Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11345 del 11/05/2010

Cassazione civile sez. III, 11/05/2010, (ud. 15/01/2010, dep. 11/05/2010), n.11345

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

FALLIMENTO DI M.P. (OMISSIS) in persona del curatore

Dr. C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

XXI APRILE 12, presso lo studio dell’avvocato PIZZINO ENNIO, che lo

rappresenta e difende giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

I.S.;

– intimata –

sul ricorso 32017-2005 proposto da:

I.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CUNFIDA 20, presso lo studio dell’avvocato OLIVETI

FRANCESCO, che la rappresenta e difende giusta delega a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO M.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2166/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, 3^

SEZIONE CIVILE, emessa il 28/2/2005, depositata il 17/05/2005, R.G.N.

6995/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/01/2010 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato ALESSANDRO PIZZINO per delega dell’Avvocato ENNIO

PIZZINO;

udito l’Avvocato FRANCESCO OLIVETI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

assorbito incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza del 26 giugno 2001 il Tribunale di Roma, adito da I.S., proprietaria di un villino ceduto in locazione a M.P., per ottenere la condanna di questi al rilascio dell’immobile ed al risarcimento dei danni, previa risoluzione del rapporto per grave inadempimento del conduttore (a causa di molteplici lavori realizzati nell’immobile), rigettava la domanda.

Il Tribunale osservava che a norma dell’art. 14 del contratto la locatrice, in considerazione delle precarie condizioni di degrado del suo edificio, aveva autorizzato il conduttore ad eseguire lavori di manutenzione e di restauro:il che, pertanto, non integrava alcuna forma di inadempimento contrattuale ed, in accoglimento della spiegata riconvenzionale, condannava la I. a rifondere al conduttore le spese da lui sostenute nella misura di L. 166.230.000 ritenute adeguate in relazione alla tipologia dell’immobile come stabilito dalla CTU, oltre interessi e spese di lite.

2. – Avverso questa decisione proponeva appello la I. formulando varie censure.

Si costituiva il fallimento del M. (a causa del suo intervento dispiegato in primo grado con comparsa dell’11 novembre 1998, essendo stato dichiarato fallito il convenuto originario), che contestava la fondatezza del gravame e deduceva la inammissibilità di primi due motivi di gravame.

Con sentenza del 17 maggio 2005 la Corte di appello di Roma accoglieva per quanto di ragione il gravame e dichiarava nulla e priva di effetti giuridici la clausola n. 14 inserita nel contratto di locazione inter partes e di conseguenza respingeva la riconvenzionale del M., oltre a condannare quest’ultimo alle spese di entrambi i gradi del giudizio.

Contro siffatta decisione ricorre il Fallimento di M.P. con ricorso affidato a quattro motivi.

Resiste con controricorso la I., che propone ricorso incidentale condizionato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi vanno riuniti ex art. 335 c.p.c..

1. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.) il Fallimento lamenta che, contrariamente a quanto dedotto in sede di appello, la Corte territoriale non abbia ritenuto che il motivo di appello sulla nullità della clausola n. 14 del contratto di locazione fosse una domanda totalmente nuova perchè non proposta in primo grado, in quanto in quella sede aveva richiesto la risoluzione del contratto proprio in virtù di quella clausola.

Assume il ricorrente che sia come domanda che come eccezione, così ritenuta dalla Corte territoriale, la deduzione dell’appellante doveva considerarsi nuova perchè non consentita dall’art. 345 c.p.c..

Osserva il Collegio che il motivo va disatteso.

La I. ha dedotto in appello che la clausola n. 14 di cui al contratto stipulato l’11 ottobre 1978 era indeterminata nell’oggetto perchè non esisteva alcun parametro prefissato e certo, nè vi era accordo tra le parti, nè tantomeno fu fatto ricorso al giudice, con la conseguenza che la clausola in esame doveva essere dichiarata nulla dal Tribunale” (p 10 controricorso).

In effetti, la resistente ha contestato in appello l’applicazione e la esecuzione di un atto la cui validità rappresentava un elemento costitutivo della domanda riconvenzionale proposta dal M. e, quindi, si configurava come impugnazione del diritto dello stesso consistente nell’ottenere il rimborso delle spese sostenute per la ristrutturazione dell’immobile, che derivava dall’applicazione della citata clausola n. 14, che conteneva la corresponsione del rimborso per i lavori effettuati”allorchè si verificherà la risoluzione del contratto e restituzione dell’immobile al locatore.” (p. 5 controricorso).

Il giudice dell’appello ha qualificato la deduzione della nullità da parte dell’appellante come eccezione riconvenzionale rispetto all’altrui domanda di pagamento, tendente al rigetto della riconvenzionale stessa e, quindi, pienamente ammissibile (Cass. 20548/04; n. 11483/04; n. 11847/03).

