Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1139 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 17/01/2019, (ud. 25/09/2018, dep. 17/01/2019), n.1139

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. ZOSO Liliana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24770-2011 proposto da:

PIBIEFFE S.r.l. (C.F. e P. IVA: (OMISSIS)), in persona dei

consiglieri amministratori delegati P.G.B. e

F.A., con sede in Torino, alla Via Largo Turati n. 49,

rappresentata e difesa, anche disgiuntamente tra di loro, dagli

Avv.ti Nicola Salvini del Foro di Torino (C.F.: SLVNCL59B17L219K) e

Giuseppe Scapato (C.F.: SCPGPP53R10I962D), presso il quale elegge

domicilio in Roma, alla Via Durazzo n. 9 00195, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: 80224030587), nei cui uffici domicilia per legge in Roma,

alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 17/38/2011 emessa dalla CTR di Torino in data

10/02/2011 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella udienza camerale del

25/09/2018 dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

In data 20/02/2008 l’Agenzia delle Entrate Ufficio Torino 3, facendo seguito a una verifica iniziata il 23/01/2008, notificava alla Pibieffe s.r.l. (attività di Lavori Generali e Costruzione Edifici) un P.V.C. in cui erano evidenziati i seguenti rilievi:

a) maggior valore dei componenti positivi di reddito per omessa fatturazione di ricavi, determinati in complessivi Euro 171.000,00.

b) minor valore dei costi sostenuti per la parte di Euro 365.000,00, in quanto non di competenza;

c) minor valore dei costi sostenuti, in quanto non documentati, per complessivi Euro 139.500,00.

In data 8/09/2008 l’Ufficio notificava alla società l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) in cui, a seguito delle risultanze del PVC sopra menzionato, recuperava per l’anno di imposta 2005 IRES per Euro 222.915,00, IRAP per Euro 28.709,00, IVA per Euro 39.780,00 (aliquota del 4% sull’imponibile di Euro 139.500,00) e sanzioni per Euro 334.372,50 oltre agli oneri accessori.

In data 1/07/2009 la società presentava istanza di rimborso delle maggiori imposte dirette pagate nel 2004 sull’imponibile di Euro 365.000,00 in relazione ai costi non riconosciuti di cui all’avviso di accertamento sopra indicato.

In data 10/09/2009 l’Ufficio notificava all’interessata provvedimento di diniego di rimborso.

La società ricorreva contro entrambi i provvedimenti, chiedendone l’annullamento, con atti distinti contestando nel merito le pretese dell’Amministrazione. In particolare, per quanto qui ancora rileva, sui maggiori ricavi sosteneva che, per determinare l’importo, l’Ufficio si era basato sulle dichiarazioni di alcuni acquirenti che avevano sostenuto costi aggiuntivi a quelli dichiarati in atto per l’acquisto di villette (per l’accatastamento), dichiarazioni che, a suo dire, non potevano avere valenza di prove. Contestava altresì l’aliquota applicata sul valore accertato (4%, anzichè 20%) in relazione alla tipologia dei lavori eseguiti. Si costituiva l’Ufficio, evidenziando le anomalie riscontrate nei controlli effettuati e sostenendo la correttezza del proprio operato.

La Commissione Tributaria Provinciale di Torino sez. 3, con decisione del 22/2/2010, previa riunione dei procedimenti, osservava, sempre per quanto qui rileva, che le dichiarazioni di tre soli acquirenti su un totale di quindici villette non potevano avere valore probatorio. Determinava altresì nel 4% l’aliquota IVA da applicare. In conclusione, respingeva il ricorso avverso il diniego del rimborso, accoglieva parzialmente l’impugnazione dell’avviso di accertamento, determinava in Euro 28.500,00 il maggiore imponibile tassabile e al 4% l’aliquota IVA da applicarsi.

Con atto depositato in data 25/05/2010, proponeva appello l’Ufficio, ribadendo che, secondo le dichiarazioni di tre acquirenti delle villette costruite, la società non aveva prodotto alcuna fattura, e contestava quindi le affermazioni dei primi giudici che avevano ritenuto non accettabili le dette dichiarazioni, le quali, invece, integravano, a suo dire, presunzioni con le caratteristiche di gravità, così da poter essere utilizzate ai fini dell’accertamento. In ordine all’aliquota IVA applicata, sosteneva che quella agevolata del 4% era utilizzabile solo in presenza di cessioni regolarmente fatturate.

