Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1138 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 17/01/2019, (ud. 25/09/2018, dep. 17/01/2019), n.1138

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. ZOSO Liliana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14560-2011 proposto da:

F.F., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS) e residente a

(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso dagli Avv.ti

Rosario Capone del Foro di Pordenone (C.F.: CPN RSR 41H12 I618G) e

Simonetta De Sanctis Mangelli (C.F.: DSN SNT 50A42 H501P) del Foro

di Roma ed elettivamente domiciliato presso lo studio di

quest’ultima, in Roma alla Via LPasubio n. 4, giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: 80224030587), nei cui uffici domicilia per legge in Roma,

alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 92/01/2010 emessa dalla CTR di Trieste in data

27/09/2010 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella udienza camerale del

25/09/2018 dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

Fatto

Ritenuto in fatto

Con atto di appello depositato il 9.5.2008 l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza emessa il 20.11.2007 dalla CTP di Pordenone che aveva accolto i ricorsi n. 319/07 (avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS)) e n. 320/07 (avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS)) afferenti l’anno di imposta 2000, a seguito della mancata presentazione dell’annuale dichiarazione dei redditi (modello Unico 2001) per l’attività dell’impresa individuale P.M. – “Paris Disco Varietà” verificata dalla Guardia di Finanza, come da P.V.C, redatto l’8.11.2004, risultata gestita di fatto da F.F..

I giudici di primo grado avevano ritenuto le circostanze poste alla base della titolarità di fatto della ditta in capo a quest’ultimo (vale a dire, la dichiarazione unilaterale del Protti, il dato che analogo accertamento per l’anno 1999 fondato sullo stesso p.v. non fosse stato contestato dal F., che lo aveva pagato mediante F24, ed un telegramma a firma del P.) insufficienti a tal fine, considerando, per l’effetto, ingiustificato l’accertamento nei suoi confronti.

L’appellante Ufficio contestava la sentenza in quanto, a suo dire, contraddittoria e viziata nella motivazione.

Con sentenza del 27.9.2010, la CTR di Trieste accoglieva il gravame, sulla base della seguente considerazione:

la simulazione relativa in ordine alla titolarità dell’attività di impresa era desumibile sia dalla condizione psico-fisica medicalmente accertata del P. (dalla quale derivava, in modo assoluto, la sua inidoneità all’assunzione dell’impegno relativo ad una gestione di carattere economico), sia, in modo determinante, dal fatto che il contribuente F. aveva già ottemperato all’obbligo di imposta per il primo anno del biennio, ritenendo di contro contestabile quello relativo all’anno successivo ed oggetto della sentenza.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso F.F., sulla base di due motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,) e l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,), per aver la CTR riconosciuto i connotati della gravità, precisione e concordanza ai meri indizi posti alla base dell’avviso di accertamento.

1.1. Il motivo è infondato.

L’opposizione all’ordinanza irrogativa di una sanzione amministrativa introduce un ordinario giudizio di cognizione sul fondamento della pretesa dell’autorità amministrativa, cui spetta l’onere di dimostrarne gli elementi costitutivi. Tuttavia, detta autorità può avvalersi di presunzioni che trasferiscono a carico dell’intimato l’onere della prova contraria, purchè i fatti sui quali esse si fondano siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza del fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilità e secondo regole di esperienza, restando il relativo giudizio insindacabile in sede di legittimità se convenientemente motivato/ alla stregua di detti criteri (Sez. 1, Sentenza n. 2363 del 04/02/2005). Affinchè sia riconoscibile valore giuridico alle presunzioni semplici è necessario che gli elementi presi in considerazione siano gravi, precisi e concordanti, ovvero devono essere tali da lasciar apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione tra i fatti accertati e quelli ignoti secondo le regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità, senza che sia consentito al giudice, in mancanza di un fatto noto, fare riferimento ad un fatto presunto e far derivare da questo un’altra presunzione (Sez. 50, Sentenza n. 14115 del 20/06/2006). Il relativo accertamento, ripetesi, non è censurabile in cassazione se sorretto da motivazione immune da vizi logici (Sez. 1, Sentenza n. 13169 del 16/07/2004).

1.1.1. L’Agenzia delle Entrate ha fondato il fatto (ignoto) da provarsi (effettiva titolarità in capo al F. dell’impresa individuale formalmente intestata a P.M.) su due fatti noti: a) la condizione psico-fisica medicalmente accertata del P. (stato abituale di intossicazione derivante dall’abuso di bevande alcoliche), incompatibile con l’assunzione di un impegno relativo ad una gestione di carattere economico; b) la circostanza che il F. avesse già pagato l’imposta con riferimento al primo anno (1999) del biennio (1999-2000) oggetto di accertamento (cfr. pagg. 2-3 della sentenza impugnata).

Quanto al primo indizio, la censura coglie nel segno, atteso che si è al cospetto di una praesumptio de praesumptio (inammissibile, non potendosi valorizzare una presunzione come fatto noto, per derivarne da essa un’altra presunzione: Sez. 1, Sentenza n. 5045 del 09/04/2002), perchè dalla presunzione della incapacità a gestire un’impresa viene desunta la simulazione della intestazione formale della sua titolarità in capo al P..

Tuttavia, la prova di un determinato fatto può anche fondarsi su un’unica presunzione, allorquando sia grave e precisa (cfr. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3276 del 12/02/2018, secondo cui, in tema di accertamento tributario, l’Amministrazione finanziaria può fondare la propria pretesa anche su un unico indizio, se grave e preciso, cioè dotato di elevata valenza probabilistica).

D’altra parte, che la CTR abbia basato la sua decisione soprattutto sul detto elemento lo si evince dall’incipit dell’ultimo passaggio logico della motivazione (“Determinante, al proposito, si evidenzia come elemento probatorio il fatto che (…)”).

Con riferimento a tale profilo, il ricorrente si è limitato apoditticamente a sostenere che il pagamento dell’imposta da lui effettuato rappresenta un “elemento di per sè neutro” che “non implica riconoscimento della “effettiva titolarità dell’impresa in capo a lui” (pag. 8 del ricorso).

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 12 dello Statuto del contribuente (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,), l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,) e la nullità della sentenza o del procedimento per omessa pronuncia (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che egli non era mai stato posto a conoscenza dell’esistenza dell’attività di accertamento nei confronti della ditta facente capo al P..

2.1. Il motivo è inammissibile.

Fermo restando che non vi è cenno della questione nella sentenza impugnata (con la conseguenza che il ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale l’avesse sollevata), il ricorrente avrebbe, nel rispetto del principio di autosufficienza, dovuto dimostrare di aver tempestivamente riproposto la stessa in appello.

Nel processo tributario, infatti, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all’appellato e non all’appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l’onere dell’espressa riproposizione riguarda, nonostante l’impiego della generica espressione “non accolta”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato (ad esempio, perchè ritenute, come nel caso di specie, assorbite; Sez. 5, Sentenza n. 14534 del 06/06/2018 e Sez. 5, Sentenza n. 29368 del 07/12/2017).

3. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese della presente fase di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della resistente, delle spese della presente fase di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre rimborso del 15% per spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 5 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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