Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11340 del 29/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 29/04/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 29/04/2021), n.11340

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9776-2015 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUTEZIA 5,

presso lo studio dell’avvocato RODOLFO ROMEO, rappresentata e difesa

dagli avvocati ANDREA GRECO, DOMENICO ANTICO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 649/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 18/04/2014 R.G.N. 645/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/11/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MUCCI

ROBERTO, ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza del 18 aprile 2014 n. 649/2013 la Corte d’Appello di Reggio Calabria confermava la sentenza del Tribunale di Palmi, che aveva respinto la domanda proposta nei confronti del Ministero dell’Interno da D.A., vedova di M.R. – vittima di omicidio consumato in (OMISSIS) – per il riconoscimento della speciale elargizione una tantum prevista dalla L. n. 302 del 1990, art. 1 e art. 4, commi 1 e 2.

2. La Corte territoriale condivideva la valutazione del Tribunale sulla mancanza di prova della dissociazione del M. dagli ambienti malavitosi, non fornita dalla generica affermazione del teste A., secondo cui il M. negli ultimi tempi aveva modificato il suo comportamento, svolgendo una vita più ritirata e dedita alla famiglia.

3. Riteneva, altresì, al pari del primo giudice, la mancanza di prova del fatto che il delitto fosse diretto ad attuare le finalità dell’organizzazione mafiosa. L’argomento dell’appellante secondo cui la matrice mafiosa sarebbe emersa dall’istruttoria compiuta dal MINISTERO DELL’INTERNO era carente di allegazioni specifiche; nessuna censura era rivolta alla condivisibile considerazione che le modalità dell’omicidio non erano sufficienti, da sole, a dimostrare il nesso con il perseguimento dei fini dell’associazione.

4. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza D.A., articolato in tre motivi, cui ha opposto difese il MINISTERO DELL’INTERNO con controricorso.

5. Il PM ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 302 del 1990, artt. 1, 4, 7 e della L. n. 407 del 1998, art. 2, dell’art. 97 Cost. nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità della sentenza.

2. Oggetto di impugnazione è la valutazione di mancanza di prova della matrice mafiosa dell’omicidio del M. ed, in particolare, l’affermazione che le modalità del delitto, tipiche degli agguati mafiosi, non basterebbero, da sole, a dimostrare il nesso teleologico con il perseguimento dei fini di cui all’art. 416 c.p..

3. Si assume che la origine mafiosa del delitto non presuppone necessariamente un accertamento di responsabilità nella sede penale e può desumersi, come già ritenuto dal Consiglio di Stato, dalle circostanze concrete del reato (personalità della vittima, modalità di esecuzione, contesto ambientale nel quale esso veniva consumato), che nella fattispecie di causa deponevano per la matrice di mafia.

4. Il motivo è infondato.

5. La L. n. 302 del 1990 “Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata” ha previsto benefici economici e assistenziali anche in favore delle vittime della criminalità organizzata di stampo mafioso, estendendo ed ampliando quanto già riconosciuto alle vittime del terrorismo.

6. Per quanto in causa rileva, l’art. 4 cit. legge (Elargizione ai superstiti), al comma 1, contempla la erogazione di una somma di denaro una tantum ai componenti la famiglia di colui che perda la vita per effetto di lesioni riportate in conseguenza delle azioni ed operazioni di cui al precedente art. 1. Tale elargizione è altresì corrisposta, ai sensi del comma 2, ai soggetti non parenti nè affini, nè legati da rapporto di coniugio, che risultino conviventi a carico della persona deceduta negli ultimi tre anni precedenti l’evento ed ai conviventi “more uxorio”.

7. I presupposti della elargizione, come definiti attraverso il rinvio al precedente art. 1, consistono nel fatto: che le lesioni avvengano in conseguenza dello svolgersi nel territorio dello Stato di fatti delittuosi commessi per il perseguimento delle finalità delle associazioni di cui all’art. 416 bis c.p.; che la vittima:

– non abbia concorso alla commissione del fatto delittuoso o di reati connessi;

– sia estranea ad ambienti e rapporti delinquenziali (salvo che si dimostri l’accidentalità del suo coinvolgimento passivo nell’azione criminosa) ovvero risulti che al tempo dell’evento si era già dissociata o estraniata da questi ultimi, cui partecipava.

8. Da ultimo, ai sensi dell’art. 12, comma 1 Legge stessa, nel testo sostituito dalla L. 23 novembre 1998, n. 407, art. 3 il beneficio si applica retroattivamente alle vittime ed ai superstiti per gli eventi verificatisi successivamente alla data del 1 gennaio 1969.

9. L’elargizione in favore delle vittime o dei loro familiari superstiti presuppone dunque la prova della riconduzione dell’episodio criminoso tra i reati-scopo di un contesto associativo che faccia uso dei metodi di cui all’art. 416 bis c.p..

9. Correttamente, pertanto, il giudice del merito ha affermato che le modalità dell’omicidio, da sole, non sono idonee a dimostrare la matrice mafiosa, dovendo essere ricercato, altresì il collegamento del crimine con le finalità della associazione mafiosa e, dunque, verificato il contesto ambientale all’interno del quale il delitto è maturato ed è stato commesso.

10. La valutazione circa la carenza della prova nel caso concreto di tale collegamento è, invece, un giudizio di merito, censurabile in questa sede nei limiti di deducibilità del vizio di motivazione. La parte ricorrente si limita ad assumere genericamente la esistenza di idonei elementi di prova in tal senso senza tuttavia dedurre un vizio della motivazione, secondo il paradigma di cui al vigente art. 360 c.p.c., n. 5.

11. Con il secondo mezzo la ricorrente ha lamentato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 302 del 1990, artt. 1, 4 e 7, della L. n. 407 del 1998, art. 2 e dell’art. 97 Cost. nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 -nullità della sentenza, contestando la statuizione di mancanza di prova della dissociazione del M. dagli ambienti delinquenziali.

12. Ha dedotto che la prova era stata raggiunta attraverso le dichiarazioni del teste Maresciallo A., comandante della locale Stazione dei Carabinieri, il quale aveva riferito che il M. aveva modificato negli ultimi tempi il suo comportamento, svolgendo una vita più ritirata e dedita alla famiglia.

13. Con la terza critica si denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, sempre sotto il profilo della dissociazione della vittima dagli ambienti e/o rapporti delinquenziali, quale risultante dalla sentenza di primo grado e dalla deposizione del teste A..

14. Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

15. Entrambi, pur se diversamente qualificati dalla parte, contestano il giudizio espresso dalla Corte di merito di mancanza di prova della dissociazione della vittima, al momento dell’evento, dagli ambienti delinquenziali, cui pacificamente era stata affiliata.

16. Trattasi di un giudizio di fatto, censurabile in questa sede esclusivamente sotto il profilo del vizio di motivazione, nella declinazione di cui al testo vigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ratione temporis applicabile.

17. Il ricorso non prospetta un fatto storico non esaminato nella sentenza impugnata ma piuttosto si duole degli esiti della valutazione degli elementi di prova compiuta dal giudice dell’appello, che ha ritenuto generiche e non decisive le affermazioni del teste A.. Trattasi di tipico esercizio della funzione di merito, non sindacabile in sede di legittimità.

18. Il ricorso deve essere dunque complessivamente respinto.

19. Le spese del presente grado, liquidate in dispositivo seguono la soccombenza.

20. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il comma 1 quater al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13) della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.000 per compensi professionali oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2021

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