Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11349 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. I, 12/06/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 12/06/2020), n.11349

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20531/2016 proposto da:

Pull & Bear Espana Sa, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Delle Quattro

Fontane 15, presso lo studio dell’avvocato Scapicchio Claudia, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Jacobacci Fabrizio,

giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

Capri Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Di Pietra 38-39, presso lo

studio dell’avvocato Grippiotti Giovanni Antonio, rappresentata e

difesa dagli avvocati Ciccariello Gaetano, Ciccariello Valerio,

Roncaglia Pier Luigi, Rossi Francesco, Soletto Maria, giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2547/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 24/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/02/2020 da FIDANZIA ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO

LUCIO, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato Valeria Rossini con delega orale per il ricorrente,

che si riporta agli atti;

udito l’Avvocato Rossi Francesco per il controricorrente, che si

riporta agli atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Napoli – sezione specializzata in materia di impresa – in riforma della sentenza di primo grado, in accoglimento dell’appello incidentale e ritenute assorbite le questioni oggetto dell’appello principale, ha rigettato la domanda della Pull & Bear Espana S.A. finalizzata a far accertare la contraffazione da parte della Capri s.r.l. dei propri diritti di privativa, e precisamente, dei propri diritti su design comunitario non registrato, oltre all’accertamento degli atti di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. e risarcimento danni.

Il giudice di secondo grado ha rilevato che la Pull & Bear Espana S.A. non aveva provato la divulgazione dei modelli o disegni comunitari non registrati nel 2009: sia perchè i documenti prodotti in giudizio – bolle di consegna nelle quali ciascun capo di abbigliamento era identificato sulla base di un codice numerico, taglie, tipo, quantità, prezzo, etc, avevano natura meramente interna, dimostrando al più spostamenti di merci; sia perchè non garantivano la sicura riferibilità dei prodotti in questione ai modelli o disegni di cui era lamentata la violazione della privativa.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Pull & Bear Espana S.A. affidandolo a sei motivi.

La Capri s.r.l. si è costituita in giudizio con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la Pull & Bear Espana S.A ha dedotto la falsa ed erronea applicazione degli artt. 1 e 7 reg. CE n. 6/2002.

Espone la ricorrente che affinchè un modello non registrato possa essere ritenuto divulgato è sufficiente la ragionevole conoscibilità dello stesso negli ambienti specializzati, che non si identificano in quello degli utilizzatori finali, ma nel mondo degli ” addetti ai lavori”, ossia di coloro che se ne occupano professionalmente a partire dall’ideazione e fino alla commercializzazione del prodotto. E’ sufficiente quindi la conoscenza del settore, da intendersi come catena distributiva.

Il ricorrente, attraverso la produzione delle bolle di consegna (alla rete di negozi a insegna Pull & Bear facenti capo alla società Pull& Bear Italia s.r.l.), delle fatture del fornitore del prodotto finito e delle dichiarazioni dei designer, ha provato la conoscenza del modello comunitario non registrato a tutti livelli della catena distributiva ed almeno in due paesi dell’Unione Europea. Nè le bolle di consegna prodotte in giudizio hanno natura di “documenti contabili interni” – come sostenuto dalla sentenza impugnata – afferendo le medesime alla consegna di prodotti da un soggetto – Pull & Bear Espana – ad altro (Pull & Bear Italia) avente una personalità giuridica distinta ed effettiva operatività in un altro mercato territoriale.

2. Il motivo non è fondato.

A norma del Reg. CE n. 6 del 2002, art. 1, comma 2, lett. a), un disegno o modello comunitario è protetto anche come disegno o modello comunitario non registrato se è stato divulgato al pubblico, secondo le modalità contemplate dallo stesso regolamento.

Inoltre, secondo l’art. 11 legge cit., si ritiene che un disegno o modello comunitario non registrato “sia stato divulgato al pubblico nella Comunità se è stato pubblicato, esposto, usato in commercio o altrimenti reso pubblico in modo tale che, nel corso della normale attività commerciale, tali fatti potevano ragionevolmente essere conosciuti dagli ambienti specializzati del settore interessato operanti nella Comunità. Il disegno o modello non si considera tuttavia divulgato al pubblico per il solo fatto di essere stato rivelato ad un terzo sotto vincolo esplicito o implicito di riservatezza”.

Dunque, perchè un modello comunitario non registrato possa essere considerato divulgato al “pubblico” occorre che sia stato esposto, usato in commercio o altrimenti reso pubblico in modo tale da essere conosciuto dagli ambienti specializzati del settore interessato che siano operanti nella “Comunità”.

Ad avviso di questo Collegio, non vi è dubbio che il regolamento comunitario, con l’uso della locuzione “ambienti specializzati del settore interessato”, abbia inteso riferirsi agli operatori professionali, ossia agli “addetti ai lavori”; categoria che, se da un lato non coincide certo con gli utilizzatori l’inali, dall’altro, non può essere circoscritta a coloro che fanno parte della catena distributiva aziendale.

La divulgazione al pubblico presuppone la diffusione all’esterno del disegno o modello non registrato, il quale deve rivolgersi potenzialmente ad un numero indeterminato di persone. Ciò si verifica, senz’altro, con l’esposizione o l’immissione in commercio del prodotto che lo riproduce, ma può anche avvenire, a titolo di esempio, con la presentazione del modello nell’ambito di una fiera, di una mostra, di un’esposizione, con la pubblicazione del modello su un catalogo o su una rivista specializzata.