Resisteva la società, sollevando preliminarmente l’eccezione di inammissibilità dell’appello e ribadendo la mancanza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza delle dichiarazioni utilizzate ai fini di individuare i maggiori ricavi. In relazione all’aliquota IVA, ricordava come i costi aggiuntivi seguissero la natura dei beni trattati, così come previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 16.

Con sentenza del 10.2.2011, la CTR di Torino accoglieva l’appello limitatamente al punto relativo ai maggiori valori dei componenti positivi di reddito per omessa fatturazione di ricavi stimati in complessivi Euro 171.000,00, sulla base delle seguenti considerazioni:

a) premesso che la causa riguardava ormai solo l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), e non anche il ricorso avverso il diniego dell’istanza di rimborso presentata dalla società, le dichiarazioni raccolte dai verbalizzanti erano utilizzabili quando, come nel caso in esame, erano plurime, rese da persone oggettivamente a conoscenza dei fatti e tra loro non contrastanti;

b) i limiti imposti in fase processuale dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, non erano attribuibili alle dichiarazioni di terzi acquisite all’esterno dal processo;

c) le dichiarazioni rese dagli acquirenti costituivano presunzioni gravi, precise e concordanti atte a sostenere, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 9, comma 1, lettera d), l’accertamento induttivo adottato dall’Amministrazione;

d) infatti, i tre acquirenti che avevano rilasciato le dichiarazioni in oggetto avevano individuato con precisione una comune pratica omissiva da parte dei venditori degli immobili, consistente nell’incassare somme in nero a titolo di spese per pratiche di accatastamento;

e) in assenza di ogni specifica fatturazione, l’Ufficio aveva ritenuto correttamente di estendere la presunzione a tutte le diciotto vendite, restando nelle possibilità (e nell’onere) della ricorrente di opporsi con opportuna documentazione (in relazione alla procedura di accatastamento) o con altre considerazioni di livello presuntivo, con analoghe o superiori caratteristiche di oggettività, gravità e precisione;

f) come ulteriore conseguenza, l’Agenzia aveva recuperato, sui componenti positivi non dichiarati del reddito, l’IVA che, in mancanza di regolari fatture, non poteva essere applicata con l’aliquota agevolata del 4%.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Pibieffe s.r.l., sulla base di due motivo. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso. In prossimità dell’udienza camerale la ricorrente ha depositato memorie illustrative.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,), per non aver la CTR considerato che le dichiarazioni rese da terzi, solo in presenza di peculiari circostanze e nel concorso di ulteriori elementi di prova, possono rivestire i caratteri delle presunzioni.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la contraddittorietà della motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver la CTR reso una motivazione contraddittoria nella parte in cui prima aveva affermato che, ai fini della utilizzabilità ai fini dell’accertamento delle dichiarazioni di terzi, era necessaria la presenza di elementi sufficienti per procedere all’accertamento induttivo e, poi, non aveva individuato tali elementi ulteriori.

2.1. I due motivi, da esaminarsi, data la loro intima connessione, congiuntamente, si rivelano, per quanto di ragione, fondati.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 18 del 2000, ha dichiarato non fondata, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, commi 1 e 4, (che doveva essere) interpretato nel senso di non ricomprendere, nella previsione del diritto di prova testimoniale, anche l’inammissibilità delle dichiarazioni di terzi, eventualmente raccolte dall’amministrazione nella fase procedimentale, tenuto conto che le dichiarazioni in questione sono essenzialmente diverse dalla prova testimoniale, che è necessariamente orale e di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio. Infatti, la possibilità che le dichiarazioni rese da terzi agli organi dell’amministrazione finanziaria trovino ingresso, a carico del contribuente, in un processo non collide nè con il principio di eguaglianza (perchè il valore probatorio di dichiarazioni siffatte è solamente quello proprio degli elementi indiziari, che, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione), nè con il diritto di difesa del contribuente medesimo (perchè questi, nell’esercizio del proprio diritto di difesa, può contestare la veridicità delle dichiarazioni di terzi, raccolte dall’amministrazione nella fase procedimentale). Ove questi ne contesti la veridicità, il giudice tributario – se non ritenga che l’accertamento sia adeguatamente sorretto da altri mezzi di prova, anche a prescindere dalle predette dichiarazioni – potrà e dovrà far uso degli ampi poteri inquisitori riconosciutigli dall’art. 7, comma 1, rinnovando e, eventualmente, integrando, secondo le indicazioni delle parti e con garanzia di imparzialità, l’attività istruttoria svolta dall’ufficio.

