Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11362 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 12/06/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 12/06/2020), n.11362

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesco – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17165-2014 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GALLIA 122,

presso lo studio degli avvocati CARMINE DE VITA, SABATO CRISCUOLO,

ENNIO DE VITA, che lo rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

COMUNE SALERNO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BADOERO, 67, presso lo studio dell’avvocato

RUGGIERO MUSIO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 540/2013 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 08/01/2014 r.g.n. 1560/2008.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con sentenza in data 24 aprile 2013-8 gennaio 2014 n. 540 la Corte d’appello di Salerno confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda di C.L., dirigente del COMUNE DI SALERNO addetto al settore opere pubbliche, per la dichiarazione di illegittimità del provvedimento del COMUNE del 15 marzo 2007, con il quale si disponeva il recupero parziale degli incentivi per la progettazione corrisposti negli anni dal 2000 al 2005 (Euro 51.781,59), dovendo detrarsi dai compensi maturati gli oneri riflessi (oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione).

2. La Corte territoriale osservava che la norma di interpretazione autentica di cui alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 207, – come interpretata da Cass. sez. lav. sentenza 27 luglio 2010 n. 17536-aveva chiarito che il compenso accessorio era calcolato al lordo (e non al netto) degli oneri accessori, che dovevano pertanto detrarsi al momento del pagamento.

3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza C.L., articolato in sette motivi, cui il COMUNE DI SALERNO ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente ha denunciato- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5 – violazione e falsa applicazione della L. n. 206 del 2005, art. 1, comma 207 e dei principi di ragionevolezza, affidamento nella stabilità dell’ordinamento giuridico, consolidamento delle posizioni giuridiche soggettive e tutela dei diritti acquisiti.

2. Ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata per non avere considerato i limiti alla retroattività della norma della L. n. 206 del 2005, art. 1, comma 207, segnati dal fatto che venivano in considerazione compensi già percepiti, limiti che non venivano in rilievo nella fattispecie venuta all’esame della Suprema Corte nel precedente richiamato dal giudice dell’appello, come espressamente in esso puntualizzato.

3. Con il secondo motivo la parte ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, violazione e falsa applicazione della L. n. 109 del 1994, art. 18, della L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 29, della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 207.

4. Ha censurato la interpretazione del quadro normativo posta a base della sentenza impugnata, assumendo che la disciplina dell’incentivo per i dipendenti degli enti locali era contenuta nella L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 29, che aveva previsto non solo una diversa percentuale di computo (il 2% in luogo dell’1,5%) ma anche che l’incentivo dovesse essere quantificato al lordo degli oneri riflessi. Pertanto L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 207, che prevedeva anch’esso il computo della percentuale dell’incentivo al lordo, non si riferiva agli enti locali ma ai dipendenti di altre amministrazioni pubbliche.

5.1 due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

6. Giova premettere che nella fattispecie di causa non trova applicazione ratione temporis il D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, che (all’art. 92, comma 5), ha innovato la disciplina dell’incentivo, disponendo, con l’art. 256, la abrogazione della L. 11 febbraio 1994, n. 109.

7. La questione di causa è stata già esaminata da questa Corte (ex aliis: Cassazione civile sez. lav., 27/04/2015, n. 8522; n. 17536/10), la quale ha chiarito che la L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 207 (secondo il quale la L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 18, comma 1, e successive modificazioni, deve interpretarsi nel senso che la quota percentuale di ripartizione della incentivazione per la progettazione di opere pubbliche, “è comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione”) – è norma di interpretazione autentica, con efficacia retroattiva, senza che rilevi la circostanza che il legislatore sia già intervenuto con la L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 29, essendo quest’ultima disposizione diretta a disciplinare la ripartizione dei compensi per gli enti locali senza rinnovare il testo dell’art. 18, comma 1 citato ma, anzi, richiamandolo. Tali considerazioni non sono inficiate dalla circostanza che la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 207, sia stato successivamente abrogato dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 256, posto che la disposizione, proprio perchè di interpretazione autentica di una precedente normativa, aveva già esplicato i propri effetti volti a chiarire l’effettiva valenza della norma interpretata.

8. A tali principi, affermati in controversie proposte da dipendenti comunali, si intende assicurare in questa sede continuità, condividendo le motivazioni che ne sono a base.

9. Quanto alla questione posta con il primo motivo, la retroattività propria della legge di interpretazione autentica comporta che il dipendente non possa vantare alcun diritto intangibile come “diritto quesito” giacchè in ragione della sovrapponibilità della norma interpretativa alla norma interpretata un diritto la cui esistenza è esclusa dalla norma interpretativa deve ritenersi come mai sorto.

10.11 limite alla retroattività non può essere rappresentato dall’avvenuto pagamento, che non ha efficacia costitutiva di diritti soggettivi e che è soggetto a ripetizione secondo le norme ordinarie sull’indebito.

11. Con il terzo motivo il ricorrente ha impugnato la sentenza- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 277 e 359 c.p.c..

12. Con il motivo si deduce l’omesso esame nella sentenza impugnata degli “altri” motivi di censura, sui quali neppure il giudice del primo grado si era pronunciato, che erano stati riproposti in appello.

