Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11389 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. I, 12/06/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 12/06/2020), n.11389

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Presidente di Sez. –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23041/2018 proposto da:

E.N., elettivamente domiciliato in Roma Via C. Dossi, 45

presso lo studio dell’avvocato Facilla Giovanni Maria che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno 80185690585;

– intimato –

avverso il decreto n. 3849 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

06/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/10/2019 dal Pres. di Sez. FRASCA RAFFAELE.

Fatto

RILEVATO

che:

1. E.N., cittadino della Nigeria, ha proposto ricorso per

cassazione contro il Ministero dell’Interno avverso il decreto del 6 luglio 2018, con cui il Tribunale di Venezia, Sezione Specializzata in Materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’UE, ha respinto il suo ricorso contro il provvedimento della competente commissione notificatogli l’11 agosto 2017 che aveva respinto la sua domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato e quelle gradatamente subordinate di riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari si sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

2. Il Ministero intimato non ha resistito.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si deduce “violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9 10 e 11”.

Vi si sostiene che “con ricorso di primo grado” il ricorrente aveva lamentato “la mancata concessione della fissazione di udienza ai sensi dell’art. 3-bis, commi 9, 10 e 11”, motivandola con il fatto che non vi era stata videoregistrazione della sua audizione da parte della Commissione Territoriale.

Sulla base di tale prospettazione si svolgono considerazioni a sostegno della necessità dell’audizione, basandole sia sull’analisi della normativa evocata che della motivazione di Cass. n. 17717 del 2018.

1.1. Il motivo – che, al di là dell’espressione usata, parrebbe da intendersi nel senso che con il ricorso introduttivo della tutela giurisdizionale si era lamentato la mancanza di videoregistrazione e conseguentemente chiesta la fissazione di udienza per l’audizione personale del ricorrente – è inammissibile.

Lo è in primo luogo perchè viola la norma dell’art. 366 c.p.c., n. 6, là dove non riproduce nè direttamente nè indirettamente, in questo secondo caso, precisando la parte dell’atto oggetto di indiretta riproduzione, la parte del detto ricorso in cui il ricorrente si sarebbe lamentato della mancanza della videoregistrazione ed avrebbe chiesto la fissazione dell’udienza per la sua audizione personale.

La suddetta norma imponeva al ricorrente di specificare quanto indicato, non potendo egli delegare la Corte a procedere di sua iniziativa al riscontro nell’atto di quanto potrebbe sostenere l’assunto del motivo.

1.2. Il motivo, in ogni caso, appare inammissibile per un’alta gradata ragione: a pagina 6 il Tribunale dice espressamente (rigo quarto) che il ricorrente sarebbe stato “sentito in corso di causa”.

E’ palese che parte ricorrente avrebbe dovuto necessariamente censurare tale espressa affermazione, mentre se ne è assolutamente disinteressato. Ne segue che il motivo prospetta una doglianza che si pone in netto contrasto con la motivazione astenendosi dal criticarla e tanto evidenzia la sua inammissibilità, in quanto il motivo di ricorso per cassazione, come ogni motivo di impugnazione, deve necessariamente correlarsi alla motivazione e, dunque, criticarla se essa contiene affermazioni incompatibili con la sua prospettazione.

2. Il secondo motivo deduce testualmente “erronea e parziale valutazione dei fatti dichiarati dal ricorrente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

La sua illustrazione si articola, dopo alcune deduzioni nella pagina 8 e fino alla metà della pagina successiva in quelli che sembrerebbero sub motivi e che sono numerati a partire dal n. 3 e fino al n. 8, ma omettendosi il n. 5, rispettivamente con le seguenti indicazioni: “sulla protezione sussidiaria” (3), “sulla sussistenza del diritto di asilo” (4), “sulla sussistenza del diritto di protezione umanitaria” (6), “applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, e art. 5, comma 6” (7), “Periculum in mora” (8).

Tutta l’illustrazione, in disparte l’invocazione nella intestazione del motivo del paradigma non più vigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5 non solo non contiene l’indicazione del o dei fatti controversi cui nei sub-motivi ci si dovrebbe riferire come fatti omessi, individuando dove e come erano stati dedotti, e, dunque, si pone completamente al di fuori dei criteri indicati dalle Sezioni Unite nelle sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 per la deduzione del vizio di cui al detto n. 5, ma si articola pure con considerazioni del tutto generiche e prive di riferimento alla concreta vicenda riferibile al ricorrente siccome da lui dedotta in giudizio.

Sicchè, il motivo ed i sub motivi non sfuggono ad una censura di inammissibilità per genericità, alla luce del principio di diritto consolidato affermato da Cass. n. 4741 del 2005, oggi ribadito, in motivazione non massimata, da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017.

3. Il ricorso è, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

Stante il tenore della pronuncia (declaratoria della inammissibilità del ricorso), va dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto”. Spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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