Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11379 del 24/05/2011
Cassazione civile sez. III, 24/05/2011, (ud. 08/04/2011, dep. 24/05/2011), n.11379
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SEGRETO Antonio – Presidente –
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –
Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
S.C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DELLA GIULIANA 83/A, presso lo studio dell’avvocato
ZIPPARRO WLADIMIRA, rappresentato e difeso dall’avvocato RULLO
DOMENICO giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
A.L.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 66/2006 del GIUDICE DI PACE di RHO, emessa il
5/1/2006, depositata il 11/01/2006 R.G.N. 476/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
08/04/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;
udito l’Avvocato ZIPPARRO WLADIMIRA (per delega dell’Avv. RULLO
DOMENICO);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
PRATIS Pierfelice che ha concluso con il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Avv. A.L., nella qualità di procuratore di sè medesimo conveniva in giudizio davanti al Giudice di Pace di Rho S. C. per ottenere il pagamento della complessiva somma di Euro 707,00 a titolo di saldo sul compenso a lui dovuto per prestazione d’opera professionale e per sentir condannare la stessa al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c..
Nel giudizio avanti al Giudice di Pace A. deduceva di avere ricevuto incarico da S.C., quale titolare dell’omonima impresa edile, di assisterla e tutelarla nel giudizio di appello avanti alla Corte distrettuale di Milano, contro il Condominio di via (OMISSIS), nonchè contro M.M.M..
Aggiungeva di avere inoltrato in data 10.1.2005 alla medesima S., a seguito di rinuncia e revoca del mandato a suo tempo conferitogli, raccomandata a.r. unitamente a nota pro forma per l’attività ed assistenza giudiziale sino a quel momento prestata, chiedendo l’importo di Euro 707,00; precisava l’attore che detto importo era dovuto quale saldo derivante dall’importo complessivo pari ad Euro 2.207,19, detratto un acconto di Euro 1.500.00, a suo tempo versato a titolo di fondo spese e acconto competenze.
La S. contestava quanto ex adverso dedotto e rilevava, a sostegno delle proprie contestazioni, che la somma di Euro 1.500,00, di cui riferisce parte attrice, nella realtà dei fatti era il compenso concordato preventivamente tra le parti per il definitivo saldo della medesima pratica.
Il giudice di primo grado con pronuncia, al sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, condannava S.C. al pagamento in favore dell’Avv. A.L. della somma complessiva di Euro 400,00, oltre accessori, a titolo di ulteriore rimborso spese (oltre ad Euro 1.500,00, già pagati) per recesso del cliente dal rapporto professionale, relativo ad appello, ritenendo che il recesso faceva venire meno gli accordi sull’onorario dovuto. Il G.P. interpretava l’accordo nel senso che, oltre alla somma di Euro 1.500,00 all’Avvocato competeva anche quanto il Giudice d’Appello gli avesse liquidato in caso di vittoria per le spese legali.
Propone ricorso per cassazione S.C.F. con due motivi.
Parte intimata non ha svolto attività difensiva.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo parte ricorrente denuncia omessa e/o contraddittoria motivazione, sotto triplice profilo, su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5).
Lamenta parte ricorrente che nella sentenza impugnata non vi è traccia nè del principio equitativo che il giudice di pace ha inteso applicare, nè tantomeno, delle ragioni e/o dell’iter logico seguito per giustificarne l’applicazione. Lamenta altresì che il Giudice di Pace nel quantificare, in via equitativa, le somme dovute dall’odierna ricorrente, ha argomentato il proprio giudizio sulla base di presupposti di fatto errati.
Il motivo è infondato.
Infatti, contro le sentenze del giudice di pace in cause di valore non superiore ad Euro 1.100,00, e perciò da decidere secondo equità, il ricorso per cassazione è ammesso solo per il mancato rispetto delle regole processuali, per violazione di norme costituzionali e comunitarie (in quanto di rango superiore alla legge ordinaria), ovvero per violazione dei principi informatori della materia, e per carenza assoluta o mera apparenza della motivazione o di radicale ed insanabile contraddittorietà, non essendo ammissibile il ricorso per violazione o falsa applicazione di legge, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (Cass., Sez. Un. 15 ottobre 1999, n. 716, coordinata con la sentenza additiva della Corte Cost. 14.7.2004, n. 206).
La suddetta motivazione non è nè apparente nè intimamente contraddittoria.
Inoltre, la censura di erronea individuazione dei presupposti di fatto si risolve in vizio revocatorio, azionabile ex art. 395 c.p.c., n. 4.
Con il secondo motivo si denuncia violazione dei principi informatori in materia di obbligazioni con particolare riferimento al principio di libertà di iniziativa contrattuale e di preminenza della volontà dei contraenti in relazione all’assetto dei propri interessi (art. 360 c.p.c., n. 3).
Secondo parte ricorrente la decisione del Giudice di Pace contrasta con i principi informatori cui il legislatore si ispira in materia di obbligazioni, considerata la preminenza che viene attribuita in detta materia alla volontà espressa dalle parti in relazione all’assetto dei propri interessi ed agli effetti del negozio giuridico posto in essere (v. art. 1372 c.c. secondo il quale “il contratto ha forza di legge fra le parti”). La suddetta decisione, si afferma, contrasta con il suddetto principio nel momento in cui afferma che l’opera eseguita dall’avvocato doveva essere quantificata indipendentemente dalla quantificazione del compenso per attività professionale come pattuita fra le parti.
Il motivo è infondato.
Premesso che il principio informatore della materia, non è la regola individuata dal legislatore, ma il principio, cui lo stesso si è ispirato, per far valere la violazione dello stesso è necessario che il ricorso indichi con chiarezza e specificamente quale sia il principio che si assume violato (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) e come la regola equitativa individuata dal giudice di pace si ponga in contrasto con tale regola (Cass. 11.1.2005, n. 382). Nella fattispecie il giudice pace non esclude che il contratto abbia valore di legge tra le parti, ma ritiene che la revoca del mandato abbia fatto venir meno il contratto, che non è giunto alla sua normale conclusione.
Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere rigettato mentre in assenza di attività difensiva di parte intimata non vi è luogo a disporre sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso. Non vi è luogo a disporre sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 8 aprile 2011.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2011