindi, accertava la nullità della scrittura 18 gennaio 1992; negava di poter provvedere ex art. 2932 c.c. (Cass. 9313/93), ribadiva che il preliminare non poteva essere eseguito e rigettava la domanda avanzata dal M., assorbito tutto il resto.

5. Avverso tale sentenza M. ha proposto impugnazione articolando due motivi. Resiste con controricorso la parte intimata, che ha depositato memoria.

6. – Attivata la procedura ex art. 375 c.p.c., il ricorso è stato trattato in camera di consiglio e rimesso alla pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I motivi del ricorso.

Parte ricorrente formula due motivi di ricorso.

1.1 – Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 342 e 345 cod. proc. civ., della L. n. 47 del 1985, artt. 17, 18 e 40 e dell’art. 2909 cod. civ., nonchè vizio di motivazione, censurando la sentenza impugnata per non avere pronunziato su di un’eccezione espressamente formulata, con la quale si era evidenziato essere l’appello della controparte inammissibile per genericità dei motivi, e per avere, viceversa, dichiarato la nullità del contratto preliminare senza una domanda in tal senso della parte, che aveva riferito l’eccezione di nullità non al contratto ma alla sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda ex art. 2932 cod. civ.. Formula, quindi, il seguente quesito di diritto:

“L’Ecc.ma Corte vorrà stabilire se l’eccezione di nullità della sentenza del Giudice di primo grado per violazione della normativa urbanistica di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 18 sollevata dall’ O., consentiva al Giudice di merito di estendere il proprio esame anche sulla validità o meno del preliminare di vendita in discussione, nonostante il giudicato formatosi nella sentenza di primo grado per la inammissibilità dell’appello per carenza dei motivi specifici – o per mancanza dell’effetto devolutivo di tale parte della sentenza di primo grado – ex art. 342 c.p.c. e dei divieti di nuove domande di cui all’art. 345 c.p.c.”.

1.1.2 – Il motivo va disatteso per essere infondate le ragioni di diritto che lo supportano; infondatezza che si riverbera nell’inidoneità del quesito, all’evidenza non pertinente, cui consegue l’inammissibilità del motivo. La nullità, come l’inesistenza, d’un contratto vanno, infatti, rilevate d’ufficio, anche per la prima volta in sede di gravame, ex art. 1421 c.c., salva, peraltro, la necessità di coordinarne il disposto con il principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 c.p.c.. Solo se siano in contestazione l’applicazione o l’esecuzione d’un contratto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della pretesa, il giudice è tenuto a rilevare in qualsiasi stato e grado del giudizio, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti, l’eventuale nullità del contratto stesso in quanto ostativa all’accoglimento della domanda per difetto d’una delle sue condizioni, mentre, se la contestazione attiene direttamente all’illegittimità dell’atto, una ragione di nullità diversa da quella posta a base della domanda introduttiva, come non può esser dedotta per la prima volta in sede di gravame, trattandosi di domanda nuova e diversa rispetto a quella ab origine proposta dalla parte, così neppure può essere rilevata d’ufficio (Cass. 18.5.99 n. 4817, 18.2.99 n. 1378,10.10.97 n. 9877, 22.4.95 n. 4607,7.4.95 n. 4064, 9.2.94 n. 1340, 9.1.93 n. 141). Nella seconda delle considerate ipotesi, l’inammissibilità della deduzione in sede di gravame, come anche la non rilevabilità d’ufficio, d’una causa di nullità del contratto diversa da quella posta a base dell’originaria domanda, trovano fondamento nella considerazione che la sanzione della nullità è comminata in relazione ad una pluralità di vizi tassativamente determinati, onde l’azione di nullità ha una sua precisa causa petendi, che ne delimita l’ambito agli effetti delle preclusioni processuali, e per tanto l’iniziale proposizione d’una domanda intesa ad ottenere la declaratoria di nullità del contratto in relazione ad uno dei detti vizi, come impedisce alla parte di far valere in sede di gravame una diversa causa di nullità in quanto, introducendo un tema di dibattito del tutto nuovo e diverso rispetto a quello precedentemente svolto, si tradurrebbe in una mutatio libelli non consentita, così anche impedisce al giudice di porre a base della decisione ragioni di nullità diverse da quella originaria, in quanto, diversamente operando, il giudice stesso travalicherebbe il potere dispositivo delle parti in violazione dell’obbligo di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato posto dall’art. 112 c.p.c.. A diversa soluzione si deve, peraltro, pervenire ove la questione della nullità del contratto sia stata introdotta nel giudizio non in via d’azione bensì in via d’eccezione ed il giudice ritenga di rilevare d’ufficio aspetti di patologia del contratto stesso non rilevati dalla parte pur interessata a farne dichiarare l’improduttività d’effetti. Se, infatti, il potere-dovere del giudice di decidere sulla domanda s’estende necessariamente all’accertamento della sussistenza e della validità del contratto dedotto dall’attore, queste costituendo condizioni dell’accoglibilità della domanda stessa in quanto intesa ad ottenere dalla controparte l’adempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto, la deduzione da parte del convenuto di cause di nullità del contratto non può costituire, od essere considerata, domanda giudiziale, non ponendosi in rapporto genetico con il potere – dovere decisionale del giudice d’accertare che non difettino le condizioni suddette, potere già esistente ex lege anche indipendentemente dall’attività assertiva della parte controinteressata e persino nella contumacia di questa. La questione di nullità del contratto, comunque sollevata dal convenuto, non integra, infatti, gli estremi nè d’una domanda riconvenzionale (in quanto il convenuto non chiede un provvedimento giudiziale a sè favorevole che gli attribuisca beni determinati in contrapposizione a quelli richiesti dall’attore con la domanda introduttiva), nè d’un’eccezione riconvenzionale (in quanto il convenuto non oppone al diritto fatto valere dall’attore un proprio controdiritto idoneo a paralizzarlo), nè, infine, d’un’eccezione in senso stretto o sostanziale (in quanto non ne è prevista dalla legge la deduzione ad esclusiva iniziativa della parte, anzi, ne è prevista la rilevabilità ex ufficio iudicis), bensì si prospetta solo quale mera difesa (in quanto il convenuto si limita ad allegare l’invalidità e, quindi, l’insussistenza d’uno degli elementi costitutivi della pretesa fatta valere dall’attore, e cioè una determinata circostanza di fatto ostativa all’accoglimento della domanda) che, dunque, non condiziona il preesistente potere- dovere del giudice di rilevare ex officio una nullità ravvisabile in aspetti distinti di patologia negoziale, (cfr. Cass. 14.3.98 n. 2772, 3.2.98 n. 1099, 2.4.97 n. 2858 in mot, 22.10.1984, n. 5341).

