Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11354 del 31/05/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 11354 Anno 2016
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: SCODITTI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso 21117-2010 proposto da:
MAROTTA VITO titolare della Ditta individuale EDIL
V.M., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA PRATI
STROZZI 30, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE
MOLFESE, rappresentato e difeso dall’avvocato
FRANCESCO MOLFESE giusta delega in calce;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE

ENTRATE in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;

Data pubblicazione: 31/05/2016

- controricorrente nonchè contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE
DIREZIONE PROVINCIALE DI NOVARA;
– Intimati –

di TORINO, depositata il 07/04/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/05/2016 dal Consigliere Dott. ENRICO
SCODITTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI CUOMO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 28/2010 della COMM.TRIB.REG.

Svolgimento del processo
A seguito di p.v.c. redatti dalla GdF vennero emessi nei confronti di Vito
Marotta due avvisi di accertamento, l’uno per il 2003 per indebita deduzione di
componenti negativi di reddito e per la contabilizzazione di una fattura passiva
emessa dalla ditta Bova Bruno per operazione soggettivamente inesistente,
l’altro per il 2004 per indebita deduzione di componenti negativi di reddito e

Bruno per operazioni inesistenti, nonché per omessa indicazione di componenti
positivi di reddito per prestazioni di servizi forniti alla BrickWall s.r.I., a
quest’ultima fatturate dalla ditta Bava Bruno. La CTP, previa riunione dei
ricorsi, li rigettò. L’appello del contribuente venne rigettato dalla Commissione
Tributaria Regionale del Piemonte sulla base della seguente motivazione.
Non emergono violazioni della procedura dal punto di vista
dell’accertamento tributario e nel p.v.c. si dà ampio risalto ai diritti riconosciuti
al contribuente, che è stato pure assistito da consulente. Quanto all’eccepita
mancata allegazione del p.v.c., dal medesimo p.v.c. risulta che esso è stato
consegnato al contribuente e sottoscritto da costui; il p.v.c. è stato poi
espressamente richiamato nell’avviso. In ordine alla fatture del 2003 il
soggetto emittente è un muratore senza beni strumentali e personale
dipendente che effettua lavori fatturati “per importi che non rispondono alle
possibilità orarie e remunerative di tali lavori”. Circa le fatture emesse nel
2004 da altro soggetto in luogo del contribuente, “dall’esame delle
dichiarazioni delle aziende coinvolte nel giro delle fatture emerge che non
conoscevano l’emittente ma attestavano che il lavoro era stato svolto
dall’appellante. Inoltre il Bova, muratore ed evasore totale, dichiara di non
aver mai effettuato i lavori fatturati e di comportarsi come ‘cartiera’ che
fatturava anche in luogo di aziende che effettivamente svolgevano i lavori ma
non emettevano fatture, come nella fattispecie, nei confronti della società
cA,
BrickWall s.r.l. che confernnava,(i rapporti e i contratti erano intrattenuti
/
esclusivamente con l’appellante. Per l’interposizione il Bova percepiva un
importo pari all’IVA della fattura emessa…Non si rileva al contrario una difesa
in contrapposizione ai fatti del p.v.c. e a supporto di un effettivo lavoro svolto

i

per la contabilizzazione di quattro fatture passive emesse dalla ditta Bova

a giustificazione delle fatture contestate. Era sufficiente dimostrare dove il
Bova, per il 2003, aveva svolto la prestazione e con quale accordo. Parimenti
per l’anno 2004 poteva dimostrare l’impossibilità di operare per la soc.
BrickWall s.r.l. con i mezzi e i dipendenti (che pure dichiara di non avere) già
impegnati con altri documentati committenti”.
Ha proposto ricorso per cassazione il contribuente sulla base di due

Motivi della decisione
Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.
220 norme di coordinamento del c.p.p. e dell’art. 112 c.p.c. ai sensi dell’art.
360 n. 3 c.p.c. Osserva il ricorrente che, nonostante avesse rilevato elementi
tali da far ritenere sussistenti indizi di reato, la GdF non si è avvalsa delle
norme del c.p.p. ma ha proseguito la verifica sulla base delle disposizioni
tributarie, determinando così l’invalidità derivata degli avvisi di accertamento e
che nonostante la doglianza fosse stata riproposta con l’appello la CTR ha
omesso di pronunciare, avendo ritenuto illegittimamente che inconferente era
il richiamo all’art. 220 norme di coordinamento del c.p.p. e che non era stato
violato il diritto di difesa.
Il motivo è infondato. Sotto il profilo della denuncia di omessa pronuncia
va osservato che lo stesso ricorrente riporta il contenuto della statuizione sul
punto del giudice tributario, sicché deve concludersi che sulla questione
dell’applicabilità dell’art. 220 norme di coordinamento del c.p.p. la CTR ha
pronunciato. Ad ogni buon conto, ove si ravvisi nel motivo la denuncia non di
omessa pronuncia, ma di pronuncia illegittima per non essere stata
riconosciuta la violazione dell’art. 220 citato, va rammentato che gli elementi
raccolti a carico del contribuente dai militari della Guardia di Finanza senza il
rispetto delle formalità di garanzia difensiva prescritte per il
procedimento penale, non sono inutilizzabili nel procedimento di accertamento
fiscale, stante l’autonomia del procedimento penale rispetto a quello di
accertamento tributario, secondo un principio oltre che sancito dalle norme sui
reati tributari (art. 12 del d.l. 10 luglio 1982, n. 429 successivamente
confermato dall’art. 20 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), desumibile anche

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motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

dalle disposizioni generali dettate dagli artt. 2 e 654 cod. proc. pen., ed
espressamente previsto dall’art. 220 norme di coordinamento del c.p.p., che
impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale,
quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto ai
fini della “applicazione della legge penale” (Cass. 12 novembre 2010, n.
22984; 7 febbraio 2013, n. 2916).

