Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11359 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. un., 12/06/2020, (ud. 12/02/2019, dep. 12/06/2020), n.11359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente Sezione –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12944-2017 proposto da:

COMUNE CERCIVENTO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268-A, presso lo studio

dell’avvocato ALESSIO PETRETTI, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIUNIO PEDRAZZOLI;

– ricorrente –

contro

AUSIR – AUTORITA’ UNICA PER I SERVIZI IDRICI E I RIFIUTI (già

CONSULTA D’AMBITO PER IL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO CENTRALE FRIULI,

ora in liquidazione), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI 4,

presso lo studio dell’avvocato FEDERICA SCAFARELLI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati LUCA PONTI e LUCA DE

PAULI;

– controricorrente –

nonchè contro

C.A.F.C. S.P.A. (già CARNIACQUE S.P.A.), COMUNE DI FORNI AVOLTRI,

COMUNE DI LIGOSULLO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4/2017 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 19/01/2017;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/02/2019 dal Consigliere GRECO ANTONIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale ZENO IMMACOLATA, che ha chiesto l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Alessio Petretti per delega dell’avvocato Giunio

Pedrazzoli e Luca De Pauli.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Comune di Cercivento propone ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della Consulta d’ambito per il servizio idrico integrato – CATO Centrale Friuli, e della spa CAFC (già CARNIACQUE), avverso la sentenza n. 4 del 2017 del Tribunale superiore delle acque pubbliche con la quale veniva rigettato il ricorso, proposto dai Comuni di Cercivento, Forni, Avoltri e Ligosullo, diretto all’annullamento: a) della Delib. n. 107 del 25 novembre 2014 con la quale la CATO aveva dichiarato inammissibile l’istanza di autorizzazione alla gestione autonoma provvisoria del servizio idrico integrato nei rispettivi territori comunali; b) della nota pressochè coeva con la quale il presidente della CATO Centrale Friuli aveva disposto la presa in carico degli impianti idrici nei territori dei detti Comuni, ai fini del loro trasferimento a favore dell’ente gestore del SII Carniacque spa.

Con la sentenza impugnata sono state disattese le censure ai provvedimenti che davano esecuzione al sistema delineato con la novella, recata dal D.L. 12 settembre 2014, n. 133, come convertito dalla L. 11 novembre 2014, n. 164, al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 147, comma 2, II periodo, lett. a), a tenore della quale “sono fatte salve le gestioni del servizio idrico in forma autonoma esistenti nei comuni montani con popolazione inferiori a 1.000 abitanti istituite ai sensi dell’art. 148, comma 5”.

Sono così state fatte salve – si legge nella sentenza impugnata – le precedenti gestioni in economia per i soli comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti, ma a condizione dell’esistenza e dell’istituzione di esse, alla data di entrata in vigore del nuovo art. 147, secondo i canoni del successivo art. 148, comma 5.

La CATO resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria della subentrata AUSIR – Autorità Unica per I Servizi Idrici e I Rifiuti, costituitasi con atto separato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, denunciando “violazione/falsa applicazione di norme di diritto – violazione dell’art. 148, comma 5 testo unico dell’ambiente – Violazione dell’art. 120 Cost., comma 2 – art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 276,430,433, 360 e 366 c.p.c.; artt. 118 e 119 att. c.p.c. – Mancanza di motivazione. Motivazione apparente”, il Comune di Cercivento si duole che il TSAP non abbia dichiarato l’inammissibilità del ricorso, se l’atto impugnato era ripetitivo di una volizione sul mancato consenso accertativo dell’evidente assenza dei presupposti di legge; qualora invece il detto atto avesse espresso una nuova volizione, la sua adozione avrebbe dovuto essere di competenza esclusiva dell’Assemblea della CATO.

Col secondo motivo, denunciando “violazione/falsa applicazione di norme di diritto – violazione del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, art. 7, comma 2 bis, coordinato con la Legge di Conversione 11 novembre 204, n. 164, e, conseguentemente, del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 147, comma 2 bis. – Violazione dell’art. 120 Cost., comma 2, – art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 276,430,433, 360 e 366 c.p.c.; artt. 118 e 119 att. c.p.c. – Mancanza di motivazione. – Motivazione apparente”, con riguardo alla “sanatoria” recata con la norma contenuta nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 147, comma 2 bis, come novellato dal D.L. n. 133 del 2014, art. 7, comma 2 bis, assume che nel fare salve “le gestioni del servizio idrico in forma autonoma esistenti nei comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti istituita ai sensi dell’art. 148, comma 5”, la nuova disciplina non avrebbe fatto riferimento alle gestioni vecchie e autorizzate, bensì alle gestioni esistenti e istituite ai sensi del del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 148, comma 5, con le deliberazioni dei Consigli comunali – tra i quali esso Comune ricorrente – del 2006.

Col terzo motivo, denunciando “violazione/falsa applicazione di norme di diritto – violazione della L. 7 agosto 1990, art. 3; violazione dell’art. 24 Cost.; violazione dell’art. 97 Cost.. Violazione dell’art. 120 Cost., comma 2 – art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 276,430,433, 360 e 366 c.p.c.; artt. 118 e 119 att. c.p.c. – Mancanza di motivazione. Motivazione apparente”, si duole che il provvedimento della CATO impugnato abbia dichiarato irricevibile/inammissibile la richiesta di esso Comune di autorizzazione alla gestione del servizio idrico in forma autonoma, non ricorrendone i presupposti.