Nel caso di specie, dunque, proprio perchè l’appellante aveva rivolto la proposta censura di nullità avverso la sentenza e non avverso il contratto, del quale con la stessa era stata disposta l’esecuzione, nessun limite era posto al giudice dell’appello in ordine alla rilevabilità ex officio della nullità del contratto per inottemperan2a alle disposizioni della disciplina urbanistica. Ciò stante, risulta del tutto priva di rilievo la censura mossa dal ricorrente in ordine all’omessa pronunzia sull’eccezione di difetto di specificità del motivo d’appello, poichè il giudice a quo non ha deciso in accoglimento di quel motivo bensì sulla base d’una diversa ratio decidendi rilevata d’ufficio; d’altra parte, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su una questione posta in appello, la Corte di cassazione è legittimata ad omettere l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che trattisi di questione che non richieda ulteriori accertamenti di fatto, come nel caso di specie.

1.2 – Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, artt. 17, 18 e 40 e dell’art. 2932 cod. civ., nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale affermato la nullità del contratto preliminare di compravendita per omessa dichiarazione e documentazione sulla regolarità urbanistica del bene compromesso, nullità posta dalla normativa in relazione ai soli contratti ad effetti reali e non anche a quelli ad effetti obbligatori, e per avere omesso di considerare che l’immobile era pervenuto in buona fede all’alienante con atto di donazione del 1973. Formula, quindi, i seguenti quesiti di diritto:

a) Stabilisca la Corte Ecc.ma se le dichiarazioni ed i documenti previsti dalla L. n. 47 del 1985, art. 40 vanno indicati anche negli atti di trasferimento di edifici o loro parti, acquistati in buonafede dall’alienante con atto risalente al 1973, legittimo in virtù delle leggi vigenti all’epoca, in mancanza di eccezione dell’insussistenza della concessione o della inesistenza della domanda di concessione in sanatoria. In tal caso, per tali vendite è consentita la pronuncia della sentenza costitutiva del trasferimento definitivo ai sensi dell’ari. 2932 c.c. – senza eludere le norme di legge che governano nella forma e nel contenuto l’esercizio dell’autonomia negoziale delle parti.

b) Stabilisca la Corte Ecc.ma che la sanzione di nullità stabilita dalla L. 47 del 1985, art. 40 per i contratti relativi a trasferimenti immobiliari che non contengono la prevista dichiarazione concernente la regolarità della situazione dell’edificio di cui trattasi rispetto alla disciplina urbanistica, si applica con esclusivo riguardo ai contratti con effetti reali non anche a quelli con effetti obbligatori – come i contratti preliminari di vendita – e che, nella ipotesi di richiesta di pronuncia di sentenza costitutiva di trasferimento, prevista dall’art. 2932 c.c., il Giudice può dichiarare soltanto inammissibile la domanda perchè non può realizzare, con la sentenza, un effetto maggiore o diverso da quello che sarebbe stato possibile alle parti.