2. – Con il secondo motivo (violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., sulle presunzioni) il ricorrente lamenta che il giudice dell’appello, in relazione ai due precedenti contratti, ha ritenuto che la locatrice aveva consentito al M. l’esecuzione di tutti i lavori “necessari per rendere abitabile la cosa locata” e “di miglioria all’interno dell’appartamento locato, ergo deve ritenersi che quelle opere fossero state eseguite e che l’immobile avesse le condizioni di abitabilità.

Nulla autorizza una simile conclusione”, in quanto, a suo dire, smentita dalla letteralità della clausola (p. 13 ricorso).

Questa presunzione difetterebbe dei requisiti richiesti, ovvero della gravità, della precisione e della concordanza (p. 13 ricorso), in quanto il giudice dell’appello, violando le regole poste a base della presunzione, avrebbe concluso che l’immobile abbisognava solo di lavori di ordinaria amministrazione e non anche di opere rilevanti che le parti avevano riconosciuto da effettuarsi secondo la nota clausola n. 14 (p. 14).

Anche questo motivo va disatteso.

Infatti, contrariamente a quanto assume il ricorrente, il giudice di appello, dopo aver trascritto la clausola in oggetto, nella quale il locatore prende atto, e riconosce, dello stato di degrado dell’immobile (p. 5 sentenza impugnata) con un giudizio in fatto, incensurabile in questa sede, ha desunto “con assoluta certezza” che, nella specie, non si è trattato di lavori di ordinaria manutenzione della res locata, ma di una vera e propria ristrutturazione dell’originario assetto del villino sia sul piano estetico che sul piano funzionale.

Sulla base delle CTU acquisite al processo (CTU espletata nel giudizio pretorile e CTU disposta dal Tribunale con rilievi fotoplanimetrici), il giudice dell’appello ha affermato che si trattava di lavori che nulla hanno a che vedere nè con i primitivi interventi consentiti al padre del M., nè con quelli di “manutenzione e di restauro di cui al menzionato art. 14, in mancanza di quel carattere propriamente “conservativo”, così tipico di ogni intervento di (ordinaria e straordinaria) manutenzione e di restauro” (p. 6 sentenza impugnata).

Il convincimento del giudice del merito non si fonda, quindi, su alcuna presunzione, ma su dati documentali, che contenevano la necessità dell’esecuzione dei lavori per rendere abitabile la cosa locata e per apportarvi migliorie (p. 13 ricorso) e, pertanto, il villino era, abbisognevole soltanto di questo tipo di lavori, ma non di altri che egli ha eseguito.

Infatti, l’immobile presentava condizioni minime di abitabilità, se è vero che i lavori furono eseguiti dal M. nell’arco di tempo compreso tra il 1988 e il 1991 (data di ultimazione v. comunicazione al CTU dell’Arch. B. datata 2 aprile 1992), ovvero a distanza di tempo sia rispetto al contratto registrato il 17 maggio 1973 (in cui si autorizzavano da parte della I. i lavori necessari per rendere abitabile la casa locata) sia rispetto al contratto registrato nell’ottobre 1978, il cui art. 6 prevedeva la esecuzione di “lavori di miglioria all’interno dell’appartamento locato” (p. 5 sentenza impugnata).

3. – Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione delle regole giuridiche sull’interpretazione dei contratti (artt. 1362 e ss. c.c.) il ricorrente si duole che il giudice dell’appello abbia dato alla clausola n. 14 un significato che contrasta nettamente con la volontà delle parti espressa nella stessa in quanto in essa si parla di degrado dell’immobile (p. 14 ricorso).

Osserva il Collegio che questa censura è assorbita dalle considerazioni svolte onde addivenire al rigetto del secondo motivo, con il quale è stato ritenuta la correttezza della decisione impugnata in punto di interpretazione della clausola stessa e dei suoi contenuti, comunque, limitati ad interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, che dovevano comportare soltanto e nient’altro che il restauro dell’immobile.

4. Con il quarto motivo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia – art. 360 c.p.c., n. 5) il ricorrente lamenta, da un lato, che il giudice dell’appello abbia disatteso, a suo dire, le conclusioni della CTU espletata in prime cure, nonchè di quella di cui all’accertamento tecnico preventivo; dall’altro che abbia esaminato il comportamento del M., censurato, in riferimento all’imponenza dei lavori, alle loro caratteristiche e all’impegno finanziario prevedibile come non aderente all’elementare precetto di diligenza e di correttezza anche per non averne informato la locatrice (p. 6 sentenza impugnata).