13. Si assume, altresì, che erroneamente la sentenza d’appello, in un passaggio di incerta comprensione (“la Corte condivide espressamente tale principio di diritto… e di conseguenza anche le motivazioni di primo grado che necessariamente non dovevano essere estese alle varie contestazioni sollevate dal C. perchè assorbite”) pareva aver dichiarato assorbite tali ragioni dell’appello, che invece riguardavano domande autonome e di rilievo decisivo.

14. Il motivo è inammissibile.

15. Ed, invero, anche in caso di denunzia dei vizio di omessa pronuncia il potere di questa Corte di accesso diretto agli atti ai fini della verifica del fatto processuale resta condizionato al previo assolvimento dell’onere della parte ricorrente di indicare in quali forme ed attraverso quali atti la domanda non esaminata sarebbe stata proposta. Nemmeno in quest’ipotesi viene meno, in altri termini, l’onere per la parte di rispettare il requisito della specificità dei motivi d’impugnazione sicchè l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamata a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato (Cass. SU. 22/05/2012, n. 8077).

16. Il ricorrente si limita ad assumere genericamente di avere proposto in primo grado ed in appello “altri motivi di censura” senza provvedere alla trascrizione e localizzazione degli atti processuali, nella parte rilevante.

17. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, – violazione e falsa applicazione della L. n. 109 del 1994, art. 18, della L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 29, della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 207, degli artt. 4, 15 e 17 CCNL REGIONI-AUTONOMIE LOCALI 1 aprile 1999, dell’art. 11 disp. prel. c.c., del CCNL DIRIGENZA AUTONOMIE LOCALI 10 aprile 1996, art. 37, come sostituito dal CCNL DIRIGENZA AUTONOMIE LOCALI del 23 dicembre 1999, art. 26.

18. Ha censurato la sentenza per non avere considerato che la previsione della liquidazione dell’incentivo al netto degli oneri riflessi era contenuta in un atto di contrattazione decentrata, contratto poi recepito nel regolamento comunale approvato con delibera di Giunta n. 322/2001.

19. Pertanto il Comune per procedere al recupero dell’incentivo aveva preliminarmente provveduto alla modifica, con efficacia retroattiva, del regolamento comunale di recepimento dell’accordo decentrato.

20. Egli aveva sollevato avverso tali modifiche plurime censure: per essere stata modificata in via unilaterale- in peius e retroattivamente-la disciplina stabilita in sede di contrattazione decentrata; per violazione dell’art. 11 disp. prel. c.c.; per la estensione della efficacia retroattiva anche alle quote di incentivo già ripartite e liquidate; per violazione delle disposizioni della contrattazione collettiva decentrata.

21. Il motivo, che dichiaratamente espone questioni non esaminate nella sentenza impugnata, è inammissibile per difetto di specificità.

22. Invero ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto (nella specie, stipula e contenuti del contratto decentrato, adozione del regolamento comunale, intervento del regolamento comunale modificativo con efficacia retroattiva) – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (per tutte: Cassazione civile sez. lav., 28/07/2008, n. 20518). A tale onere il ricorrente non ha adempiuto, non avendo trascritto nè localizzato gli atti con i quali le questioni in questa sede sollevate erano state portate all’esame del Tribunale e della Corte d’Appello.

23. Con il quinto motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, – violazione e falsa applicazione della L. n. 109 del 1994, art. 18, della L. n. 350 del 203, art. 3,comma 29, della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 27, del CCNL REGIONI – AUTONOMIE LOCALI 1 aprile 1999, artt. 4, 15 e 17, dell’art. 11 disp. prel. c.c., del CCNL DIRIGENZA AUTONOMIE LOCALI 10 aprile 1996, art. 37, come sostituito dal CCNL DIRIGENZA AUTONOMIE LOCALI del 23 dicembre 1999, art. 26.

24. Ha dedotto il vizio di omessa pronuncia sulla illegittima modifica unilaterale della disciplina del fondo incentivante in assenza di contrattazione in sede decentrata.

25. Ha dedotto che dal CCNL del Comparto Regioni-Autonomie Locali dell’10 aprile 1999, artt. 4, 15 e 17 si desumeva che tra i compensi demandati alla contrattazione decentrata integrativa vi erano quelli finalizzati all’incentivazione del personale, tra i quali l’incentivo di cui alla L. n. 109 del 1994, art. 18; in tal senso disponevano, altresì, gli artt. 8 e 34 del Contratto collettivo decentrato integrativo del Comune di Salerno.

26. Ha dedotto ancora l’omesso esame del fatto che la percentuale fissata dalla legge per la determinazione del compenso incentivante individua un valore massimo all’interno del quale è la contrattazione decentrata a stabilire la percentuale applicabile; nella fattispecie di causa in sede di contrattazione decentrata (art. 1, punto 3) erano state individuate diverse percentuali (1%, 1,3/0,1,5/0) secondo la tipologia del progetto. Il regolamento comunale, approvato con delibera di Giunta Comunale n. 322/2001, aveva anche stabilito un meccanismo di adeguamento automatico delle aliquote a sopravvenute disposizioni, di legge, di contratto collettivo o di altre norme. L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 29, aveva elevato dal gennaio 2004 la percentuale di calcolo, nel limite del 2%, elevazione che avrebbe assorbito la quota oggetto di recupero.

