Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11387 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. I, 12/06/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 12/06/2020), n.11387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Presidente di Sez. –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22960/2018 proposto da:

I.S., rappresentato e difeso dall’Avvocato Nicola

Canestrini, elettivamente domiciliato ai sensi dell’art. 366 c.p.c.,

u.c.;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno ((OMISSIS)), rappresentato e difeso

dall’Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliato in

Roma, Via Dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 3616 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

20/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/10/2019 dal Rel. Pres. di Sez. FRASCA RAFFAELE.

Fatto

RILEVATO

che:

1. I.S., cittadino della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione contro il Ministero dell’Interno avverso il decreto del 20 giugno 2018, con cui il Tribunale di Venezia, Sezione Specializzata in Materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’UE, ha respinto il suo ricorso contro il provvedimento della competente commissione notificatogli il 12 settembre 2017 che aveva respinto la sua domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato e quelle gradatamente subordinate di riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e di riconoscimento del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari si sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

2. Il Ministero intimato ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce: “violazione o falsa applicazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) delle norme relative al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), f) e art. 3 commi 4 e 5. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).”.

L’illustrazione del motivo – che concerne la domanda relativa al riconoscimento dello status di rifugiato – inizia con la riproduzione (contenuta nelle pagine dalla quinta a metà della settima del ricorso) di una parte della motivazione della sentenza impugnata, quella in essa inizia con il quindicesimo rigo dalla pagina 4 e termina con il sedicesimo rigo della pagina 6.

Dopo tale riproduzione vengono svolte nelle ultime dieci righe della pagina 7 e fino al quartultimo rigo della pagina 9 considerazioni che iniziano con l’assunto che “tale decisione non è condivisibile giuridicamente ed ha omesso di fornire ogni motivazione anche rispetto alle evidenze risultanti dai documenti prodotto in causa”. Dopo di che, si assume: “nel caso di specie, si consideri come il signor I. sia dovuto fuggire immediatamente dopo aver appreso la notizia della morte del fratello della matrigna”. Di seguito, dopo aver enunciato che il ricorrente riferiva nell’audizione che la matrigna “apparteneva ad una famiglia molto influente della zona”, si evocano risultanze internazionali circa l’esistenza in Nigeria di una situazione di corruzione endemica della polizia e di ricorso alla tortura nonchè alla richiesta di tangenti, e ciò per sostenere che sarebbe chiaro cosa avrebbe rischiato il ricorrente se avesse sporto denuncia.

Di seguito ancora il motivo svolge critiche a due considerazioni che avrebbe fatto la Commissione Territoriale Amministrativa.

1.1. La struttura del motivo ne palesa, già sulla base della sola sua lettura, l’inammissibilità e sotto due distinti profili.

Il primo profilo concerne la censura di violazione delle norme di diritto indicate nella intestazione e si evidenzia perchè l’illustrazione del motivo non contiene alcuna enunciazione che spieghi come e perchè vi sarebbe stata la denunciata violazione o falsa loro applicazione.

Il secondo profilo riguarda entrambe le censure, cioè sua quella in iure che quella ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e si coglie nel senso che il ricorrente svolge le sue considerazioni senza alcun riferimento alla motivazione del decreto che pure ha riportato ed anzi, come si è detto, nelle pagine 8 e 9 svolge appunti non al decreto impugnato ma a considerazioni della Commissione Amministrativa.

Ne segue che il motivo è inidoneo allo scopo, in quanto un motivo di ricorso, tanto più quando lo stesso ricorrente esordisce nella sua illustrazione riportando la motivazione del provvedimento impugnato, deve necessariamente svolgere argomentazioni che di essa si facciano carico e che, dunque, ad essa si correlino (in termini Cass., Sez. Un. 7074 del 2017, che ribadisce il consolidato principio di diritto di cui a Cass. n. 359 del 2005 e numerose conformi).

1.2. Il Collegio rileva, inoltre, che, se dal ricorso si passa poi alla lettura della sentenza, emerge un’ulteriore ragione di inammissibilità sempre alla stregua del principio di diritto appena richiamato.

Prima della parte di motivazione che il ricorrente ha riprodotto, che, del resto, inizia con l’espressione “non sussistono pertanto i presupposti di cui all’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951…” – la quale evidenzia che ciò che si enuncia di seguito consegue ed è giustificato da quanto affermato precedentemente – il decreto, dopo avere riferito alla pagina 3 delle dichiarazioni rese con l’assistenza de difensore, che vengono indirettamente richiamate, nelle ultime tre righe della stessa pagina dice di condividere “la valutazione di inverosimiglianza del fatto narrato, considerato che per 15 anni il ricorrente ha convissuto con la matrigna senza problemi ed è inverosimile che solo dopo tanto tempo siano insorti i contrasti”, e, quindi, dal primo rigo della pagina 4 sino all’inizio del passo riportato dal ricorrente con l’incipit di cui si è detto, ulteriormente spiega la valutazione inverosimiglianza.

Ebbene, poichè la motivazione in questione è ignorata nel motivo e quella che esso ha riportato l’ha come base, è evidente ancora di più l’inammissibilità del motivo per carenza, anche sul piano estrinseco (cioè della lettura del decreto) di correlazione alla motivazione del decreto.

2. Con il secondo motivo si prospetta: “violazione o falsa applicazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) delle norme relative al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

Anche questo motivo inizia riproducendo una parte della motivazione del decreto, quella che inizia con le ultime otto righe della pagina 6 e termina con le prime cinque della pagina successiva.