Circa il primo profilo osserva il Collegio che il giudice dell’appello, proprio prendendo atto delle CTU, ha sottolineato che non si trattava di lavori di restauro, bensì di una ristrutturazione dell’originario assetto del villino sia sul piano estetico che funzionale.

Circa il secondo profilo, che prospetta una ulteriore censura circa la supposta antiteticità nella sentenza tra restauro conservativo e ristrutturazione, va precisato che il giudice dell’appello, una volta qualificato l’intervento del M. sull’immobile come non previsto dall’accordo inter partes, non si poteva esimere dal censurarne il comportamento.

Infatti, la vicenda processuale de qua trae origine dalla domanda della I. di risoluzione del contratto registrato il 20 luglio 1988 con il M. per inadempimento di esso M., il quale aveva dato inizio, senza sua previa autorizzazione, all’esecuzione di lavori “voluttuari e non necessari che hanno altresì gravemente alterato la struttura dell’immobile” (p. 4 ricorso).

In sintesi, la I. si lamentava che il M. aveva perpetrato, mediante alterazioni sia pure parziali, un vero abuso nel godimento dell’immobile, contravvenendo sia a quanto previsto tra le parti nei due contratti precedenti sia, per completezza si aggiunge, a quanto disposto dall’art. 1587 c.c..

Le modificazioni apportate e accertate con CTP hanno indotto la I. a ritenere la colpa del conduttore in concreto, in relazione all’interesse che ella aveva e fondato sul diritto non solo a non vedere pregiudicato in suo danno l’equilibro giuridico-economico del patto locatizio, ma anche alla conservazione della cosa locata con il suo status di liceità urbanistica, le sue strutture originarie, per cui era necessario il consenso della locatrice.

Quindi, una volta che il M. aveva deciso di effettuare quei lavori, egli non poteva derogare ai limiti contrattuali senza informarne, stante il dovere di diligenza e correttezza, che presiede ad ogni comportamento contrattuale (che per la locazione da parte del conduttore – ed in riferimento allo stato della vicenda in oggetto – trova fondamento nell’art. 1587 c.c.), il locatore e richiederne il consenso, tenuto conto che la I. nei due contratti precedenti a quello del 1988 aveva manifestato chiaramente il suo interesse al restauro, attraverso le autorizzate opere di manutenzione ordinaria e straordinaria nonchè l’autorizzazione alle migliorie alla conservazione dell’immobile nello stato e nella funzionalità originari.

Infatti, l’obbligo di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nell’utilizzazione della cosa locata esclude che il conduttore possa alterare lo stato della cosa, sia pure in parte, nel corso del rapporto, altrimenti viola l’obbligazione principale, ovvero di rilevante interesse prevista dalla legge non solo, ma anche dal patto di locazione, come in questo caso, in cui ogni intervento era ammesso ai fini della mera e migliore conservazione dello stato originario dell’immobile (v. Cass. n. 3343/01).

Il giudice dell’appello non ha fatto altro che accertare la veridicità dell’assunto della I., nonchè, in relazione proprio all’entità dei lavori, che esulavano expressis verbis dal contratto, la violazione della diligenza del buon padre di famiglia e della correttezza che, in questo caso, avrebbe dovuto tenere il M., con un apprezzamento che solo a quel giudice compete e che, perchè logicamente e congruamente motivato, sfugge ad ogni sanzione da parte di questa Corte.

Ed infine, non corrisponde al vero, per quanto si legge nella sentenza impugnata, che il giudice dell’appello abbia ritenuto antitetici i due termini – ristrutturazione e restauro.

Infatti, quel giudice ha solo accertato che l’originario assetto del villino era stato ristrutturato con interventi che andavano ben al di là di quelli pattizia, mente previsti di carattere propriamente conservativo, tipici di ogni intervento di ordinaria e straordinaria manutenzione finalizzato al restauro del bene.

In altri termini, i giudici dell’appello hanno escluso la rispondenza a quanto concordato di ciò che effettivamente è stato realizzato dal M..

Quindi, nessuna antiteticità, bensì e solamente presa d’atto di realizzazione di opere che stravolgevano sia sul piano estetico che funzionale l’originario assetto dell’immobile per il cui degrado erano stati autorizzati lavori e; migliorie, sempre nell’ambito del rispetto della sua struttura e funzionalità originarie.

Conclusivamente, il ricorso principale va respinto, con l’effetto che resta assorbito il ricorso incidentale condizionato, riguardante il ritenuto assorbimento da parte del giudice dell’appello della richiesta risarcitoria formulata dalla I..

Al rigetto del ricorso principale segue la condanna del ricorrente alle spese che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato e condanna il ricorrente al pagamento a favore della I. delle spese del presente giudizio di Cassazione che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2010

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