Col quarto motivo, denunciando “violazione/falsa applicazione di norme di diritto – violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 147. violazione della L. 7 agosto 1990, art. 3; violazione dell’art. 24 Cost.; violazione dell’art. 97 Cost. – Violazione dell’art. 120 Cost., comma 2 – art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 276,430,433, 360 e 366 c.p.c.; artt. 118 e 119 att. c.p.c. – Mancanza di motivazione. – Motivazione apparente e/o contraddittoria”, alla luce della novella recata dalla L. del 2014 all’art. 147, comma 2 bis, secondo periodo, del D.Lgs. n. 152 de 2006 – secondo cui “sono fatte salve le gestioni del servizio idrico in forma autonoma esistenti nei comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti istituite ai sensi dell’art. 148, comma 5, – critica l’atto impugnato della CATO per aver dichiarato inammissibile l’istanza di autorizzazione alla gestione autonoma provvisoria del servizio idrico integrato nei rispettivi territori comunali, nonchè l’interpretazione della norma fornita dalla sentenza impugnata, ritenuta erronea, per non aver considerato le tre gestioni in economia dei tre Comuni originari ricorrenti “esistenti ed istituite”.

Col quinto motivo, denunciando “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. – Violazione dell’art. 120 Cost., comma 2, – art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 276,430,433, 360 e 366 c.p.c.; artt. 118 e 119 att. c.p.c.. Mancanza di motivazione. – Motivazione apparente”, assume che ben potevano i Comuni ricorrenti pretendere il mantenimento della gestione autonoma provvisoria del servizio idrico, attesa la decisività dell’accertamento del requisito della “esistenza”, invece erroneamente omesso, o quantomeno assimilato a quello della “istituzione”, che è lo stesso, dal TSAP.

I primi quattro motivi, che vanno esaminati congiuntamente in quanto strettamente legati, sono infondati; il quinto motivo è inammissibile, limitandosi a reiterare, in forma non specifica, censure già formulate negli altri motivi.

La sentenza impugnata è giuridicamente corretta e non incorre nei vizi lamentati.

La novella, recata dal D.L. 12 settembre 2014, n. 133, come convertito dalla L. 11 novembre 2014, n. 164, all’art. 147, comma 2, II periodo, lettera a), del D.Lgs. n. 152 del 2006, ha disposto che “sono fatte salve le gestioni del servizio idrico in forma autonoma esistenti nei comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti istituite ai sensi del comma 5 dell’art. 148”.

Sono così state fatte salve – si legge nella sentenza impugnata – le precedenti gestioni in economia per i soli comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti, ma a condizione dell’esistenza e dell’istituzione di esse, alla data di entrata in vigore del nuovo art. 147, secondo i canoni del successivo art. 148, comma 5.

E a far data dalla sua sostituzione ai sensi del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, art. 2, comma 14, i “canoni” dettati al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 148, comma 5, risiedevano – ferma restando la “partecipazione obbligatoria all’Autorità d’ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma 1” – nella facoltatività dell’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, “a condizione che gestiscano l’intero servizio idrico integrato e previo consenso dell’Autorità d’ambito competente”.

Un siffatto “previo consenso” dell’autorità d’ambito, tuttavia, nella fattispecie non intervenne, tanto è vero che i Comuni ricorrenti, che avevano deliberato d’assumere direttamente ed in economia il servizio idrico integrato per proprio conto in base al precedente (rispetto a quello novellato dal D.Lgs. n. 4 del 2008) testo del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 148, comma 5, si indussero ad impugnare – prosegue il Tribunale superiore delle acque – “la determinazione dell’AATO, che non aveva inteso rilasciare il consenso ex art. 148, comma 5”, impugnazione che, al pari di quella “per il riesame del mancato consenso furono disattesi da questo Tribunale superiore con sentenze passate in giudicato”.

L’esercizio di fatto della gestione in economia, “priva del titolo legittimo – prosegue il TSAP – non ne consentì al contempo la persistente esistenza, valida ed efficace, prima ed alla data di entrata in vigore della novella recata dal D.L. n. 133 del 2014, al citato art. 147. In difetto di entrambi i presupposti previsti da quest’ultima norma, i Comuni ricorrenti non avrebbero giammai potuto pretendere ed ottenere, neppure in via transitoria, il mantenimento di tal gestione, nè tampoco impedire il trasferimento di questa e di tutti i servizi all’ente gestore, ricadendo anche essi (i Comuni) e pienamente negli obblighi di cui all’art. 147, comma 1, IV periodo. Non è chi non veda l’inutilità dell’istanza attorea circa tal mantenimento in attesa d’un “chiarimento” del quadro normativo, stante il chiaro ed inequivoco tenore, a loro sfavorevole, del nuovo sistema organizzativo del servizio idrico integrato introdotto dal D.L. n. 133 del 2014, e fissato nell’intero art. 147″ del D.Lgs. n. 152 del 2006 (su servizio idrico integrato e gestione in economia da parte dei Comuni nella Regione Friuli Venezia Giulia, Cass., sez. un., n. 14990 del 2014).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte di cassazione, a sezioni unite, rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 5.000, di cui Euro 200 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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