1.2.2 – Anche il riportato motivo è infondato e correlativamente sono non pertinenti i quesiti. E’ ben vero, infatti, che tanto l’art. 40 quanto la L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 17 sono considerati, pur nella diversità della loro formulazione, disciplinare entrambi esclusivamente fattispecie di contratti ad effetti reali, stabilendone la nullità ove oggetto dell’una delle prestazioni sia un immobile abusivo, e non anche fattispecie di contratti ad effetti obbligatoli, alle quali pertanto non sono applicabili; tuttavia l’inapplicabilità delle summenzionate norme al caso di specie, perchè trattasi di contratto preliminare e quindi ad effetti obbliga tori e non di contratto ad effetti reali, non implica che lo stesso resti al di fuori della vigente complessa disciplina legislativa in materia d’edilizia e pertanto privo di regolamentazione, giacchè, sia per detta natura del contratto riconducibile alla generica previsione degli atti giuridici (Cass. 1.9.97 n. 8335, 14.5.94 n 4717) sia per essere la costruzione dell’immobile dedotto in contratto anteriore all’entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985, n. 47 insuscettibile d’applicazione retroattiva (Cass. 27.4.93 n. 4926, 18.3.92 n. 3350), il caso stesso rimane comunque regolato dall’art. 15 della precedente L. 28 gennaio 1977, n. 10. Tale norma prevede, in vero, la nullità degli atti giuridici, tra i quali vanno ricompresi anche i contratti preliminari come ritenuto dai precedenti giurisprudenziali sopra richiamati, aventi ad oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione, salvo dagli stessi risulti che l’acquirente era a conoscenza della mancanza della concessione;

disposizione interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che la deroga al principio della nullità degli atti richiede due distinte ed autonome condizioni che devono entrambe ricorrere, id est non solo che l’acquirente sia a conoscenza dell’abuso, ma anche che tale conoscenza risulti formalmente dall’atto della cui nullità si discute. Nel caso di specie, l’odierno ricorrente sostiene che controparte fosse a conoscenza dell’irregolarità edilizia del bene compravenduto, essendogli pervenuto nel 1973 per donazione. La questione, però, non ha formato oggetto di trattazione nel giudizio di appello, secondo quanto dall’esame delle componenti essenziali dell’impugnata sentenza – conclusioni delle parti riportate in epigrafe ed, inoltre, motivi dell’impugnazione riportati all’inizio della motivazione; esposizione del fatto; motivazione – contro la quale non è stata formulata specifica censura ex art. 112 c.p.c. per omesso esame della stessa; pertanto, poichè il motivo introduce temi di dibattito completamente nuovi, implicando accertamenti in fatto non acquisiti agli atti e decisione su elementi di giudizio pure in fatto che non hanno formato oggetto di contraddittorio nella fase di merito, stanti la natura ed i limiti del giudizio di legittimità, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza impugnata in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto nello stesso già proposte, non può, sotto il profilo in esame, essere preso in considerazione.

In proposito questa Corte ha, infatti, avuto ripetutamente occasione d’evidenziare come i motivi del ricorso per cassazione debbano investire, a pena d’inammissibilità, statuizioni e questioni che abbiano già formato oggetto di gravame e che siano, dunque, già comprese nel thema decidendum del giudizio di secondo grado quale fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti, mentre non è consentita, a parte le questioni rilevabili anche d’ufficio, la prospettazione di questioni che modifichino la precedente impostazione difensiva ponendo a fondamento delle domande od eccezioni titoli diversi da quelli fatti valere nella fase di merito o questioni di diritto fondate su elementi di fatto nuovi o diversi da quelli dedotti in detta fase. Per sola completezza, può, comunque, anche rilevarsi che il ricorrente non ha mai provato e neppure dedotto che tale conoscenza avesse egli, acquirente, e, tanto meno, che detta situazione irregolare risultasse dall’atto, onde questo, pur ove ricorresse l’una delle condizioni indispensabili all’operatività della deroga, in difetto dell’altra non poteva, in ogni caso, non essere considerato nullo. Chiaritane ed integratane la motivazione ex art. 384 c.p.c., comma 4, con le argomentazioni che precedono, l’impugnata sentenza, il cui dispositivo è conforme a diritto, non merita la cassazione richiesta con il ricorso che va, pertanto, rigettato.

2. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.T.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in complessivi 3.000,00 Euro per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2011

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