27. Ulteriore elemento ostativo era rappresentato dalla disposta retroattività del regolamento comunale modificativo, in violazione dell’art. 11 preleggi.

28. Il motivo, nella parte in cui si duole della interpretazione delle norme di riferimento posta a base della sentenza impugnata è sovrapponibile al secondo motivo di censura, della cui infondatezza si è detto.

29. Nella parte in cui assume la illegittimità della modifica unilaterale e retroattiva del regolamento comunale (adottato con delibera di Giunta n. 322/2001) introduce una questione non esaminata nella sentenza impugnata senza assolvere all’onere di indicare il “come” ed il “quando” detta questione fosse stata portata all’esame del giudice del merito, come si è già detto in relazione al quarto motivo.

30. Va altresì evidenziato che- per quanto risulta dalla esposizione del fatto contenuta nella sentenza impugnata- la questione della legittimità della delibera di Giunta Comunale che disponeva la modifica retroattiva del precedente regolamento in punto di oneri riflessi sul compenso incentivante (delibera n. 445 del 12 aprile 2006 che interveniva retroattivamente sulla disciplina della delibera n. 322 del 2001) non era oggetto di causa ma era in discussione in un diverso giudizio tra le stesse parti, pendente davanti al Consiglio di Stato.

31. Con il sesto motivo la parte ricorrente ha denunciato- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, – violazione falsa applicazione del CCNL DIRIGENZA AUTONOMIE LOCALI 10 aprile 1996, art. 37, come sostituito del CCNL DIRIGENZA AUTONOMIE LOCALI 23.12.1999, art. 26.

32. Si deducono vizi di violazione del contratto collettivo nazionale e di omessa pronuncia, assumendosi che, in forza delle specifiche disposizioni contrattuali richiamate, gli incentivi di cui alla L. n. 109 del 1994 erano compresi tra le risorse dirette a costituire il fondo per il finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato. Tali risorse ai sensi del CCNL DIRIGENZA AUTONOMIE LOCALI 27.2.1997, art. 3, vigente all’epoca dei fatti, erano al netto degli oneri previdenziali ed assistenziali a carico della amministrazione.

33. Il motivo è infondato.

34. Secondo quanto disposto della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 223, il precedente comma 207 costituisce norma non derogabile dai contratti o accordi collettivi; il comma 223 va letto in collegamento con quanto stabilito dall’allora vigente D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 2, comma 2, che poneva, invece, il principio di derogabilità della legge ad opera della contrattazione collettiva (in termini: Cass. civ. sez. lav. 27 aprile 2015 n. 8522).

35. In sostanza, dal combinato disposto della L. n. 266 del 2005, commi 207 e 223, deriva la nullità delle clausole eventualmente difformi contenute nei contratti collettivi, che pertanto non potrebbero giovare alle difese della parte qui ricorrente.

36.Con il settimo motivo il ricorrente ha impugnato la sentenza deducendo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 277 e 359 c.p.c..

37. Ha dedotto l’omessa pronuncia in ordine alle censure dirette a contestare in sede di appello la quantificazione delle somme da recuperare. In particolare sotto il profilo: della prescrizione del diritto al recupero in relazione ai compensi percepiti prima del 19 marzo 2002; della richiesta di restituzione degli oneri riflessi anche nei casi in cui erano stati liquidati importi inferiori alla percentuale – prevista dalla contrattazione decentrata- dell’1,5/0 del valore del quadro economico di progetto; della irrecuperabilità di compensi già erogati per progetti conclusi e collaudati; della necessità di procedere al recupero limitatamente alle somme effettivamente erogate, ovvero al netto delle somme trattenute dal Comune sul compenso incentivante in qualità di sostituto di imposta.

38. Il motivo è inammissibile.

39. Da un canto le censure sono relative a questioni non esaminate nella sentenza impugnata e richiedenti l’accertamento di fatti storici (il quantum liquidato in relazione ai diversi progetti; il quantum delle trattenute operate a titolo di imposta) sicchè il ricorrente per sfuggire al rilievo di novità della censura avrebbe dovuto trascrivere e localizzare le allegazioni compiute nei gradi di merito.

40. Per altro verso si rappresenta un vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., sulla eccezione di prescrizione in violazione del requisito di specificità, necessario, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte già richiamata, anche nel caso di denunzia di errores in procedendo. Non si trascrivano infatti gli attraverso i quali la eccezione era stata proposta nei gradi di merito.

41. La censura con la quale si assume la irrecuperabilità di compensi già erogati è invece infondata; si rinvia, sul punto, alle considerazioni svolte in relazione al primo motivo di ricorso.

42. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

43. Il ricorrente non è tenuto alla refusione della spese, in quanto il COMUNE DI SALERNO non ha prodotto l’avviso di ricevimento della notifica del controricorso, avvenuta per mezzo del servizio postale e, pertanto, non ha dimostrato il perfezionamento della sua costituzione.

44. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi del L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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