Anche per la S.C. tali informazioni testimoniali, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari (il cui valore può essere sempre contestato dal contribuente nell’esercizio del suo diritto di difesa; Sez. 5, Sentenza n. 14774 del 15/11/2000), e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi (Sez. 5, Sentenza n. 903 del 25/01/2002).

In definitiva, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice (Sez. 5, Sentenza n. 9080 del 07/04/2017).

Le medesime, per il loro contenuto intrinseco ovvero per l’attendibilità dei riscontri offerti, possono assumere valore di presunzione grave, precisa e concordante ex art. 2729 c.c., e, cioè, di prova presuntiva idonea a fondare e motivare l’atto di accertamento (Sez. 5, Sentenza n. 16711 del 09/08/2016).

In conclusione, nel processo tributario, gli elementi indiziari, come la dichiarazione del terzo, concorrono a formare il convincimento del giudice, se confortati da altri elementi di prova; se rivestono i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c., essi danno luogo a presunzioni semplici (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54; v. Sez. 5, Sentenza n. 9876 del 05/05/2011), generalmente ammissibili nel contenzioso tributario, nonostante il divieto di prova testimoniale.

Da ultimo, il giudizio di merito avente ad oggetto l’eventuale sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, in presenza dei quali la pretesa erariale sarebbe fondata, non è sindacabile in sede di legittimità, se logicamente e congruamente motivato (Sez. 5, Sentenza n. 9402 del 20/04/2007).

2.1.1. In termini generali, in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3, , competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta.

Peraltro, in tema di accertamento delle imposte sul reddito, l’apprezzamento in ordine alla gravità, precisione e concordanza degli indizi posti a fondamento dell’accertamento effettuato con metodo presuntivo attiene alla valutazione dei mezzi di prova, ed è pertanto rimesso in via esclusiva al giudice di merito, salvo lo scrutinio riguardo alla congruità della relativa motivazione (Sez. 5, Sentenza n. 1715 del 26/01/2007).

Nella fattispecie in esame la CTR ha apoditticamente attribuito i connotati della gravità, della precisione e della concordanza alle dichiarazioni rese da tre degli acquirenti delle diciotto villette, avuto riguardo all’asserito incasso di somme di denaro “in nero” a titolo di spese per pratiche di accatastamento.

In particolare, la motivazione adottata appare incongrua dal punto di vista logico e non rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni, se si considera che si fonda in via esclusiva sulle dichiarazioni rese da terzi, in un numero (tre) limitato rispetto ai soggetti complessivamente coinvolti (diciotto), senza operare alcun riferimento alle modalità, alle tempistiche ed al contesto spazio-temporale dei pagamenti.

Di contro, la stessa CTR ha posto in rilievo la lacunosità delle dichiarazioni (“espressioni dubitative “a mia memoria non ricordo””), pur cercando di giustificarla.

Per quanto i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, debbano essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, nel caso di specie difetta sia la gravità che la precisione.

Inoltre, l’ulteriore elemento valorizzato dalla CTR (il non aver la società prodotto atti sufficienti a smentire le conclusioni raggiunte dall’Ufficio) è di per sè privo di rilievo, atteso che la contribuente, in assenza di prestazioni rese “in nero”, giammai avrebbe potuto fornire la dimostrazione di un fatto negativo.

Essendosi al cospetto, allora, di meri elementi indiziari, la CTR avrebbe dovuto valutare se fossero esistenti ulteriori elementi di riscontro idonei a supportarli, se del caso ricorrendo ai suoi poteri inquisitori.

3. In definitiva, il ricorso va accolto.

La sentenza va, pertanto, cassata e la causa rinviata, anche per le spese della presente fase di giudizio, alla CTR in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese della presente fase di giudizio, alla CTR di Torino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 5 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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