La divulgazione al pubblico di un modello non registrato deve avere quindi necessariamente una proiezione “esterna”, rispetto alla specifica realtà “aziendale” cui lo stesso è riconducibile, a nulla rilevando che i soggetti che fanno parte del gruppo d’imprese (o ne siano in una certa qualificata misura con essa collegate) possano avere una personalità giuridica distinta.

In tale prospettiva, la Corte d’Appello ha correttamente ritenuto che le bolle di consegna prodotte in giudizio avessero natura di “documenti contabili interni” e ciò anche ove le stesse bolle avessero effettivamente attestato il trasferimento di merce da Pull & Bear Espana a Pull & Bear italia s.p.a. (in realtà, la natura altera della società spagnola rispetto alla filiale italiana non è stata nè allegata, nè documentata ex art. 366 c.p.c..).

Infine, con riguardo alla dedotta produzione in giudizio di fatture che dimostrerebbero l’effettiva introduzione e diffusione nel mercato “comunitario” dei modelli per cui è causa, attraverso il trasferimento dal fornitore di Pull & Bear alla stessa società, a prescindere da quanto sopra già illustrato, va rilevato che la sentenza impugnata non ha comunque fatto alcun cenno a tali documenti contabili: nè nei riassumere il percorso argomentativo dei giudice di primo grado; nè nell’indicare le ragioni su cui ha fondato l’accoglimento dell’appello ed il rigetto delle domande della ricorrente.

Ciò premesso, la ricorrente avrebbe dovuto allegare, in ossequio al principio di autosufficienza che attiene a questo specifico mezzo d’impugnazione, in che punto dell’atto di appello e con che modalità avrebbe fatto riferimento alle fatture in oggetto per dimostrare la diffusione nel mercato del modello non registrato.

E’, infatti, principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili, per la prima volta in sede di legittimità, questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate come nel caso di specie – questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonchè il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).

3. Con il secondo motivo è stato dedotto il falso ed erroneo esame di fatti e documenti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. Il motivo è inammissibile sia perchè solo enunciato e non illustrato, sia perchè svolto in difetto del già menzionato principio di autosufficienza, non essendo stato neppure indicato il contenuto dei documenti il cui esame sarebbe stato erroneo.

5. Il terzo, il quarto e quinto motivo sono stati svolti contestualmente deducendo rispettivamente la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e l’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c..

Si censura cumulativamente il difetto di omessa e/o insufficiente motivazione in ordine alla presunta inattendibilità delle dichiarazioni dei designer, l’erronea ed incongrua interpretazione dei documenti versati in atti, l’erronea e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nella misura in cui si adduce il presunto mancato assolvimento dell’onere probatorio per non avere quest’ultima reiterato le proprie istanze probatorie.

6. I tre motivi, da esaminarsi unitariamente così come sono stati esposti, presentano profili di inammissibilità ed infondatezza.

In primo luogo, i motivi in oggetto non osservano il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione nella misura in cui si fa riferimento all’omesso ed erroneo esame di documenti (dichiarazioni dei designer) di cui non è minimamente indicato il contenuto, di talchè non è possibile valutarne la decisività.

Inoltre, non è stata neppure censurata l’assorbente ratio decidendi contenuta nel provvedimento della Corte d’Appello nella parte in cui è stato evidenziato che, a prescindere dall’attendibilità dei designer, in difetto di una conferma in sede testimoniale, le dichiarazioni in questione non valevano nemmeno a dimostrare che i modelli di cui è lamentata la contraffazione erano riconducibili davvero ai capi di abbigliamento descritti nelle bolle di consegna prodotte (per la necessità della prova testimoniale affinchè il documento scritto prodotto da una delle parti costituisca una prova piena, vedi Cass. n. 23554/2008).

Infine, infondata è la censura secondo cui la ricorrente avrebbe reiterato la richiesta di assunzione della prova testimoniale anche nella fase d’appello.

In particolare, la ricorrente, nel citare la massima di questa Corte (Cass. n. 5735/2011) secondo cui la parte rimasta totalmente vittoriosa in primo grado può riproporre le domande ed eccezioni respinte in primo grado in una qualsiasi delle difese del giudizio di secondo grado (non avendo l’onere di chiederne il riesame con ricorso incidentale), neppure ha dedotto di aver riproposto la richiesta di prova per testi dei designer in un qualunque atto del giudizio di secondo grado.

7. Con il sesto motivo è stata dedotta l’omessa pronuncia e vizi motivazione.

Si duole la ricorrente che la Corte d’Appello, dopo aver accolto l’appello incidentale, ha erroneamente ritenuto assorbite le questioni sottoposte nell’appello principale.

8. Il motivo è palesemente infondato.

E’ evidente che una volta che il giudice d’appello abbia respinto la domanda di contraffazione, vertente sull’an, non è tenuto ad esaminare la domanda di risarcimento del danno (sul quantum) proposta da colui che lamenta la violazione della privativa, essendo tale domanda chiaramente assorbita dal rigetto della domanda di contraffazione e la motivazione per il mancato esame è da individuarsi proprio nell’evidenziazione da parte del giudice di tale assorbimento.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

“Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1 comma 1 lett. a)”.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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