Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11345 del 09/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 09/05/2017, (ud. 22/12/2016, dep.09/05/2017),  n. 11345

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4939-2016 proposto da:

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.

NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO MARIA ARLINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO PAOLIERI giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

E.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA APPIA NUOVA,

612, presso lo studio dell’avvocato SILVIA DENORA, rappresentata e

difesa dall’avvocato MARIARITA GIOMMONI giusta procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1210/2015 del TRIBUNALE di PERUGIA

dell’8/06/2015, depositata il 27/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 30/2014, il Giudice di Pace di Città di Castello ha rigettato la domanda di risarcimento proposta da S.P. nei confronti di E.M. e B.N., eredi di B.A., per i danni derivanti dalla commissione, da parte del defunto, dei reati di cui agli artt. 582, 612 e 635 c.p. e riconosciuti in favore di S.P. costituitosi parte civile nel processo penale svoltosi dinnanzi al Tribunale di Perugia e conclusosi con la sentenza n. 194/2011.

Il Giudice di Pace ritenne che la morte dell’imputato, intervenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza, avesse determinato la cessazione sia del rapporto processuale in sede penale sia del rapporto processuale in sede civile inserito nel processo penale.

2. Il Tribunale di Perugia, con la sentenza n. 1210 del 27 luglio 2015, ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 2, e confermato la sentenza di primo grado.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione S.P. sulla base di tre motivi.

3.1 Resiste con controricorso E.M..

4. E’ stata depositata in cancelleria relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, la proposta di inammissibilità del ricorso. Le parti non hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con i tre motivi di ricorso il ricorrente denuncia da un lato la violazione di legge in quanto S. con la sua domanda voleva solo far recepire al giudice civile le statuizioni concernenti le questioni civili decise con la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Città di Castello. Dall’altro si duole della violazione tra il chiesto e il pronunciato da parte del giudice di secondo grado atteso la pronuncia di inammissibilità dell’appello. Infine denuncia la violazione dell’art. 382 c.p.c.

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio con le seguenti precisazioni, di condividere le conclusioni cui perviene la detta proposta.

I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili.

I motivi sono generici. Nel giudizio di legittimità è onere del ricorrente indicare con specificità e completezza quale sia il vizio da cui si assume essere affetta la sentenza impugnata. Sono inammissibili quei motivi che non precisano in alcuna maniera in che cosa consiste la violazione di legge che avrebbe portato alla pronuncia di merito che si sostiene errata, o che si limitano ad una affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione (Cass. 15263/2007). Come, appunto, nel caso di specie.

Il ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (Cass. S.U. n. 7161/2010; Cass. S.U. n. 28547/2008).

Pertanto, ai sensi degli artt. 380-bis e 385 c.p.c., il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione Sesta civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2017

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