Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1138 del 19/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 19/01/2011, (ud. 09/11/2010, dep. 19/01/2011), n.1138

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22457-2007 proposto da:

M.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 14,

presso lo studio dell’avvocato DIECI UMBERTO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FLORINO LUCIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

OCEAN S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo studio

dell’avvocato BARBANTINI MARIA TERESA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PAROLETTI CAMILLO, giusta procura speciale

atto Notar ANNARUMMA GIUSEPPE di BRESCIA del 11/09/2007 rep. n.

87462;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 846/2006 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 24/08/2006 R.G.N. 586/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato PAROLETTI CAMILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.E. adiva il Pretore di La Spezia impugnando il licenziamento intimatogli in data 1 marzo 1985 dall’allora società S. Giorgio Elettrodomestici – ora Ocean -.

Detto Pretore sospendeva ex art. 295 c.p.c. il processo in quanto il recesso era stato esercitato in relazione a fatti per i quali il M. era stato sottoposto a procedimento penale e a carcerazione preventiva.

intervenuta sentenza assolutoria passata in giudicato, il Tribunale di Genova, innanzi al quale la causa di lavoro era stata riassunta, dichiarava l’illegittimità del licenziamento con condanna della società Ocean al pagamento della retribuzione non corrisposta e dell’indennità di fine rapporto, nonchè di quella supplementare.

Respingeva, però, il giudice di La Spezia la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro azionata ex art. 102 bis disp. att. c.p.p., proposta per la prima volta in sede di riassunzione, in quanto la norma non trovava applicazione ratione temporis e, comunque, il licenziamento non risultava essere stato intimato esclusivamente in ragione dell’avvenuta carcerazione. Rigettava, altresì, detto giudice, la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro prospettata in relazione alla attribuzione solo in via convenzionale della qualifica dirigenziale.

La Corte di Appello di Genova, su impugnazione del M., confermava la reiezione della domanda di reintegrazione nel posto di lavoro.

I giudici di appello, per quello che interessa in questa sede, ponevano a base del decisum il rilievo fondante che l’istituto della reintegrazione nel posto di lavoro previsto dal citato art. 102 bis disp. att. c.p.p. trovava applicazione nella sola ipotesi in cui il licenziamento fosse stato irrogato per ragioni esclusivamente connesse alla patita misura cautelare della custodia in carcere o degli arresti domiciliari nell’ambito di un procedimento penale conclusosi con pronuncia di assoluzione, ecc.. La richiamata norma, invece, secondo predetti giudici, non trovava applicazione quando, come nella specie, il licenziamento era stato determinato da ragioni attinenti il rapporto di lavoro ancorchè nella contestazione disciplinare fosse trasfuso l’addebito mosso in sede penale.

Aggiungeva, inoltre, la Corte del merito, che la reintegrazione di cui alla norma di rito richiamata non trovava applicazione anche qualora il licenziamento fosse stato assunto dal datore di lavoro come mero pretesto per liberarsi di un dipendente in esubero o sgradito.

Avverso questa sentenza il M. ricorre in cassazione sulla base di un’unica censura.

Resiste con controricorso la società intimata che deposita memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unica censura il M., deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 102 bis disp. att. c.p.p. nonchè carenza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, pone, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: “si violi, o meno,il disposto dell’art. 102 bis disp. att. c.p.p., e sia, comunque esente da contraddizione una sentenza, come quella della Corte di Appello di Genova, oggetto di ricorso, che abbia escluso l’applicazione della citata norma codicistica, anche quando gli ulteriori motivi di contestazione siano stati assunti come mero pretesto per il datore di lavoro, consapevole della loro infondatezza ed abbia, ciononostante, individuato le ragioni vere del licenziamento in quelle attinenti al rapporto di lavoro e alle esigenze dell’impresa, e non alla carcerazione preventiva, utilizzata, secondo la su indicata sentenza, come mero pretesto”.

La censura è infondata.

Invero è giurisprudenza di questa Corte, pienamente condivisa dal Collegio, che l’art. 102 bis disp. att. c.p.p. nel prevedere che chi sia stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere ovvero a quella degli arresti domiciliari ha diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro qualora venga pronunciata in suo favore sentenza di assoluzione, di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero venga disposto provvedimento di archiviazione presuppone che il licenziamento sia stato determinato dallo stretto rapporto di causalità con la detenzione, e cioè che il recesso del datore di lavoro sia fondato esclusivamente sul fattore obiettivo dello status custodiae del prestatore d’opera con la conseguenza che la domanda fondata sulla citata disposizione ha ad oggetto fatti costitutivi diversi rispetto all’impugnativa del licenziamento per fatti disciplinari o per impossibilità sopravvenuta ed è inammissibile se proposta per la prima volta in appello, nè può care titolo alla reintegrazione nel posto di lavoro ove il licenziamento risulti in via autonoma giustificato sulla base di elementi ulteriori rispetto alla mera assenza del lavoratore determinata da provvedimento cautelare (V. per tutte Cass. 6 giugno 2008 n. 15070 e Cass. 1 aprile 2003 n. 4935).

La sentenza impugnata che si è adeguata a tale principio è, quindi, corretta in diritto.

D’altro canto il ricorrente non allega, nonostante nella sentenza impugnata si affermi che la domanda di reintegrazione ex art. 102 bis disp. att. c.p.p. sia stata proposta per la prima volta solo in sede di riassunzione, di averla ritualmente e tempestivamente azionata con l’atto introduttivo del giudizio.

A tanto aggiungasi che il ricorrente muove dall’erroneo presupposto in base il quale la Corte di Appello avrebbe accertato che la carcerazione preventiva sarebbe stata utilizzata dal datore di lavoro quale mero pretesto del licenziamento.

Tale accertamento non risulta tuttavia, condotto dalla Corte del merito la quale si è limitata ad osservare che “Neppure qualora, come viene dedotto dall’appellante, gli addebiti formulati in sede penale, vengano assunti come mero pretesto dal datore di lavoro (consapevole della loro non fondatezza) per mascherare altre diverse ragioni, dirette a liberarsi di un dipendente ritenuto sgradito o in esubero, si rientra nell’ipotesi dell’art. 102 bis disp. att. c.p.p..

Infatti anche ad accedere a tale assunto, bisogna tuttavia riconoscere che le ragioni vere del licenziamento attengono al rapporto di lavoro e alle esigenze dell’impresa e non alla carcerazione preventiva che è stata utilizzata come mero pretesto”.

Dalla, su riportata motivazione, relativa al punto in questione, emerge con evidenza che l’asserzione della Corte di Appello prescinde del tutto da una verifica in concreto della pretestuosità del licenziamento ed è volta unicamente a contestare in thesi la prospettazione del M. secondo la quale la reintegrazione in parola troverebbe applicazione anche qualora la carcerazione fosse utilizzata quale pretesto per liberarsi di un lavoratore scomodo o in esubero.

In conclusione il ricorso va respinto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 28,00 oltre Euro 3.000,00 per onorario ed oltre spese, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2011

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