Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11378 del 11/05/2010

Cassazione civile sez. III, 11/05/2010, (ud. 20/04/2010, dep. 11/05/2010), n.11378

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9144/2006 proposto da:

S.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA FLAMINIA 395, presso lo studio dell’avvocato DE

VINCENTIIS RESTA MARCO, rappresentata e difesa dall’avvocato CARDELLO

Guido con delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI

Guido Francesco, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

SOLARO LUIGI con delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1658/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

Sezione Seconda Civile, emessa il 17/06/2005; depositata il

25/10/2005; R.G.N. 2422/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

20/04/2010 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato FRANZIN LUDOVICA (per delega Avvocato ROMANELLI

FRANCESCO);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 24 luglio 1997, S.M. ha convenuto in giudizio, innanzi al Pretore di Asti, A.M.G..

Premesso di essere proprietaria di fondi nel comune di Calosso confinanti con altro, acquistato dalla A. con atto (OMISSIS), di possedere tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi di cui alla L. n. 590 del 1965, art. 8 e L. n. 817 del 1971, art. 7 – in particolare di essere coltivatrice diretta, in possesso ultrabiennale dei fondi suindicati, di non aver venduto fondi rustici nel biennio precedente e che il fondo acquistato dalla A. unito ai propri aveva una superficie non superiore al triplo della capacità lavorativa della sua famiglia – e di non aver ricevuto alcuna comunicazione prima della stipula del rogito (OMISSIS) si da poter esercitare il diritto di prelazione, l’attrice ha chiesto fosse dichiarato l’avvenuto trasferimento a suo favore del terreno acquistato dall’ A..

Costituitasi in giudizio la convenuta ha resistito alla avversa domanda, negando che l’attrice possedesse i requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla legge per l’esercizio del diritto di prelazione e, in particolare, che si trattasse di coltivatrice diretta, e sostenendo che comunque la proprietaria dei fondi confinanti con quello descritto dai mappali (OMISSIS) non poteva riscattarlo in quanto esso, al momento della vendita, era affittato alla stessa A..

Svoltasi la istruttoria del caso, il tribunale di Asti – succeduto alla soppressa pretura – con sentenza 30 aprile – 19 giugno 2003 ha rigettato la domanda attrice, ritenuta non provata la qualità di coltivatrice diretta dell’attrice S. e tenuto presente che la convenuta A. era affittuaria del fondo poi acquistato e aveva provveduto ad effettuare lavori di bonifica e livellamento di tale terreno.

Gravata tale pronunzia dalla soccombente S. la Corte di appello di Torino, nel contraddittoria della A. che costituitasi in giudizio ha chiesto il rigetto dell’avversa impugnazione, con sentenza 17 giugno – 25 ottobre 2005 ha rigettato l’appello.

Per la cassazione di tale ultima sentenza, notificata il 13 gennaio 2006 ha proposto ricorso S.M., con atto 14 marzo 2006, affidato a un unico, complesso motivo.

Resiste, con controricorso A.M.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I giudici di appello hanno rigettato la domanda attrice atteso che “l’appellante ( S.) non ha dato prova che all’epoca del contratto di vendita del fondo di cui chiede il riscatto fornisse personalmente almeno un terzo della forza lavorativa necessaria per coltivare i fondi di cui già disponeva e pertanto potesse essere considerata coltivatrice diretta”.

Hanno, infatti, accertato, in linea di fatto, quei giudici:

– al momento della vendita del fondo oggetto del riscatto ( (OMISSIS)) la S., nata l'(OMISSIS) era nel suo 76^ (settantaseiesimo) anno di vita e il suo nucleo familiare era composto soltanto da lei;

– la stessa era affetta da poliartrosi deformante della colonna e delle piccole articolazioni con conseguente discreta limitazione della deambulaizone;

– già il 10 luglio 1986 cioè circa dieci anni prima la S. è stata dichiarata non più idonea a svolgere la propria abituale attività agricola;

– le deposizioni raccolte sono generiche e pur avendo i testi riferito che la S. occupava personalmente dell’azienda agricola “non è possibile inferire l’epoca in cui ciò avveniva, nè quali lavori l’anziana signora potesse mai svolgere personalmente”;

– la stessa S. ammette di essere avvalsa nel periodo 1992 – 1001 della collaborazione di ben 11 operai agricoli nonchè di quella di contoterzisti per lavori da effettuare con macchinari e trattamenti di concimazione e antiparassitaria;

– la figlia dell’appellante C.E. ha cominciato a convivere con la madre solo il (OMISSIS) e, quindi, in epoca successiva alla vendita del fondo e svolge la professione di insegnante.

