Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1135 del 18/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 18/01/2017, (ud. 16/11/2016, dep.18/01/2017),  n. 1135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11366/2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELIO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

N.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. DENZA 20,

presso lo studio dell’avvocato LAURA ROSA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LORENZO DEL FEDERICO, giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3260/17/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di PALERMO SEZIONE DISTACCATA di CATANIA del 2/10/2014,

depositata il 28/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLA VELLA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione ex art. 380 bis c.p.c. e disposta la motivazione in forma semplificata, osserva.

1. L’Agenzia delle Entrate segnala preliminarmente che la questione controversa è “se sia possibile assoggettare a imposizione come plusvalenza, ex art. 81 (ora 67, comma 1, lett. b) del T.U.I.R., i corrispettivi della cessione di immobili che abbiano un potenziale edificatorio in concreto, desunto da una serie di indici univoci, pur se ricadenti in una zona formalmente qualificata come a prevalente destinazione agricola”.

2. Con un unico motivo, censura quindi la sentenza impugnata laddove, in riforma della decisione di prime cure, ha accolto il ricorso della contribuente sulla base della seguente motivazione: “nel caso di specie, il terreno oggetto dell’atto di compravendita, a tutt’oggi, fa parte di una zona territoriale omogenea classificata E5 di preminente interesse agricolo. Da ciò consegue che il terreno di cui si controverte non ha acquisito una nuova destinazione urbanistica e, quindi, non è neppure allo stato attuale utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico adottato dal Comune di Modica”.

3. Rileva parte ricorrente che, in realtà, dal certificato di destinazione urbanistica rilasciato dal Comune di Modica il terreno compravenduto risultava suscettibile di utilizzazione edificatoria, essendovi consentita (in deroga) “la costruzione di locali commerciali e direzionali a livello locale pubblico esercizio, artigianato, complessi produttivi collegati con aziende agricole e industrie estrattive”, tanto più essendo ubicato nella zona del “Polo commerciale” ed essendo stato venduto “ad un prezzo enormemente superiore a quello di un terreno agricolo: Euro 800.000,00 per mq. 13.228,00”.

4. Il Collegio reputa che il ricorso sia inammissibile, perchè privo del requisito della specificità e perchè veicola questioni di fatto che non risulta se siano state o meno dibattute in prime cure. Inoltre, i documenti che parte ricorrente asserisce di aver depositato, elencati in calce al ricorso, non risultano versati in atti, nè del resto indicati nella “nota di deposito e iscrizione a ruolo” del ricorso per cassazione datata 12 maggio 2015 (ove si fa riferimento solo alle sette copie del ricorso e del provvedimento impugnato).

5. All’inammissibilità del ricorso segue la condanna alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

6. Non ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, in quanto per la ricorrente amministrazione pubblica opera il meccanismo della prenotazione a debito delle spese (cfr. Cass. S.U. n. 9338/14; conf. Cass. sez. 6-L, n. 1778/16 e 6-T n. 18893/16).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.850,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimo. forf., Iva e Cp come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2017

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