Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11347 del 31/05/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 11347 Anno 2016
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: MARULLI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 9845-2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

FOTOLITO FOCES SNC IN LIQUIDAZIONE DI CESATI SERGIO E
BERETTA GIANMARIO;

intimato,

avverso la sentenza n. 54/2009 della COMM.TRIB.REG. di
MILANO, depositata il 03/03/2009;

Data pubblicazione: 31/05/2016

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/05/2016 dal Consigliere Dott. MARCO
MARULLI;
udito per il ricorrente l’Avvocato PALATIELLO che si
riporta al ricorso e chiede l’accoglimento;

Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso per
l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

RITENUTO IN FATTO
I. Con sentenza in data 3.3.2009 la CTR Lombardia, rigettato l’appello
dell’ufficio, ha confermato la decisione di primo grado che, su ricorso della
società contribuente, aveva annullato la cartella di pagamento notificatale a
tardivamente al pagamento dell’ultima rata dell’importo dovuto.
La CTR ha motivato il rigetto del gravame erariale con la considerazione che
l’art. 9-bis citato “non stabilisce alcuna conseguenza in relazione al tardivo
versamento dell’ultima rata” e “ciò in quanto il perfezionamento della
domanda di condono si verifica col pagamento della prima rata” e quindi il
ritardato pagamento dell’ultima rata non lo rende inefficace.
Avverso detta sentenza promuove ricorso l’Agenzia delle Entrate soccombente
e ne chiede la cassazione sulla base di due motivi, ai quali non replica la parte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2.1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce ex art. 360,
comma primo, n. 4, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 alg.
546/92, poiché, atteso che nella specie la cartella oggetto era stata emanata a
seguito di diniego di condono, “sarebbe stato onere del contribuente
impugnare tale provvedimento”, sicché appare radicalmente viziata
l’impugnata sentenza “nella parte in cui non ha rilevato l’inammissibilità del
ricorso introduttivo proposto in primo grado dalla contribuente”.
2.2. Il motivo è inammissibile per mancanza del quesito di diritto.
Invero, pur soggiacendo la specie in discussione all’applicazione dell’art. 366bis, c.p.c., giusta il quale “nei casi previsti dall’art. 360, primo comma, nn.1),
2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di
inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto”, la parte, a
completamento dell’illustrazione del motivo, ne ha tuttavia omesso la
predisposizione, onde il motivo è perciò inammissibile.
3.1. 11 secondo motivo accampa per gli effetti dell’art. 360, comma primo, n.
3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 9-bis 1. 89/02, poiché
RG 9845/10 Ag. Entrate-Fotolito

C

arulli I

seguito del diniego di condono ex art. 9-bis I. 289/02 per aver provveduto

come consta dal raffronto con le altre fattispecie condonistiche di cui alla
citata legge, “il mancato pagamento nei termini di legge del suddetto importo,
sia esso dipendente dall’omesso o tardivo versamento della prima ed unica
rata ovvero dalle successive, esclude ipso iure il perfezionamento delle
determinare quindi la decadenza dal condono medesimo”.
3.2. Attenendo la materia ad IVA e ad imposte dirette, il motivo si palesa
fondato per ragioni pregiudiziali quanto alla prima e per ragioni di merito
quanto alle altre.
3.3. Invero, quanto agli effetti della disciplina agevolativa recata dalla 1.
289/02 sull’IVA, le misure clemenziali che in tema di condono comportano
una rinuncia definitiva dell’amministrazione alla riscossione di un credito già
accertato contrastano con la 6^ direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, in data
17.5.77, così come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia CE
17.7.08, in causa C – 132/06. Secondo tale decisione la Repubblica Italiana è
infatti venuta meno agli obblighi di cui agli artt. 2 e 22 della predetta sesta
direttiva del Consiglio, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli
Stati membri in materia di IVA, per avere previsto, con la L. n. 289 del 2002,
artt. 8 e 9, una rinuncia generale ed indiscriminata all’accertamento delle
operazioni imponibili, cosi pregiudicando seriamente il corretto
funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto
(24505/15; 24009/15; 20068/09).
Ebbene – come si è precisato – deve ritenersi che detta pronuncia abbia una
portata generale, estesa a qualsiasi misura nazionale (a carattere sia legislativo
che amministrativo), con la quale lo Stato membro rinunci in via generale, o in
modo indiscriminato, all’accertamento e/o alla riscossione di tutto o parte
dell’imposta dovuta, oltre che delle sanzioni per la relativa violazione,
trattandosi di misure di carattere dissuasivo e repressivo, la cui funzione è
quella di determinare il corretto adempimento di un obbligo nascente dal
diritto comunitario. Ne discende che va disapplicato, per con sto on il
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Consi t