2. Con l’unico motivo la ricorrente censura la riassunta sentenza denunziando “violazione e falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, artt. 8 e 31, omesso esame di un punto decisivo della controversia, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”, atteso che una corretta lettura delle risultanze di causa non poteva non condurre alla conclusione che nella specie essa concludente era nel possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi per riscattare il fondo oggetto di controversia.

3. Il motivo è inammissibile. Sotto entrambi i profili in cui si articola.

3.1. Giusta quanto assolutamente pacifico – presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice e da cui totalmente e senza alcuna motivazione totalmente prescinde la difesa della ricorrente principale – il vizio di violazione di legge – rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di cassazione).

Viceversa, la allegazione – come prospettata nella specie da parte del ricorrente – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valuta- zione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (tra le tantissime, ad esempio, Cass. 4 marzo 2010, n. 5207, specie in motivazione).

Pacifico quanto precede si osserva che nella specie la ricorrente pur denunziando la “violazione e falsa applicazione”, da parte della sentenza gravata, “della L. 26 maggio 1965, n. 590, artt. 8 e 31” anzichè indicare quale sia stata la erronea lettura delle indicate norme – data dalla sentenza criticata – e quale la loro corretta interpretazione, alla luce della giurisprudenza di questa Corte o della dottrina più autorevole, o almeno della stessa difesa di parte ricorrente, si duole – esclusivamente – dell’ apprezzamento espresso dai giudici di secondo grado in margine al contenuto del proprio atto di appello, assumendo che ove quest’ultimo e, quindi, non le norme indicate nel ricorso come violate dalla sentenza impugnata fosse stato diversamente “letto”, cioè interpretato dai giudici a quibus, la soluzione della lite sarebbe stata diversa.

E’ evidente – alla luce dei rilievi svolti sopra – come anticipato, la inammissibilità della censura in esame.

Con la stessa, infatti, non si denunziano violazioni o false applicazioni di norme di diritto, rilevanti sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma si lamenta la erronea valutazione – da parte dei giudici di secondo grado – delle risultanze di causa.

Le ricorrente, infatti, lungi dallo svolgere alcuna critica in margine alla interpretazione data dai giudici a quibus alle norme di legge indicate nei vari motivi, si limita a censurare la interpretazione data, dai giudici del merito, delle risultanze di causa, interpretazione a parere del ricorrente inadeguata.

Per tal via la ricorrente sollecita, contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze ed è palese la inammissibilità di tali censure.

3.2. Parimenti inammissibili (oltre che manifestamente infondate) sono anche le censure sviluppate sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Deve ribadirsi, in particolare, al riguardo che il motivo di ricorso per cassazione con il quale all’sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere inteso a far valere carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nella attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, mentre non può,invece, essere inteso – come pare pretenda la ricorrente – a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggetto della parte e, in particolare, non si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti (cfr. Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 6 settembre 2007, n. 18709; Cass. 3 agosto 2007, n. 17076).

3.3. Anche a prescindere da quanto precede si osserva che a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo applicabile nella specie ratione temporis essendo oggetto di ricorso una pronunzia resa anteriormente al 2 marzo 2006 le sentenze pronunziate in grado di appello o in un unico grado possono essere impugnata con ricorso per cassazione, tra l’altro, “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”.

E’ palese, pertanto, che i detti vizi – salvo che non investano distinte proposizioni contenute nella stessa sentenza, cioè diversi punti decisivi – non possono concorrere tra di loro, ma sono alternativi.

Non essendo logicamente concepibile che una stessa motivazione sia, quanto allo stesso punto decisivo, contemporaneamente “omessa”, nonchè “insufficiente” e, ancora “contraddittoria” è evidente che è onere del ricorrente precisare quale sia – in concreto – il vizio della sentenza, non potendo tale scelta (a norma dell’art. 111 Cost., e del principio inderogabile della terzietà del giudice) essere rimessa al giudice, come invece pretende parte ricorrente.

Totalmente disattendendo tali principi, la ricorrente, pur assumendo, nella intitolazione del motivo, che la sentenza impugnata è affetta da “omesso esame di un punto decisivo della controversia” “omessa” “insufficiente” e, infine “contraddittoria” motivazione, si astiene, nella parte espositiva del motivo – destinata a contenere, come impone l’art. 366 c.p.c., n. 4, “i motivi per i quali si chiede la cassazione” in quale “passaggio” e per quale ragione la motivazione sia “omessa”, sotto quale profilo “insufficiente” e, perchè, ancora “contraddittoria”.