600/1973 e 2697 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. Osserva il ricorrente che
l’onere della prova in ordine all’inesistenza delle operazioni incombeva
sull’Ufficio, e non sul contribuente come diversamente opinato dalla CTR, e che
nel p.v.c., recepito dall’Ufficio, si adducevano solo elementi presuntivi privi di
riscontri, come le dichiarazioni di terzi costituenti meri indizi (peraltro il Bova
aveva tutto l’interesse a dichiarare che le fatture erano relative a prestazioni
da lui mai effettuate), senza svolgere alcun controllo sui flussi finanziari sui
conti correnti bancari e senza provare l’esistenza dell’accordo simulatorio fra la
ditta Bova, Brick Wall ed il contribuente. Aggiunge che il p.v.c. doveva essere
allegato all’avviso di accertamento e che era stata eccepita innanzi alla CTR la
tardività della costituzione dell’Agenzia delle Entrate.
Il motivo è inammissibile. La censura risulta articolata in quattro submotivi. Con il primo sub-motivo si denuncia la violazione della regola sull’onere
della prova. La CTR non ha addossato in via prioritaria sul contribuente l’onere
di provare l’effettività delle operazioni economiche in quanto hg, in primo luogo,
valutato l’esistenza di elementi tali da far ritenere la fittizietà dell’operazione
documentata dalla fattura, considerando in tal modo l’onere probatorio a carico
dell’Ufficio, e solo in secondo luogo ha aggiunto che tali elementi non sono stati
contrastati sul piano probatorio dal contribuente, facendo così retta
applicazione della regola sull’onere della prova, che vuole che l’onere per il
contribuente sorga solo in presenza del positivo riscontro degli elementi
probatori a carico dedotti dall’Ufficio (qualora l’amministrazione contesti al
contribuente l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti,
spetta alla stessa, adducendo la falsità del documento e quindi l’inesistenza di

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Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 39 e 42 d.p.r. n.

un maggior imponibile, provare che l’operazione commerciale in realtà non è
stata mai posta in essere, anche attraverso elementi presuntivi, che il giudice
tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza
dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, e solo qualora li ritenga dotati dei
‘caratteri di gravità, precisione e concordanza, consentirà al contribuente, che
ne diviene onerato, di provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate —

Il secondo sub-motivo è inammissibile in quanto vertente sulla congruità
probatoria degli elementi alla base della pretesa tributaria, che è profilo di
merito non valutabile nella presente sede di legittimità. Inammissibile è
l’ulteriore sub-motivo sulla questione dell’allegazione del p.v.c. all’atto
impositivo: l’accertamento di fatto del giudice di merito è stato di segno
diverso. Secondo la CTR dal medesimo p.v.c. risulta che esso è stato
consegnato al contribuente e sottoscritto da costui; il p.v.c. è stato poi
espressamente richiamato nell’avviso. La censura muove pertanto da un
presupposto di fatto non accertato dalla CTR. Infine si denuncia la tardività
della costituzione dell’Agenzia delle Entrate in sede di appello. Trattasi di submotivo anch’esso inammissibile.
Il ricorso per cassazione che prospetti l’essersi erroneamente tenuto
conto, nella sentenza impugnata, delle difese della parte appellata, costituitasi
tardivamente, deve indicare lo specifico e concreto danno derivato
al ricorrente dalla suddetta tardiva costituzione, non tutelando l’ordinamento il
semplice interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantendo
solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in
dipendenza del denunciato “error in procedendo” (Cass. 27 settembre 2013, n.
22289). L’art. 360, n.4, cod. proc. civ., nel consentire la denuncia di vizi di
attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento,
non tutela infatti l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma
garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della
parte in dipendenza del denunciato “error in procedendo” (Cass. 30 giugno
1997, n. 5837). Non vale osservare in senso contrario che in tal modo si
renderebbe facoltativa l’osservanza delle norme procedimentali previste dalla

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Cass. 24 luglio 2013, n. 17977).

legge, condividendosi a riguardo le considerazioni svolte in motivazione da
Cass. n. 9163/95, secondo cui “principio generale del nostro ordinamento
processuale è quello della tassatività delle cause di nullità, per cui non può
essere dichiarata la nullità per l’inosservanza di una determinata norma, ove
tale nullità non sia espressamente prevista, temperato dall’altro, per cui la
nullità può pronunciarsi qualora l’inosservanza impedisca all’atto di

legge. I principi ora enunciati comportano, quindi, la inidoneità della dedotta
inosservanza a determinare, di per se stessa ed in difetto di espressa
previsione, la nullità del procedimento, ove, ciò malgrado, Io scopo voluto dalla
legge sia comunque stato raggiunto” (così Cass. 27 settembre 2013, n.
22289). In mancanza quindi della concreta deduzione di un pregiudizio subito
dal diritto di difesa la doglianza non è ammissibile.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese
processuali che liquida in euro 4.100,00 per compenso, oltre le spese
prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il giorno 17 maggio 2016
Il consigliere

Il Pr siden

raggiungere il proprio scopo malgrado non esista un’espressa comminatoria di

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