La motivazione riportata è quella che il decreto enuncia per negare la sussistenza delle condizioni della protezione sussidiaria.

2.1. Il motivo è nuovamente inammissibile.

Occorre considerare che tale motivazione inizia con un incipit che suona così: “non sussiste neppure, per le medesime ragioni, alcun motivo di persecuzione rilevante ai fini della protezione sussidiaria”.

E’ palese che tale incipit assume come premessa giustificativa proprio la motivazione resa in precedenza sullo status di rifugiato, dato che inizia proprio dove finisce la parte di essa riprodotta nel primo motivo.

Ne segue che anche in tal caso il motivo pretende di svolgere una critica ad una motivazione, quella che riproduce, che ha sempre come fondamento quella enunciata a proposito dello status di rifugiato, la quale nuovamente non risulta nemmeno formalmente considerata quanto alla parte che nel primo motivo il ricorrente non ha riprodotto (quella sulla non credibilità della vicenda raccontata) e quanto a quest’ultima efficacemente criticata, come è risultato esaminandosi il primo motivo.

E’ appena il caso di ricordare allora che “In materia di protezione internazionale, il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trova applicazione tanto con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello “status” di rifugiato, tanto con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle ipotesi contemplate dall’art. 14 dello stesso D.Lgs., con la conseguenza che, ove detto vaglio abbia esito negativo, l’autorità incaricata di esaminare la domanda non deve procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine” (Cass. (ord.) n. 15794 del 2019).

E’ evidente che consolidatasi la motivazione sulla non credibilità del ricorrente, la motivazione sulla protezione sussidiaria che pure su di essa si basava risulta a sua volta non impugnata.

Ed anzi lo sarebbe a prescindere dal principio di diritto evocato.

Il motivo, del resto, dopo la riproduzione della parte di motivazione di cui si è detto, svolge rilievi per sostenere che vi sarebbero situazioni di criticità in Nigeria, i quali prescindono del tutto dalla loro valutazione con riferimento alla situazione di non credibilità del racconto del ricorrente.

Il motivo è, pertanto, inammissibile.

3. Con il terzo motivo si denuncia “in via gradata” rispetto agli altri motivi: “violazione o falsa applicazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) delle norme relative al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19 comma 2. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

Anche questo motivo inizia con il riprodurre – dalla metà della pagina 16 alla metà della 18 del ricorso – la motivazione, questa volta per intero, resa dal Tribunale a proposito della protezione umanitaria.

Dopo di che enuncia che “l’ordinanza (scilicet: il decreto) è criticabile per il seguenti motivi”.

3.1. Senonchè, la successiva esposizione, non diversamente da quanto evidenziato per quella del primo motivo, si connota per l’assoluta carenza di attività di critica in ordine alla violazione delle norme di diritto indicate nella intestazione: l’illustrazione del motivo non contiene alcuna enunciazione che spieghi come e perchè vi sarebbe stata la denunciata violazione o falsa loro applicazione. L’illustrazione dalla metà della pagina 18 del ricorso al quartultimo rigo della pagina 19 richiama principi giurisprudenziali. Di seguito richiede di considerare “gli elementi che seguono”, che sono rappresentati: a) da quelle che si assumono come le già svolte considerazioni sulla situazione del paese di provenienza; b) dall’assunto che il ricorrente “soffre di forti disturbi di natura psichiatrica causategli dalle esperienze traumatiche vissute nel Paese d’origine e nel corso del viaggio che l’ha portato in Italia”, per il che, però, si rinvia a quanto il ricorrente ha affermato in sede di audizione dinanzi alla Commissione Amministrativa e da documentazione medica, indicata come doc. 10, che avrebbe evidenziato che egli è in terapia cronica con farmaci antidepressivi; c) dalla citazione di due precedenti di merito che danno rilievo alle condizioni rischio sotto il profilo sanitario del richiedente nel paese d’origine nel caso di rimpatrio; dall’assunto che sarebbero da considerare “gli sforzi fatti dal richiedente, nonostante lo stato di patologica fragilità mentale prima accennato, per integrarsi nel territorio di residenza”, per il che si rinvia alla “frequentazione di lingua italiana” ed ai “contatti avuti con il centro locale per l’impiego”, come dai docc. n. 14 e 15.

E’ palese l’assenza di attività dimostrativa della violazione delle norme di diritto.

Non solo: i documenti evocati sono indicati senza il rispetto dell’onere di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

Comunque, non vi è alcun riferimento alla motivazione del decreto che pure si è riprodotta.

Essa, in particolare, ha osservato che “la documentazione medica prodotta sub doc. 10 non attesta invece alcuna grave patologia ma si limita a descrivere sintomi (tosse, peraltro non accompagnata da un quadro clinico di malattia) e stato di leve depressione non rilevanti ai fini della protezione richiesta”.

La stessa motivazione dice irrilevante lo svolgimento di attività lavorativa o di volontariato o di apprendimento della lingua italiana.

Si rileva ancora che la censura ai sensi dell’art. 360, n. 5 alla luce di tale motivazione, è priva di fondamento, atteso che le circostanze che il ricorrente indica risultano considerate, là dove il ricorrente non può pretendere in questa sede una loro rivalutazione in fatto.

In fine, non è senza rilievo il fatto che il ricorrente trascuri anche di riferire gli esatti termini in cui di esse aveva prospettato al Tribunale quelle circostanze, al d là della loro generica indicazione.

Il motivo non può dunque, trovare accoglimento.

4. Il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

Stante il tenore della pronuncia (di inammissibilità del ricorso), va dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto”. Spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione al resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro duemilacento, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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