3.4. In realtà – contrariamente a quanto suppone la difesa della ricorrente il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciatale con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi.

Lo stesso, per contro, non può essere prospettato con censure che investano la ricostruzione della fattispecie concreta operata mediante il coordinamento dei vari elementi probatori.

Tale ricostruzione rimane nell’ambito delle possibilità di apprezzamento dei fatti e, non contrastando con criteri logici, attiene al convincimento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità.

Certo che quella specie si imputa alla Corte di appello di esclusivamente di avere interpretato le risultanze di causa e, in particolare, le testimonianze raccolte, in senso diverso rispetto a quanto invocato dal-la difesa della ricorrente è palese – anche sotto tale ulteriore – la inammissibilità delle censure in esame.

3.5. Giusta quanto assolutamente incontroverso, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice (da cui senza alcuna motivazione totalmente prescinde parte ricorrente) il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata (Cass. 3 agosto 2007, n. 17076).

Contemporaneamente, sempre alla luce di quanto non controverso in giurisprudenza, si osserva che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza (cfr. art. 366 c.p.c.) – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 13 giugno 2007, n. 13845).

Non controversi i principi che precedono, è palese che qualora si deduca – come nella specie – che la sentenza oggetto di ricorso per cassazione è censurabile sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per essere sorretta da una contraddittoria motivazione è onere del ricorrente, a pena di inammissibilità, trascrivere, nel ricorso, le espressioni tra loro contraddittorie ossia inconciliabili contenute nella parte motiva della sentenza impugnata che si elidono a vicenda e non permettono, di conseguenza, di comprendere quale sia la ratio decidendi che sorregge la pronunzia stessa.

Poichè nella specie parate ricorrente pur denunziando nella intestazione del motivo in esame “contraddittorietà insanabile della motivazione” si è astenuti, totalmente – nella successiva parte espositiva – dal trascrivere le proposizioni presenti nella sentenza impugnata tra loro contraddittorie, è evidente che nella parte de qua. il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

3.6. Per completezza di esposizione, infine, non può tacersi che:

– contrariamente a quanto del tutto apoditticamente si afferma in ricorso i giudici del merito, lungi dal negare la qualità di coltivatore diretto in capo alla S. perchè non iscritta, o non più iscritta, nell’elenco dei coltivatori hanno escluso dette qualità l’INPS aveva già accertato, ben due lustri prima che la stessa esercitasse il riscatto per cui è causa, la sua inidoneità, dal punto di vista sanitario a svolgere attività agricola;

– è palese per l’effetto l’assoluta irrilevanza e non pertinenza, al fine del decidere, della giurisprudenza di questa Corte in tema di mancata iscrizione, del coltivatore diretto nei relativi elenchi;

– è esatto che per la giurisprudenza di questa Corte non rileva, al fine di escludere la capacità lavorativa, l’età non più giovanissima del retraente, ma nella specie non solo si è in presenza di un soggetto senza ombra di dubbio di età particolarmente avanzata (76 anni, al momento dell’esercizio del riscatto) e che – quindi – deve presumersi non in grado di fare fronte a lavori particolarmente gravosi, quali quelli della conduzione diretta di campi, ma di una persona di cui era già stata accertata dieci anni prima dei fatti la assoluta inidoneità a svolgere attività agricola;

– di una persona che, senza ombra di dubbio – per sua stessa ammissione – non solo si avvaleva della attività di lavoro di contoterzisti – ma anche di ben 11 operai agricoli;

– del tutto irrilevante, e non pertinente, al fine del decidere, e di ritenere raggiunta la prova della capacità lavorativa della attrice è la circostanza che la figlia quest’ultima, insegnante, non convivente all’epoca della domanda con la madre, aiutasse la propria genitrice nei momenti liberi;

– a prescindere da ogni altra circostanza (in ispregio della regola dalla autosufficienza del ricorso per cassazione non sono state trascritte in ricorso le testimonianze che suffragano tale essenziale aiuto alla conduzione dei fondi, di cui – singolarmente – in ricorso non è neppure esposta la estensione e la loro destinazione) è sufficiente al riguardo tenere presente che la stessa formulazione letterale dell’art. 31, comma 1, della legge 26 maggio 1965, n. 590 ove è menzionata la “complessiva forza lavorativa del nucleo familiare” è questo è palesemente (ex art. 12 preleggi) solo quello costituito da coloro che formano una unica famiglia con comunione di tetto e di mensa, comunione certamente inesistente al momento del riscatto.

4. Risultato totalmente infondato il proposto ricorso in conclusione, deve rigettarsi, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 3.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 20 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2010

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