arulli 2

condizioni necessarie per beneficiare dell’agevolazione e non può non

diritto comunitario cogente, sebbene con riferimento alla sola IVA, l’art. 9-bis,
che, consentendo di definire una controversia evitando il pagamento di
sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento del tributo, comporta una
rinuncia definitiva alle sanzioni che, per il loro carattere dissuasivo, oltre che
tributo principale (20467/15; 25133/15; 19546/11).
3.4. Né può dubitarsi del fatto che la disapplicazione del diritto nazionale
confliggente con le norme del diritto comunitario cogente debba essere
operata, pure d’ufficio, anche nel presente giudizio di legittimità, onde
assicurare la piena applicazione delle nonne comunitarie aventi un rango
preminente rispetto a quelle del singoli Stati membri. A tanto induce, invero, il
principio di effettività, enunciato nei Trattati istitutivi della Comunità prima e
dell’Unione poi, che comporta l’obbligo per il giudice nazionale di applicare il
diritto comunitario in qualsiasi stato e grado del processo, senza che possano
ostarvi preclusioni procedimentali o processuali, o – nella specie – il carattere
chiuso del giudizio di cassazione (SS.UU. 26948/06)).
3.5. 11 motivo è invece fondato nel merito quanto alle imposte dirette.
Reputa invero questa Corte che in tema di condono fiscale, la definizione
agevolata ai sensi dell’art. 9-bis della legge 27 dicembre 2002, n. 289, “si
perfezioni solo se si provvede all’integrale pagamento del dovuto nei termini e
nei modi previsti dalla medesima disposizione, attesa l’assenza di previsioni
quali quelle contenute negli artt. 8, 9, 15 e 16 della medesima legge, che
considerano efficaci le ipotesi di condono ivi regolate anche senza
adempimento integrale, e che sono insuscettibili di applicazione analogica, in
quanto, come tutte le disposizioni di condono, di carattere eccezionale”
(19421/15;13264/15; 21364/12).
Ne discende dunque che è palesemente errato il contrario convincimento fatto
proprio dal giudice territoriale poiché la mancata previsione nell’art. 9-bis cit.
di una disposizione corrispondente a quella recate dagli artt. 8, 9, 15 e 16 1.
289/02, che fanno salvi gli effetti del beneficio anche ij1ifettØ di
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Cons. Est. analli 3

repressivo, incidono sul corretto adempimento dell’obbligo di pagamento del

adempimento integrale, trova giustificazione nella diversa natura delle
fattispecie in esame, vero infatti, come più volte ricordato da questa Corte, che
queste ultime disposizioni regolamentano una fattispecie di condono di tipo
premiale, in guisa del quale si riconosce al contribuente il diritto potestativo di
accertamento straordinario, da effettuarsi cioè secondo regole diverse da
quelle ordinarie, mentre l’art 9 bis cit. concede un condono tributario di tipo

clemenziale, che, basandosi sul presupposto di un illecito tributario, elimina o
riduce le sanzioni e, a determinate condizioni, concede modalità di favore per
il loro pagamento, ma senza prevedere, come logica vuole, alcuna forma di
accertamento tributario straordinario (12782/15; 9761/15; 10650/13).
4. Il ricorso erariale, nei limiti del motivo accolto, va dunque accolto e, non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, previa cassazione
della sentenza impugnata, potrà essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384,
comma secondo, c.p.c. con il rigetto del rkorso introduttivo.
Spese alla soccombenza nel presente giudizio, compensate con riguardo ai
gradi di merito, considerata la stabilizzazione del quadro interpretativo di
seguito al ricorso in prime cure.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo,
cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, respinge il ricorso
introduttivo; condanna parte intimata al pagamento delle spese del presente
giudizio che liquida in euro 5000,00—, oltre eventuali spese prenotate a debito
e ad eventuali accessori e compensa le spese dei giudizi di merito.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della V sezione civile il
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Il Presidente

Dott. C lo Piccininni

chiedere che il suo rapporto giuridico tributario sia sottoposto ad un

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