Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11366 del 11/05/2010

Cassazione civile sez. III, 11/05/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 11/05/2010), n.11366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4472-2006 proposto da:

C.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DI VAL GARDENA 3, presso lo studio dell’avvocato DE ANGELIS

LUCIO, rappresentata e difesa dall’avvocato M. MALIZIA PASQUALE

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.M.F., (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA VESTRICIO SPURINNA 105, presso lo studio

dell’avvocato GALLINI ALESSANDRA, rappresentato e difeso

dall’avvocato SOLIMINI NICOLA FABRIZIO giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 240/2005 del GIUDICE DI PACE di MOLFETTA,

emessa il 8/11/2005, depositata il 19/11/2005; R.G.N. 83/C/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/03/2010 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza del giudice di pace di Molfetta del 19.11.2005 che ha rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dall’attuale ricorrente, confermando il decreto emesso in favore di P.M.F. per il pagamento di prestazioni professionali.

Resiste con controricorso il P..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 in relazione all’art. 113 disp. att. c.p.c., comma 2 e art. 119 disp. att. c.p.c..

Il motivo non è fondato.

Trattasi di controversia di valore inferiore ad Euro 1.100,00, che andava quindi decisa, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2 (nel testo applicabile ratione temporis) secondo equità, come correttamente fatto dal giudice di pace, a nulla rilevando che non ve ne sia menzione nel dispositivo, poichè l’inosservanza del disposto dell’art. 119 disp. att. c.p.c., che tale menzione prevede, lungi dal costituire un vizio della sentenza, integra una mera irregolarità formale della stessa (v. anche Cass. 9.11.2006 n. 23896).

Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c..

Il motivo non è fondato.

Posto che, come si è visto, si trattava di sentenza pronunciata secondo equità dal giudice di pace, il ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può avere ad oggetto la denuncia della violazione di una specifica norma di legge, ma deve contenere, a pena di inammissibilità, la precisa indicazione dei principi informatori della materia che si reputano violati e, pur specificamente, il superamento del limite dagli stessi fissato (Cass. 18.6.2008 n. 16545).

Infatti, a seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 206 del 2004 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 113 c.p.c., comma 2, nella parte in cui non prevede che il giudice di pace debba osservare, nella pronuncia sulla questione che gli è sottoposta, i principi informatori della materia – il giudizio secondo equità deve ritenersi ora soggetto, oltre che al rispetto delle norme processuali ed alle norme costituzionali o di diritto comunitario, anche al limite dei principi informatori della materia che si identificano solo con quelli fondamentali, ai quali si ispira la disciplina positiva.

Da tale principio – che è applicabile anche ai procedimenti pendenti, dato il contenuto additivo della indicata sentenza della Corte costituzionale – deriva che il ricorso per cassazione contro la sentenza di equità del giudice di pace può essere astrattamente sostenuto, oltre che dai motivi indicati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 2, soltanto dalla denuncia di violazione di norme processuali o costituzionali o di superamento del limite dei principi informatori della materia.

Poichè il rispetto dei principi informatori della materia costituisce il limite del giudizio di equità, e non una regola da applicare, ne discende che il ricorso per cassazione contro una sentenza emessa secondo equità dal giudice di pace, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – come nella specie – deve essere diretto, non a denunciare la violazione di una regola, ma il superamento del limite, con la conseguenza, per un verso, che il ricorrente non può limitarsi a denunciare la violazione di specifiche norme giuridiche, ma deve indicare con chiarezza il principio informatore che assume violato e, per altro verso, che il sindacato della Corte di cassazione può investire solo il rispetto del limite del giudizio di equità (da ultimo Cass. 8.3.2007 n. 5311).

L’odierna ricorrente non si è attenuta a tali prescrizioni, focalizzando piuttosto la censura su di un supposto vizio relativo ad una ritenuta motivazione apparente che non sussiste, avendo il giudice di pace dato ampio conto del suo convincimento.

Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 in relazione all’art. 2691 c.c. all’art. 116 c.p.c. e artt. 2, 24 e 41 Cost.; all’art. 184 c.p.c.; violazione dei principi informatori della materia.

Il motivo è inammissibile.

Le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2 sono ricorribili in cassazione per violazione delle norme processuali, delle norme della Costituzione e di quelle comunitarie, nonchè per violazione dei principi informatori della materia e per nullità attinente alla motivazione, che sia assolutamente mancante o apparente, o fondata su affermazioni in radicale ed insanabile contraddittorietà.

La violazione dell’art. 2697 c.c. sull’onere della prova – che la ricorrente imputa al giudice di pace – invece pone una regola di diritto sostanziale, che da luogo ad un error in iudicando non denunciabile con il ricorso per cassazione avverso le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità (S.U. 14.1.2009 n. 564; Cass. 21.10.2009 n. 22279).

Peraltro, la ricorrente attraverso la censura di violazione di principi informatori della materia, tende surrettiziamente ad una “rivisitazione” delle risultanze probatorie, proponendo una diversa valutazione del merito del giudizio, non consentita in questa sede di legittimità.

Con il quarto motivo denuncia la violazione dei principi informatori della materia in tema di contratti stipulati con un libero professionista.

Anche questo motivo è inammissibile.

La ricorrente, infatti, non indica con chiarezza quale sia il o i principi informatori che assume violati, limitandosi ad enunciare, nella intitolazione del motivo, che trattasi di ” violazione dei principi informatori della materia in tema di contratti stipulati con un libero professionista”.

Diversamente, una volta stabilito, che il rispetto dei principi informatori della materia costituisce il limite del giudizio di equità, e non regola da applicare, deve anche ritenersi che il ricorso per Cassazione contro sentenza emessa secondo equità dal giudice di pace, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 può essere diretto, non a denunciare la violazione di una regola, ma soltanto il superamento del limite.

Ciò comporta che, nel giudizio in Cassazione, il ricorrente deve indicare con chiarezza il principio informatore che assume violato.

Nella specie, l’erroneità, in diritto, della regola di giudizio adottata, non è denunciata con il ricorso in termini che possano consentire di riferirla alla prospettazione della violazione di un “principio informatore” della disciplina giuridica in tema di contratti conclusi con un libero professionista, bensì in termini che lasciano intuire solo la denuncia di norme, neppure peraltro indicate, di natura sostanziale (v. anche Cass. 18.6.2008 n. 16545).

Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 400,00, di cui Euro 200,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione, il 25 marzo 2010 in Roma.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2010

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