Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11376 del 24/05/2011

Cassazione civile sez. III, 24/05/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 24/05/2011), n.11376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO

197, presso lo studio dell’avvocato NAPOLEONI MARIA CRISTINA,

rappresentata e difesa dall’avvocato RAINER FRANZ giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato MANZI LUIGI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PICHLER RUDOLF giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3/2005 della SEZ. DIST. CORTE D’APPELLO di

BOLZANO, emessa il 14.12.2005, depositata il 03/01/2006; R.G.N.

2/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Bolzano – Sezione Agraria, I. S., quale proprietaria di taluni immobili, chiedeva:

accertarsi che il rapporto d’affitto, instaurato con contratto concluso fra il proprio dante causa ed i coniugi H. ed E. P. in data anteriore all’entrata in vigore della L. n. 203 del 1982, era cessato il 10 novembre 1994, in seguito a disdetta, trattandosi di affitto particellare; condannarsi l’affittuaria E. P., nonchè i di lei familiari conviventi, a rilasciare gli immobili in questione.

P.E. e il di lei figlio A. – intervenuto in causa quale successore del padre H. e quale componente della famiglia coltivatrice diretta – contestavano l’applicabilità della normativa di cui all’art. 3 della suddetta legge; in subordine chiedevano, in caso di loro condanna al rilascio, condannarsi anche parte ricorrente al pagamento dell’indennità per miglioramenti, addizioni e trasformazioni nell’importo di più o meno L. 70.000.000.

Con sentenza n. 935/04 il Tribunale di Bolzano accoglieva le domande della ricorrente dichiarando inammissibile la domanda riconvenzionale della convenuta e dell’intervenuto in causa, in quanto non era stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione.

E. ed P.A. proponevano appello avverso tale decisione, esponendo: che la loro domanda riconvenzionale doveva considerarsi condizionata, per cui il tentativo di conciliazione sarebbe da esperirsi solo in caso di avveramento della condizione, cioè non prima dell’eventuale condanna dei P. al rilascio degli immobili condotti in affitto; che non era applicabile alla specie la normativa in materia di affitto particellare; che anche P.A. era da considerare affittuario unitamente alla madre E., per cui sin dall’inizio era legittimato a partecipare al procedimento de quo; che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era improponibile, non avendo la ricorrente I. S. esperito utile tentativo di conciliazione, non ricorrendo identità fra il thema trattato in sede di tentativo di conciliazione ed il thema della successiva causa giudiziaria.

Con sentenza n. 3/05 la Corte d’Appello di Trento – Sezione Distaccata di Bolzano, Sezione Agraria, confermava la sentenza di primo grado, respingendo l’appello e condannando gli appellanti alla rifusione delle spese di lite. Propone ricorso per cassazione E. B. con un unico motivo. Resiste con controricorso I. B. in S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Parte ricorrente denuncia Violazione risp. falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 46, comma 1, omessa risp. insufficiente motivazione sull’eccepita improponibilità del ricorso introduttivo.

Secondo parte ricorrente la mancanza di tale tentativo di conciliazione è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio; S.I. inoltre si è limitata a produrre in giudizio la lettera dell’ispettorato per l’agricoltura comunicante l’esito negativo di tale tentativo. Manca ogni prova in ordine all’identità tra il contenuto della domanda di conciliazione e il contenuto della domanda giudiziale ed è da considerarsi improponibile il ricorso di controparte. Il motivo deve essere rigettato. In primo luogo, in quanto non autosufficiente, per non aver prodotto il verbale di conciliazione. Nel merito, in quanto la mancata coincidenza del petitum è stata sollevata per la prima volta in appello, mentre doveva essere contestata nella fase conciliativa e in quella giudiziale già in sede di costituzione in giudizio.

Nel rito del lavoro, alla luce dell’art. 416 c.p.c., comma 3 e dell’art. 437 c.p.c., comma 2, l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti, e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione; e la irreversibilità della estinzione del diritto di produrre i documenti, dovuta al mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, rende il diritto stesso insuscettibile di reviviscenza in grado di appello (Cass., 20 aprile 2005, n. 8202).

In ogni caso la sentenza impugnata è congruamente argomentata con convincente motivazione ed immune da vizi logici o giuridici.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.500,00, di cui Euro 2.300,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2011

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